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Sonar: tra suoni e visioni

Quando il divo di Hollywood vuole fare la rockstar

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    Me lo ricordo molto bene nel 1984 con il suo esordio nel film horror Nightmare, dal profondo della notte con Robert Englund, in cui interpreta una vittima di Freddie Kruger. Sto parlando di Johnny Depp, allora lontano da trasformarsi in oggetto del desiderio di milioni di donne, completamente liquefatte alla vista di Chocolat. E visto ho citato il cattivissimo Freddie… vi svelerò che, quando nel 1990 incontrai Englund per un’intervista in un lussuoso hotel a Milano, ebbi con lui una piacevolissima ed inaspettata chiacchierata musicale. Conoscendo la sua sorprendente passione per il gruppo scozzese dei Blue Nile di Paul Buchanan (se non li avete mai sentiti, recuperate assolutamente il loro disco d’esordio, A Walk Across The Rooftops), mi presentai nella hall dell’albergo con una copia del loro disco, che lui mi autografò con la seguente dedica: I’m your nightmare! Robert Englund.

    Robert “Freddie” Englund con un giovane e brufoloso Luca Varani…

    Pervaso dalla contagiosa febbre del rock

    Ma torniamo a bel (almeno una volta…) Johnny che, nel 1979 quando aveva sedici anni lasciò la Miramar High School in Florida per diventare un musicista rock. Nel 1980 forma la sua prima band, The Kid che, dopo aver riscosso un buon successo nei locali della Florida, si trasferì a Los Angeles, in cerca di un occasione discografia, cambiando nome in Six Gun Method. Il loro scioglimento avverà prima di ottenere uno straccio di contratto. Johnny non si da per vinto e pervaso dalla contagiosa febbre del rock entra a fare parte dei Rock City Angels, scrivendo anche una canzone, Mary, per il loro album di debutto Young Man’s Blues.

    Nicholas Cage lo spinge a fare dei provini per il cinema

    In quel periodo, grazie alla ex moglie Lori Ann Allison conosce Nicholas Cage, che lo spinge a fare dei provini per diventare attore. Depp si presenta ai provini di Nightmare con il regista Wes Craven senza avere nessuna esperienza, prima di avere una parte in Platoon di Oliver Stone nel 1986 e di diventare un teen idol con la serie 21 Jump Street. Dirà in seguito: «La mia carriera a Hollywood è iniziata per caso, non avevo nessun desiderio di diventare un attore».

    Chitarra: grande, irrinunciabile amore

    La sua passione è sempre stata la chitarra, che è riuscito a suonare negli anni ’90 in alcuni dischi di Oasis, Iggy Pop, Tom Petty, Aerosmith e Marilyn Manson, prima di entrare a far parte di una superband di Los Angeles insieme a Flea dei Red Hot Chili Peppers, Steve Jones dei Sex Pistols e Gibby Haynes dei Butthole Surfers. Lo ritroveremo poi negli Hollywood Vampires con Alice Cooper e Joe Perry. Nel 2020 registra una cover di Isolation di John Lennon in compagnia di Jeff Beck, con il quale ha pubblicato l’album 18 . «Le mie influenze artistiche più importanti sono tre: Tim Burton, Charles Baudelaire e Hunter S. Thompson» ha detto in una intervista, «Ma la musica mi ha sempre ispirato più di qualsiasi altra forma d’arte».

    Il suo stile

    Depp è certamente più rock dal punto di vista del look che della maestria alla 6 corde… un’estetica molto gipsy la sua, elaborata partendo da una base squisitamente grunge, che cita l’iconografia classica: jeans sdruciti, gilet, anelli in argento, cappelli fedora, foulard. Le sue esibizioni musicali… niente di che.

    Scegliendo i dischi per l’isola deserta

    Nella sua lista degli album preferiti c’è tutta la storia del rock: Bob Dylan, Rolling Stones, ma anche l’indie pop britannico dei Babybird, la canzone d’autore del maestro Serge Gainsbourg, il rock irlandese dei Pogues e le sperimentazioni della cantante inglese Bat for Lashes. «Ma potrei inserire nell’elenco anche tutti gli album di Patti Smith, senza distinzione» ha detto, «è una leggenda, nel vero senso della parola, una poetessa e una delle grandi sopravvissute del rock». Un posto speciale nella sua lista è riservato a Tom Waits: «È quasi impossibile selezionare un singolo disco: ha segnato il passo infinite volte».

