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Sic transit gloria mundi

Trump 2.0: il governo del grande ritorno (e dei grandi timori). Suprematisti, no vax e falchi… e c’è pure chi ha sparato a un cucciolo di cane.

Un governo che sembra scritto da un cattivo di James Bond: suprematisti bianchi, complottisti no vax, cacciatori di migranti, magnati delle trivelle e persino un’ammazza cuccioli. La squadra di Trump, tra nostalgie dell’estrema destra e tecno-miliardari, promette di trasformare l’America in un reality distopico. Politiche estreme, proclami roboanti e zero compromessi.

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    Donald Trump è tornato. Non che se ne fosse mai andato, sia chiaro. Ma il secondo mandato del tycoon promette di essere uno spettacolo ancora più estremo del primo, un cocktail micidiale di estremismo, provocazione e sfacciata propaganda. E il cast che ha scelto per questa nuova, distopica stagione politica? È un mix di figure ultraconservatrici, miliardari e fedelissimi. Con qualche presenza dirompente e con più di un’ombra nel passato (e nel presente). Un gruppo di ultras trumpiani che sono pronti a seguirlo in maniera incondizionata, senza troppe discussioni e, soprattutto, senza pensarci troppo su. Con la vittoria elettorale contro Kamala Harris, insomma, Donald Trump torna alla Casa Bianca più forte di prima, con un programma fatto di slogan e proclami perfetti per un post su X. Un bis che si preannuncia ancora più polarizzante del primo… Ma quali sono i profili di questo “dream team”? Ecco uno sguardo approfondito sulle scelte, tra ritorni, novità e polemiche. Tanto più che, com’era prevedibile, le sue scelte stanno già facendo discutere dentro e fuori gli Stati Uniti, promettendo un futuro pieno di incognite, colpi di scena e tensioni. Quello che appare subito certo è che ogni nome scelto sembra lanciare un messaggio chiaro: l’America di Trump vuole andare fino in fondo, senza compromessi. E senza concessione alcuna a quella metà degli americani che non l’ha votato e si prepara a subire quattro anni da incubo.

    Stephen Miller, vice capo dello staff: il ritorno del suprematista

    Cominciamo con Stephen Miller, il volto dietro alcune delle politiche più controverse del primo mandato Trump. Miller è la mente dietro il Muslim Ban, la tolleranza zero al confine e alle gabbie per i bambini migranti che hanno agghiacciato tutto il mondo. Ora sarà il vice capo dello staff, pronto a sfornare nuove idee che faranno impallidire i benpensati. Ma non preoccupatevi: Miller, noto suprematista bianco, questa volta indossa la veste da chierichetto e promette di essere “inclusivo”. Del suo club, ovviamente. Per gli altri nessuna pietà.

    Elon Musk e Vivek Ramaswamy: il progetto DOGE

    Ormai è risaputo. Trump ha affidato il nuovo Dipartimento per l’Efficienza Governativa (DOGE) a Elon Musk e Vivek Ramaswamy, che dovranno smantellare la burocrazia americana. Quale miglior modo di snellire il governo se non mettere al comando due miliardari ossessionati dai tagli e dalle criptovalute? Se il loro piano è efficiente come Twitter sotto Musk, gli americani possono prepararsi a lunghe file e al caos amministrativo totale. E che dire di Ramaswamy? Imprenditore nelle biotecnologie, ha un patrimonio stimato di 600 milioni di dollari. Avversario storico di ogni teoria di inclusione e di gender, si era presentato come candidato anti Trump (più a destra). Salvo poi passare dalla sua parte una volta sconfitto.

    Lee Zeldin all’Ambiente: addio alla protezione del pianeta

    Chi meglio di un convinto negazionista climatico per guidare l’Agenzia per la Protezione dell’Ambiente? Lee Zeldin, feroce oppositore delle politiche verdi, convinto assertore del ritorno ai combustibili fossili, è colui che guiderà gli USA verso il futuro ambientale. La sua prima mossa? Forse sostituire gli alberi con trivelle e trasformare i parchi nazionali in parcheggi per SUV. Le sue priorità sembrano puntare su una deregolamentazione aggressiva, con l’obiettivo di favorire lo sviluppo economico. Ma a che prezzo? Gli ambientalisti temono che sotto la sua guida l’agenzia possa diventare un semplice strumento per gli interessi delle grandi industrie, mettendo a rischio i progressi fatti negli ultimi anni in materia di sostenibilità.

