Libri
Parola e musica, pilastri della comunicazione: il messaggio del libro di Biagio Maimone al Senato
Presentato “La Comunicazione Creativa per lo Sviluppo Socio-Umanitario” di Biagio Maimone nella Sala Caduti di Nassiriya.

Nella suggestiva cornice della Sala Caduti di Nassiriya al Senato, si è tenuta la presentazione del libro La Comunicazione Creativa per lo Sviluppo Socio-Umanitario, scritto dal giornalista Biagio Maimone e pubblicato dalla casa editrice Tracceperlameta. L’evento, promosso dalla Senatrice Dolores Bevilacqua del Movimento Cinque Stelle, ha posto al centro del dibattito l’importanza della comunicazione come strumento per costruire relazioni umane profonde e sostenere lo sviluppo socio-umanitario.
Un ponte tra logos e pathos
La conferenza ha sottolineato come la comunicazione sia un equilibrio tra ragione (logos) e emozione (pathos), un ponte che unisce elementi essenziali della natura umana. Parola e musica, da sempre strumenti cardine dell’espressione, sono stati i protagonisti di un dialogo che ha abbracciato temi cruciali: dalla cultura del dialogo e della pace, al ruolo della comunicazione musicale come messaggio universale e veicolo di solidarietà.
Interventi e riflessioni
Ad aprire i lavori è stata la Senatrice Bevilacqua, componente della Commissione Vigilanza Rai, che ha evidenziato il valore delle parole come strumento per costruire o distruggere. A seguire, Biagio Maimone, autore del libro e direttore della comunicazione dell’Associazione Bambino Gesù del Cairo Onlus, ha illustrato la sua visione: “La parola è vita, ma deve essere usata per generare valori e non disvalori”.
Tra gli altri relatori, Gianni Todini, direttore dell’agenzia Askanews, e Maria Maimone, filosofa della comunicazione, hanno offerto prospettive profonde sulla centralità della comunicazione per il benessere sociale. Particolarmente toccante l’intervento del pianista e compositore Joseph Lu, che ha presentato il video musicale Power of Love, un brano dedicato al tema dell’autismo, sottolineando il potere inclusivo della musica.
La comunicazione come motore di cambiamento
Il libro di Maimone è stato descritto come un manifesto per una nuova cultura della comunicazione, capace di rispondere alle sfide contemporanee, riconsegnando alla persona la sua centralità in un contesto sociale sempre più frammentato. “Dobbiamo umanizzare il linguaggio, perché esso penetra nelle coscienze, determinando il valore o il disvalore della collettività”, ha spiegato l’autore.
Parola e musica: due linguaggi universali
La conferenza ha anche messo in luce il ruolo della musica come messaggio universale. “Parola e musica sono due facce della stessa medaglia”, ha dichiarato la Senatrice Bevilacqua, sottolineando come entrambe possano essere strumenti di pace e dialogo se usate in modo positivo e costruttivo.
L’incontro, trasmesso in diretta sulla webtv del Senato, ha lanciato un messaggio chiaro: comunicare con consapevolezza significa costruire un mondo più umano e solidale, capace di superare divisioni e creare relazioni autentiche. Un obiettivo ambizioso, ma necessario, che pone la comunicazione al centro del cambiamento.
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Libri
Cronaca di un fallimento: Kamala Harris racconta in “107 Days” la corsa più breve (e disastrosa) alla Casa Bianca
Kamala Harris ha annunciato l’uscita di 107 Days, il volume in cui ripercorre i tre mesi scarsi della sua avventura presidenziale democratica, naufragata tra sondaggi impietosi e fughe di sponsor. La decisione di non candidarsi come governatore della California nel 2026 sembra un passo indietro tattico, in vista di un possibile ritorno alla corsa presidenziale nel 2028

Una corsa lampo, un tonfo fragoroso e ora un libro che tenta di rimettere insieme i cocci. Kamala Harris ha annunciato la pubblicazione di 107 Days, il memoriale della campagna elettorale più breve della storia politica moderna americana: appena tre mesi di tour, comizi e interviste prima della resa, che ha di fatto consegnato la Casa Bianca di nuovo a Donald Trump.