    I suoi quindici album preferiti di sempre, tra “disconi” e “mezze ciofeche”

    Rain Dogs – Tom Waits
    Old Souls & Wolf Tickets – Chuck E. Weiss
    Blood on the Tracks – Bob Dylan
    Ex-Maniac – Babybird
    Watch Me Disappear – Augie March
    Sticky Fingers – The Rolling Stones
    Bliss and Divinidylle – Vanessa Paradis
    Two Suns – Bat for Lashes
    Rum Sodomy & the Lash – The Pogues
    Easter – Patti Smith
    Unknown Dreams – Keith Richards
    Radio Ethiopia – Patti Smith
    Histoire de Melody Nelson – Serge Gainsbourg
    Tattoo You – The Rolling Stones
    Horses – Patti Smith

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      Fai buon viaggio John…

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        Mio padre me lo diceva sempre: “Non ti affezionare troppo ai tuoi idoli perchè, con buona probabilità, li vedrai morire tutti”. Ieri unn’altra leggenda della musica internazionale è venuta a mancare. John Mayall, leggendario frontman della band Bluesbreakers, noto come “il padrino del British Blues”, è scomparso all’età di 90 anni nella sua casa di Los Angeles, California. La famiglia ha annunciato la sua scomparsa con un post sui social media, citando problemi di salute che avevano già costretto Mayall a interrompere la sua lunga carriera di tournée.

        Il crocevia Bluesbreakers

        Classe 1933 di Macclesfield, vicino Manchester, Mayall è stato un vero e proprio pioniere del blues britannico. La sua carriera musicale iniziò nel 1956 con The Powerhouse Four, per poi proseguire con The Blues Syndicate. Nel 1963, fondò i Bluesbreakers, una band che ben presto si trasformò in una vera e propria scuola per numerose future superstar del rock. I Bluesbreakers hanno visto passare tra le loro fila musicisti del calibro di Eric Clapton, Jack Bruce, Mick Fleetwood, John McVie, Peter Green, Harvey Mandel, Larry Taylor, Jon Mark, John Almond e, come dicevo poc’anzi, anche Mick Taylor. Tutti artisti che hanno poi raggiunto fama mondiale con band come Cream, Fleetwood Mac, Rolling Stones, Canned Heat e Mark-Almond Band.

        Una figura fondamentale

        Mayall ha rappresentato una personalità imprescindibile nello sviluppo del rhythm and blues urbano in stile Chicago, contribuendo fattivamente alla rinascita del blues alla fine degli anni Sessanta, ispirando generazioni di musicisti e amanti del blues a venire. Nonostante i problemi di salute che hanno segnato gli ultimi anni della sua vita, ha continuato a influenzare il mondo della musica con la sua incredibile passione e dedizione assoluta.

        Ricordo personale

        Dal vivo sono riuscito a vederlo una volta sola, era il 1982. Teatro Tenda Lampugnano di Milano, un luogo infelice per la musica, praticamente una struttura da circo con un’acustica orrenda ma, ai tempi, quello passava Milano. Da qualche parte del caos che regna nel mio studio devo avere ancora il biglietto, si trattava esattamente del 26 novembre (leggete qui la scaletta dello show). In quella formazione dei Bluesbreakers che lo accompagnava spiccava come special guest della serata un certo Mick Taylor (ex Stones) alla chitarra. Io ero un ragazzino, accanto a me fra il pubblico un signore molto anziano, alto e dritto come un fuso, t-shirt e jeans, mostrava di divertirsi parecchio. Ricordo che pensai: da vecchio voglio essere esattamente così! Quel tizio sconosciuto ora, presso il Paradiso del Blues, starà facendo la fila per un tuo autografo, caro John… Riposa in pace.

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          Gli amici se ne vanno, la musica è finita… almeno quella dei Bon Jovi

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            Risale allo scorso mese l’uscita del nuovo album, il sedicesimo in carriera, della band americana dei Bon Jovi, il cui titolo faceva presumenre – almeno sulla carta – a qualcosa di estremamente duraturo e resistente agli agenti del tempo: Forever. Peccato che, a meno di sorprese nelle prossime settimane – personalmente ne dubito – l’album avrà maturato un record tutt’altro che lusinghiero per la band del New Jersey.