    Robert F. Kennedy Jr., alla Sanità: il no vax alla guida della salute

    E perché non mettere un no vax cospirazionista a capo della sanità? Robert F. Kennedy Jr., già abbandonato dalla sua stessa famiglia per le sue posizioni estreme, sarà il nuovo ministro della Salute. Immaginate il livello di sicurezza sanitaria negli Stati Uniti quando l’uomo che pensa che il virus non esiste e che i vaccini siano una cospirazione globale contro l’umanità dovrà gestire pandemie e crisi sanitarie. Non è chiaro se al giuramento porterà una mascherina o un cappello di carta stagnola anti-radiazioni.

    Tom Homan all’immigrazione: il regista delle deportazioni

    Trump lo ha promesso espressamente: assisteremo alla più grande deportazione di massa della storia. E se pensavate che fossero solo battute elettorali ed esagerazioni acchiappavoti, vi presentiamo Tom Homan, nuovo capo dell’Immigration and Customs Enforcement (ICE). Con il suo entusiasmo per le deportazioni di massa, Homan promette di “risolvere” la questione migratoria mandando a casa quanta più gente possibile in pochi mesi. Un piano forse eccessivo, visto che ha già fatto una parziale marcia indietro: inizierà solo con i “criminali”. Peccato che per lui, essere un immigrato senza documenti sia già un crimine passibile di espulsione.

    Elise Stefanik, ambasciatrice ONU: l’inesperienza come biglietto da visita

    Nel delicatissimo ruolo di rappresentante degli Stati Uniti alle Nazioni Unite, troviamo Elise Stefanik, fedelissima trumpiana nota per la sua abilità nel ripetere a pappagallo qualunque teoria complottista le venga servita. Vicinissima a QAnon (ebbene sì, quelli che credono che Hillary Clinton sia a capo di una setta satanica che si mantiene giovane bevendo il sangue dei bambini nello scantinato di una pizzeria), andrà a discutere all’Onu dei massimi sistemi. Con lei, la diplomazia americana si ridurrà a meme e tweet, probabilmente scritti in Comic Sans.

    Kristi Noem: alla Sicurezza Interna l’ammazzacuccioli

    Governatrice del South Dakota e fedelissima di Trump, è stata nominata segretaria alla Sicurezza Interna. Noem si è distinta per le sue posizioni ferme in materia di immigrazione e sicurezza. Tra le sue iniziative passate, il dispiegamento della Guardia Nazionale al confine con il Messico e il taglio di fondi per programmi inclusivi. La sua storia personale – come il racconto di aver sparato al suo cane da caccia, un cucciolo di 14 mesi che non voleva ubbidire – ha fatto discutere, ma per Trump è una scelta perfettamente in linea con la sua visione di un governo forte e deciso. Si spera che abbia più pietà per gli esseri umani che per i segugi, ma c’è chi ne dubita.

    Mike Waltz, consigliere per la Sicurezza Nazionale: l’esperto di minacce globali

    Nel ruolo chiave di consigliere per la Sicurezza Nazionale, Trump ha scelto Mike Waltz, deputato e veterano pluridecorato. Waltz porta con sé un’esperienza significativa in politica estera, ma anche una visione molto rigida sulle relazioni internazionali. È un sostenitore di un approccio più aggressivo verso la Cina e di una politica di deterrenza nei confronti di Russia e Iran. Noto per il suo approccio duro e per il suo sostegno a una politica di “pace attraverso la forza”, sotto la sua guida ci si aspetta un’intensificazione delle tensioni con la Cina, che Waltz considera la principale minaccia strategica per gli Stati Uniti.