Il volume sarà in libreria il 23 settembre per Simon & Schuster, con la promessa di svelare retroscena e riflessioni di un’esperienza che ha segnato un punto di non ritorno nella carriera politica dell’ex vicepresidente. Nel video di lancio Harris appare sorridente ma provata, e introduce così il libro: «Poco più di un anno fa ho lanciato la mia campagna per la presidenza degli Stati Uniti. Centosette giorni in viaggio per il Paese, lottando per il nostro futuro. È stata la campagna più breve della storia moderna. Dopo aver lasciato l’incarico, ho riflettuto molto su quei giorni e ho scritto un resoconto sincero di ciò che ho visto e imparato».
Dietro le parole, il peso di una sconfitta bruciante. La sua candidatura, nata tra grandi speranze e spinte mediatiche, si è sgonfiata sotto il fuoco incrociato di sondaggi impietosi, raccolte fondi al rallentatore e l’ombra ingombrante di Trump, tornato a dettare legge nel campo avversario.
La Harris, intanto, ha fatto un passo indietro anche a livello locale: ha annunciato che non correrà come governatore della California nel 2026, una mossa interpretata dagli analisti come una pausa strategica in vista di un possibile tentativo di rivincita presidenziale nel 2028.
107 Days si propone come un viaggio dentro errori e lezioni di una campagna-lampo: un racconto di incontri, paure e strategie mai decollate, in cui la politica americana si specchia in un caso emblematico di ascesa bruciata e caduta rapida. Resta da vedere se il libro riuscirà a restituire a Kamala Harris almeno la narrazione di un fallimento dignitoso, mentre Trump brinda al suo secondo mandato e i democratici si leccano le ferite.
Libri
Agatha Christie, la crocerossina che sapeva uccidere: così la regina del giallo imparò l’arte dei veleni
Durante la Prima guerra mondiale la scrittrice si offrì volontaria come assistente farmacista a Torquay, sviluppando la competenza tossicologica che avrebbe reso immortali i suoi delitti letterari.

Tra zollettine di curaro in tasca, manuali di dispensazione e veleni mascherati nella marmellata, Agatha Christie costruì il suo arsenale narrativo durante gli anni in corsia. La sua conoscenza chimica e farmacologica trasformò il giallo in scienza, anticipando metodi e trame che ancora oggi affascinano lettori e studiosi.
Prima di diventare la regina del giallo, Agatha Christie indossò il grembiule bianco della crocerossina. Siamo nel 1914, a Torquay: la giovane Agatha, spinta dal desiderio di contribuire allo sforzo bellico, si offre volontaria in ospedale. È lì che, tra corsie e dispensari, incontra l’ingrediente segreto che renderà micidiale la sua narrativa: la chimica dei veleni.
Come racconta la chimica e saggista Kathryn Harkup nel libro V is for Venom (V come Veleno, Bloomsbury), fu proprio l’esperienza da assistente farmacista a fornirle l’arsenale letale per i suoi futuri romanzi. Nel 1917, Agatha supera l’esame da dispensatrice farmaceutica e comincia a maneggiare sostanze che, a seconda delle dosi, possono curare o uccidere. «Molte delle sostanze presenti nei suoi gialli avevano all’epoca un uso medico», ricorda Harkup. Non a caso, nel suo esordio Poirot a Styles Court, Christie cita direttamente il manuale The Art of Dispensing, che studiava in quegli anni.
A rafforzare la sua curiosità fu l’incontro con un farmacista locale, Mr. P, figura quasi da romanzo. Nella sua autobiografia, Christie lo descrive come un uomo dall’aspetto innocuo ma inquietante, che portava in tasca una zolletta di curaro «perché gli dava un senso di potenza». Da lui imparò dettagli pratici che poi si sarebbero trasformati in omicidi letterari: dalle proprietà della strofantina, veleno di frecce africane usato all’epoca come farmaco cardiaco, fino all’arte di sfruttare la sottile linea che separa la dose terapeutica da quella letale. Tre racconti pubblicati tra il 1937 e il 1958 si basano proprio su questa sostanza.