            Solo una misera settimana in evidenza

            Dopo il suo debutto al numero cinque della classifica nella settimana dell’uscita, il disco è svanito dalle prime duecento posizioni della classifica di Billboard la settimana successiva. Volatilizzato, scomparso, smaterializzato. Un disco che rappresenterà quindi il primo album in studio dei Bon Jovi a resistere soltanto una misera settimana nella Top 200 della chart statunitense. Roba che al confronto album insignificanti come quelli di Olivia Rodrigo, Ariana Grande e Doja Cat appaiono dei capisaldi delle 7 note.

            Anche il disco precedente è stato un mezzo flop

            Da qualche decennio ormai la stella dei Bon Jovi non brilla più. Non a caso anche il lavoro precedente 2020 resistette soltanto due settimane in classifica. Nella prima settimana salì fino alla posizione numero 19, sprofondando poi alla 145 la settimana successiva, uscendo in seguito definitivamente dalle prime 200 posizioni e finendo nell’oblio.

            Nessuna data live in vita

            Oltretutto, Forever non potrà neanche godere dell’opportuno booster di un tour – che avrebbe potuto risollevare un poco la situazione. La recente operazione alle corde vocali subita da Jon Bon Jovi non gli permette di essere ancora in grado di affrontare lo stress del cantare dal vivo.

            Cafonissimo

            Forever è rumoroso, appariscente, pomposo, cafone: un reflusso gastrico dell’insostenibile tamarraggine eighties, che si perde nell’eternità del titolo. Non a caso il primo singolo estratto si intitola Legendary. A roprova dell’estrema umiltà che li contraddistingue. C’era davvero bisogno di ribadirlo?

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              Sonar: tra suoni e visioni

              Taylor Swift: non staremo un tantino esagerando?!?

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                Leggo questa notizia – che non è una fake – e non riesco a trattenere un’imprecazione di disgusto: Taylor Swift è stata votata tra le migliori chitarriste degli ultimi vent’anni. Per la precisione risulta in ottava posizione, nell’ambito di un sondaggio indetto dal retailer per chitarre inglese guitarguitar. Va detto che la classifica sarebbe stata stilata elencando i chitarristi che sono stati più “d’ispirazione”, mettendo in secondo piano quindi tecnica e stile. Insomma… ti voto perchè fai perfettamente pendant con lo strumento sul palco, chissenefrega se strimpelli come un musicastro da ristorante di terz’ordine!

                La classifica dei primi 10

                1. 1) John Frusciante (Red Hot Chili Peppers)
                  2) Alex Turner (Arctic Monkeys)
                  3) John Mayer
                  4) Sam Fender
                  5) Jonny Greenwood (Radiohead)
                  6) Chris Shiflett (Foo Fighters)
                  7) Ed O’Brien (Radiohead)
                  8) Taylor Swift
                  9) Tom DeLonge (Blink-182)
                  10) Simon Neil (Biffy Clyro)

                Anche sforzandosi non si riesce proprio a digerire una castroneria del genere! D’accordo che le chitarriste donne vengono spesso ignorate (a volte ingiustamente) da questo genere di poll, e che anche molti giovani strumentisti spesso non vi compaiono. Ma, a parte la popstar americana, alcuni nomi compresi nella lista come Chris Shiflett, Tom DeLonge, Ed Sheeran (…) e Julien Baker (…) fanno alzare gli occhi al cielo.

                IMHO…

                Sarà perchè sono un “vecchio 61enne nostalgico”… ma i miei chitarristi sono ben altra cosa. Cito alla rinfusa: Jimi (vabbè, che lo dico a fare…), Richie Blackmore, Allan Holdsworth, Rory Gallagher, Steve Hackett, Eddie Van Halen, Brian May, Jeff Beck, Adrian Belew, Frank Zappa, Steve Rothery, Derek Trucks, Alex Lifeson, Stevie Ray Vaughan, Eric Clapton, Ry Cooder, Jeff Healy (ho avuto la fortuna di vederlo dal vivo nel 1991), Warren Haynes, David Gilmour… e potrei andare avanti per ore. Una volta tanto non rimpiangendo, con orgoglio, i vent’anni perduti. La mia America rimane quella di Re Elvis, spero di non dover mai vedere quella di Taylor Swift Presidente degli USA (visto che moltissimi osservatori politici le riconoscono grandi qualità da endorser). Anche se, a ben guardare… alla Casa Bianca c’è già stato un attorucolo come Ronald Reagan.

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