    Steven C. Witkoff: un magnate immobiliare alla prova del Medio Oriente

    Donald Trump ha scelto Steven C. Witkoff, magnate immobiliare e filantropo, come inviato speciale per il Medio Oriente. Nonostante la sua esperienza limitata in politica estera, Trump lo ha definito “una voce instancabile per la pace”. Tuttavia, la sua prima dichiarazione sul conflitto israelo-palestinese ha già sollevato polemiche: “Non esiste la Cisgiordania, esistono solo Giudea e Samaria”. Una posizione che rischia di compromettere ogni tentativo di dialogo con i palestinesi. La nomina sembra più mirata a rafforzare il sostegno interno alle politiche pro-Israele che a costruire ponti nella regione. Con un incarico delicatissimo, Witkoff dovrà dimostrare se un uomo d’affari può trasformarsi in un efficace diplomatico.

    Matt Gaetz: Ministro della Giustizia perfetto per Trump?

    Chi meglio di Matt Gaetz, noto alle cronache per essere stato al centro di indagini federali e accuse infamanti, poteva guidare il Dipartimento di Giustizia nell’amministrazione Trump? Deputato della Florida e fedelissimo del tycoon, Gaetz è stato indagato per traffico sessuale, presunti rapporti con una minorenne e uso di droghe, sebbene nel 2023 il Dipartimento di Giustizia abbia deciso di non procedere con accuse formali. Le polemiche non si sono fermate: una Commissione Etica della Camera stava indagando su comportamenti inappropriati e regali non dichiarati, ma l’inchiesta è stata interrotta dopo le sue dimissioni nel 2024. Nonostante tutto, Trump ha elogiato la sua “determinazione a riformare il sistema giudiziario”, affidandogli un ruolo delicatissimo che, secondo molti, potrebbe accentuare le tensioni politiche piuttosto che risolverle.

    Tulsi Gabbard: da Sanders a Trump, con l’agilità di una ballerina di liscio

    Chi l’avrebbe mai detto che Tulsi Gabbard, paladina della sinistra estrema di Bernie Sanders, avrebbe fatto un salto acrobatico verso l’estrema destra di Donald Trump? Con la grazia di una ballerina di liscio, Gabbard ha abbandonato i Democratici nel 2022 per abbracciare posizioni ultraconservatrici: anti-aborto, anti-transgender e pro-muri di confine. Non contenta, ha consolidato il suo status di “trumpiana di ferro” lodando dittatori come Vladimir Putin e Bashar al-Assad. Ora, il tycoon la premia facendola sua consigliera speciale per la politica estera: un incarico perfetto per chi, come lei, ha sempre visto la diplomazia più come un optional che una priorità.

    Marco Rubio: da “Little Marco” a Segretario di Stato, con inchino finale

    Marco Rubio, una volta deriso da Trump come “Little Marco” durante le primarie del 2016, ha fatto la sua scalata verso la redenzione politica. Ora è il nuovo Segretario di Stato, un incarico di peso per uno che ha trascorso anni facendo il tifo per ogni guerra possibile, dalla Cina all’Iran, passando per l’Ucraina. Ex “neocon” a pieno titolo, Rubio ha imparato a mettere da parte i sogni da crociata globale per sposare il verbo trumpiano: meno Nato, più compromessi, e un bel “negoziato” per chiudere il capitolo Ucraina. Il primo ispanico a ricoprire questo incarico, Rubio è il perfetto esempio di come la politica estera americana possa oscillare tra il falco e l’opportunista, purché si rimanga nel solco di “America First”.

    Susie Wiles: la “fanciulla di ghiaccio” al timone della Casa Bianca

    Susie Wiles, prima donna a diventare capo dello staff della Casa Bianca, è l’arma segreta di Trump: discreta, silenziosa e letale. Dopo aver coordinato le campagne elettorali del tycoon dal 2016 con la freddezza di un cecchino, Wiles si è guadagnata il soprannome di “fanciulla di ghiaccio” direttamente dal suo capo, che l’ha celebrata durante il discorso della vittoria. Poco nota al grande pubblico, Wiles ha lavorato nell’ombra, evitando i riflettori e costruendo strategie che, piaccia o no, hanno funzionato. Ora sarà lei a gestire il caos organizzativo di una presidenza che promette di essere tutto fuorché tranquilla: un ruolo perfetto per chi ha fatto della compostezza glaciale la sua arma migliore.