La Christie sapeva che un buon avvelenamento letterario non si gioca solo sulla sostanza, ma anche sui tempi di azione. Nel romanzo Polvere negli occhi, ad esempio, un uomo d’affari muore apparentemente dopo una tazza di tè. Ma l’indizio è depistante: il veleno non è nel tè, bensì nella marmellata della colazione, che ha mascherato il gusto amaro della tassina, alcaloide tossico del tasso. In Poirot e i quattro, invece, un indizio in punto di morte — “gelsomino giallo” — si rivela la chiave di un avvelenamento da gelsemina, principio attivo di varietà di Gelsemium mortali che in Inghilterra non sopravvivono, segno che la mano dell’uomo ha colpito.
Non solo veleni vegetali: la sua fantasia toccò anche batteri e armi biologiche. In Carte in tavola (1936), un pennello da barba contaminato con antrace richiama un incidente reale del 1915. Ma con la diffusione degli antibiotici negli anni ’40, le sue trame batteriologiche svaniscono: troppo facile salvare una vittima con un’iniezione.
Così, mentre nelle corsie di Torquay iniettava medicinali per salvare vite, nella sua mente Agatha imparava a uccidere persone di carta, trasformando ogni fiala, zolletta o barattolo di marmellata in un potenziale colpo di scena. E la sua penna, come una siringa, non sbagliò mai la dose.
Libri
Claudio Amendola si racconta: dalla gioventù ribelle alla paternità
“Ma non dovevate anda’ a Londra” è il libro scritto da Claudio Amendola che ci permette di conoscere meglio l’uomo dietro l’attore.

Claudio Amendola, l’amato attore e regista italiano, ha pubblicato il libro “Ma non dovevate anda’ a Londra“, Sperling & Kupfer editore, 256 pagine, un’autobiografia che ripercorre i suoi primi 32 anni di vita. Nell’opera, l’attore romano si racconta con sincerità e ironia, rivelando aneddoti sulla sua infanzia, adolescenza e giovinezza, segnate da una grande libertà, ma anche da momenti di difficoltà.
Un’infanzia segnata dalla politica e dal cinema
Figlio d’arte, Amendola è cresciuto in un ambiente artistico e politico. Sua madre, la celebre doppiatrice Rita Savagnone, era una convinta comunista e lo ha coinvolto fin da piccolo nelle sue battaglie ideologiche. Un viaggio in Europa dell’Est, organizzato dalla madre, ha lasciato un segno indelebile nell’animo del giovane Claudio, che ha scoperto l’importanza della libertà e dell’uguaglianza. Ma è stato il padre, Ferruccio Amendola, anch’egli doppiatore di primissimo piano apprezzato da attori di tutto il mondo, a trasmettergli la passione per il cinema. Claudio ha trascorso l’infanzia e l’adolescenza tra set cinematografici e studi di doppiaggio, assorbendo l’atmosfera creativa e l’amore per la recitazione.
Un giovane ribelle e le sue passioni
Raccontandosi Amendola non ha nascosto le sue difficoltà scolastiche e la sua indole ribelle. Ha lasciato la scuola dopo la terza media e ha iniziato a lavorare presto, sperimentando diversi mestieri. Il calcio – e la squadra della Roma di cui è uno sfegatato tifoso – sono stati un’altra grande passione, ma anche una fonte di delusioni. Nel libro l’attore ha ammesso di aver avuto un periodo difficile con la droga, dalla quale è uscito grazie alla consapevolezza di essere padre. Amendola parla anche dei suoi rapporti familiari soprattutto quello con la madre che è stato molto intenso e conflittuale. Con il padre, invece, ha sempre avuto un legame profondo, nonostante le separazioni. L’attore ha raccontato anche dei suoi amori, compresa la relazione con Francesca Neri, di cui parla con grande rispetto e affetto.
La paternità e il successo
Amendola è padre di tre figli. Ha ammesso di non essere stato sempre presente come avrebbe voluto, ma di essere orgoglioso dei suoi ragazzi. L’attore ha sottolineato l’importanza della famiglia e del ruolo di padre nella sua vita. Il successo professionale è arrivato grazie a numerosi film e serie tv, tra cui “I Cesaroni“, che gli ha regalato una popolarità senza precedenti. Amendola ha ammesso di aver apprezzato la sicurezza economica che gli ha garantito questo successo, ma ha anche sottolineato l’importanza di mantenere la propria indipendenza e di non farsi condizionare dal successo.
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