    Pete Hegseth: da Fox News al comando del Pentagono

    Tra i nominati da Donald Trump, Pete Hegseth, giornalista e conduttore per Fox News, spicca come una scelta tanto controversa quanto prevedibile. Prima di essere scelto come capo del Pentagono, Hegseth ha lavorato per otto anni nel network conservatore, diventando uno dei volti più riconoscibili e una voce fervente a sostegno delle politiche “America First” di Trump. La sua transizione da opinionista televisivo a leader delle forze armate ha suscitato non poche polemiche, soprattutto per alcune dichiarazioni controverse, tra cui la sua opposizione alla presenza di donne in ruoli di combattimento. Durante la sua carriera militare, ha servito come ufficiale di fanteria nella Guardia Nazionale dell’Esercito, con missioni in Iraq, Afghanistan e Guantanamo Bay. Il suo passato non è privo di scandali: nel 2019, ha persuaso Trump a graziare due soldati americani condannati per crimini di guerra in Iraq, suscitando indignazione tra esperti militari e associazioni per i diritti umani.

    Scott Bessent e Bill Hagerty: i custodi del Tesoro e della politica estera trumpiana

    Per il Dipartimento del Tesoro, il nome più accreditato è quello di Scott Bessent, hedge fund manager e uno dei principali fundraiser di Trump. Ex consigliere economico, Bessent è noto per il suo sostegno ai dazi e alla politica economica protezionistica che ha caratterizzato il primo mandato del tycoon. La sua nomina rappresenterebbe un ritorno al “Trumpismo” economico puro: meno globalizzazione, più America First, e nessun timore di irritare i partner commerciali.

    Nel frattempo, per incarichi chiave legati alla politica estera, emerge il nome di Bill Hagerty, senatore repubblicano del Tennessee ed ex ambasciatore in Giappone. Hagerty si è distinto per le sue posizioni dure contro la Cina e per il suo appello a tagliare immediatamente tutti gli aiuti a Kiev. Con la sua esperienza diplomatica e la sua fedeltà a Trump, Hagerty rappresenta la continuità perfetta per un’amministrazione che punta a ridefinire gli equilibri geopolitici mondiali a favore degli Stati Uniti.

    La squadra di Trump per il secondo mandato promette di essere tanto audace quanto divisiva. Le nomine riflettono una chiara volontà di ribaltare l’ordine politico ed economico degli ultimi anni, ma sollevano interrogativi sulla direzione che gli Stati Uniti prenderanno nei prossimi quattro anni. Se l’obiettivo è quello di mantenere alta l’attenzione e accendere il dibattito, Trump ci sta riuscendo perfettamente. Per dirla con una famosa canzone di Checco Zalone: “Siamo una squadra fortissimi, fatta di gente fantastici”, in un perfetto mix di provocazione, ideologia estrema e politiche populiste. E mentre il mondo osserva attonito, Trump se la ride. Perché questa è la sua America: un reality show dove i buoni perdono sempre, e i cattivi hanno il microfono più grande.

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      Perché Mediaset tace sul caso Signorini? Il silenzio imbarazzante che pesa più delle accuse di Corona

      In altri Paesi, di fronte a presunte molestie, le aziende intervengono subito. Qui no. Nessuna nota ufficiale, nessuna sospensione cautelare, nessun chiarimento. Solo silenzio. Un silenzio che diventa posizione, protezione, scelta. E che apre una domanda: perché?

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        Il punto non è stabilire se Fabrizio Corona dica la verità o no. Quello riguarda le procure, gli avvocati, i tribunali. Il punto è che intorno ad Alfonso Signorini si è sollevata una tempesta mediatica gigantesca, con accuse pubbliche, testimonianze, interrogatori, parole pesantissime. Sui social non si parla d’altro, i giornali ne scrivono ogni giorno, l’immagine di Mediaset è trascinata dentro un vortice potenzialmente devastante. E l’azienda cosa fa? Niente. Non una riga. Non una parola. Non una postura pubblica.

        In qualunque altra azienda del mondo sarebbe impensabile

        Negli Stati Uniti, in Inghilterra, in Francia, basta un sospetto del genere e partono immediatamente provvedimenti cautelativi: sospensioni temporanee, comunicati ufficiali, prese di distanza nette, annunci di indagini interne. È una regola non scritta ma rigorosa: prima si tutela il marchio, poi – eventualmente – si difende la persona.
        Qui no. Qui tutto tace. Qui si finge che non stia succedendo nulla. Qui si aspetta. Qui si ignora volutamente un dibattito gigantesco. Qui sembra quasi che si speri che passi la tempesta.

        Forse Signorini non è un semplice volto tv

        E allora sorge spontanea la domanda che tanti stanno facendo: perché questo silenzio?
        Perché di fronte a un caso che esplode a livello nazionale, l’azienda sceglie la linea dell’assenza? Forse perché Alfonso Signorini non è solo un conduttore, ma il custode dei segreti della casa del Biscione da trent’anni? Forse perché se davvero decidesse di “aprire la cassaforte”, rischierebbero in molti e non solo lui?
        È una domanda scomoda, certo. Ma ignorarla è impossibile.

        Il silenzio è già una risposta

        Mediaset può parlare quando vuole. Può chiarire, può prendere posizione, può difendere il suo uomo, può prendere le distanze, può annunciare verifiche. Ma non può più fingere che non stia accadendo niente. Perché quel silenzio è già una dichiarazione.
        E sì, è un silenzio imbarazzante.

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          Buon Natale da LaCity Magazine: il nostro regalo siete voi, tra lifestyle, spettacolo, tendenze e voglia di bellezza

          Moda, cinema, musica, televisione, cucina, beauty, viaggi, gossip, tendenze: LaCity Magazine ha raccontato un anno pieno di novità e passioni. Vi ringraziamo per averci scelto ogni giorno e vi auguriamo un Natale leggero, luminoso e pieno di cose belle. Il 2026 vi sorprenderà: noi saremo qui, pronti a raccontarlo.

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            Cari lettori,
            questo è il momento più semplice e allo stesso tempo più importante dell’anno: dirvi grazie e augurarvi Buon Natale. LaCity Magazine è un daily online che vive di curiosità, energia, creatività e voglia di raccontare ciò che rende la vita più interessante: lo spettacolo che emoziona, il cinema che fa sognare, la musica che accompagna i ricordi, la cucina che unisce, il beauty che fa stare bene, le tendenze che raccontano il cambiamento.

            In dodici mesi abbiamo condiviso notizie, storie, interviste, retroscena, ispirazioni e passioni. Abbiamo seguito i grandi eventi, gli scandali, i successi, le mode e le novità. E soprattutto lo abbiamo fatto insieme a voi, che ogni giorno scegliete di leggere LaCity Magazine per informarvi, divertirvi, distrarvi e trovare quello spazio di leggerezza intelligente che tutti, ogni tanto, meritiamo.

            Il Natale è una pausa luminosa: un momento per rallentare, respirare e trovare un po’ di bellezza nelle cose semplici. Il nostro augurio è che sia un Natale pieno di sorrisi, affetti, emozioni e piccoli piaceri. E che il nuovo anno porti nuove storie, nuovi sogni e nuova voglia di vivere bene.

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            Dal direttore e da tutta la redazione,
            Buon Natale e Felice Anno Nuovo.

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              Signorini contro Corona, Corona contro Signorini: la resa dei conti tra ex complici di uno star system che finge di scandalizzarsi

              Lo scontro tra Alfonso Signorini e Fabrizio Corona non è uno scandalo morale, ma un regolamento di conti tra due figure cresciute nello stesso sistema televisivo. Un meccanismo noto da decenni, che trasforma il potere in intrattenimento, gli abusi in gossip e l’indignazione in spettacolo, mentre il vero problema resta intatto.

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                Chiariamo subito un punto, senza ipocrisie né prudenza lessicale: Alfonso Signorini non è il problema. È il sintomo. È la faccia pettinata, rassicurante, televisivamente educata di un meccanismo che da anni scambia il vuoto per spettacolo e il potere per talento. Se oggi è sotto accusa, non è perché abbia inventato qualcosa, ma perché ha incarnato alla perfezione ciò che questo sistema richiede: obbedienza alle dinamiche, cinismo mascherato da ironia, gestione del desiderio altrui come merce di scambio.

                E poi c’è Fabrizio Corona. Che improvvisamente scopre di essere il depositario della verità. L’uomo che oggi si atteggia a giustiziere morale è lo stesso che per anni ha campato, prosperato e si è arricchito esattamente grazie a quel mondo che ora finge di voler smascherare. Non è un pentito. È un escluso. E la differenza è enorme.

                Il punto non è che Corona parli. Il punto è che reciti la parte di chi “non sapeva”, quando invece sapeva benissimo. Anzi, partecipava. Frequentava. Usava. Guadagnava. Oggi si presenta come se fosse appena entrato in scena, come se non avesse passato una vita a giocare allo stesso tavolo di Signorini, con le stesse regole non scritte, gli stessi silenzi, le stesse ambiguità.

                Questo non è uno scandalo. È una resa dei conti. È una guerra tra ex alleati che si conoscono troppo bene. Gente che ha condiviso favori, coperture, opportunità e ipocrisie, e che ora si accoltella a colpi di podcast, interviste e minacce legali. La parola “sistema” viene agitata come una clava, ma non è una scoperta: è la casa in cui hanno abitato entrambi per anni.

                La televisione, intanto, osserva compiaciuta. Perché mentre Signorini viene dipinto come il volto del male e Corona come il profeta tardivo, il meccanismo resta intatto. Funziona. Produce ascolti, clip, meme, schieramenti da stadio. Trasforma accuse gravissime in intrattenimento e le lotte di potere in format. E il pubblico fa esattamente ciò che gli viene richiesto: si divide, si indigna, difende il proprio idolo, urla “vergogna” senza mai spostare lo sguardo dal tendone.

                Nel frattempo, questioni enormi vengono schiacciate sotto il peso del circo. Perché al di là di Signorini e Corona, entrambi milionari e perfettamente integrati nel sistema che fingono di combattersi, esiste un tema molto più scomodo: gli abusi di potere all’interno dello star system, soprattutto quando il potere passa dal desiderio, dalla promessa, dalla possibilità di “farcela”. Un tema che altrove ha prodotto movimenti come il #MeToo, e che qui viene ridotto a gossip, meme e tifo organizzato.

                Quando Corona pronuncia frasi come «se non andavi a letto con lui, non andavi in televisione», non sta rivelando un segreto arcano. Sta dicendo qualcosa che scrittori, giornalisti e autori raccontano da almeno sessant’anni. Da Truman Capote a Bret Easton Ellis, passando per Aldo Busi e il suo brutale ma onesto “obolo del sofà”. Davvero qualcuno crede che lo star system funzioni per merito puro? Davvero esistono ancora gli ingenui divorati da dinamiche che “non conoscevano”?

                La verità è più scomoda: questo sistema è marcio, sì, ma è noto. È accettato. È frequentato. E spesso, finché conviene, è persino difeso da chi oggi grida allo scandalo. Non esistono solo carnefici e vittime immacolate. Esistono zone grigie, compromessi, scelte consapevoli. E raccontarla diversamente serve solo a salvare le coscienze, non a cambiare le cose.

                Alla fine, non esplode nessuna verità. Non cade nessun impero. Cambiano i ruoli: chi era dentro ora accusa, chi era al comando ora si difende. Ma il tendone resta in piedi. E chi urla più forte non è il più puro: è semplicemente quello che non ha più nulla da perdere.

                Il resto è rumore. E la televisione, come sempre, ringrazia.

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