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Cronaca

Affetto dalla sindrome di Pkan si laurea con la lode senza poter parlare

Il percorso di Gianluca Zanda è un esempio di come, nonostante le avversità, sia possibile raggiungere obiettivi importanti con determinazione e supporto familiare. Gianluca ora guarda al futuro con ottimismo convinto che nella vita non bisogna mai porsi limiti e che è sempre possibile rimettersi in gioco per realizzare i propri sogni.

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prende la laurea con la voce della sorella perchè affetto da una malattia

    Gianluca Zanda, un giovane di 23 anni affetto da una rara malattia, la sindrome di Pkan, ha raggiunto la laurea in scienze agro-zootecniche all’Università di Sassari con 110 e lode. Originario di Desulo e residente a Villamassargia, Gianluca ha scoperto la sua condizione nel 2020, una sindrome neurodegenerativa che causa accumulo di ferro nel cervello, portando alla perdita della parola e spasmi neurologici.

    Mai rinunciare i propri sogni soprattutto alla laurea

    Nonostante le difficoltà, Gianluca non ha mai rinunciato ai suoi sogni. Soprattutto quello della laurea. Grazie al supporto della sua famiglia e alla determinazione personale, ha continuato gli studi utilizzando il computer per scrivere i suoi appunti e rispondere agli esami. La madre Anna Maria è stata una preziosa assistente nel trascrivere gli appunti delle lezioni. Il padre Pino ha sempre trovato un modo per incoraggiarlo a vedere una luce di speranza anche nei momenti più bui.

    Molta resilienza e il supporto della cugina Francesca

    Per discutere la sua tesi di laurea sulla produzione del latte nell’azienda familiare, Gianluca ha chiesto aiuto alla cugina Francesca Lai, che ha prestato la sua voce durante la discussione. Francesca, pur non essendo esperta del settore, è stata al suo fianco durante tutto il processo di redazione della tesi, rendendo semplice tutto il percorso. La presentazione è stata emozionante e ha dimostrato la straordinaria resilienza di Gianluca.

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      Storie vere

      Come fare la generosa con il portafoglio… degli altri!

      Una famiglia padovana in vacanza a Riva del Garda ha trovato un portafoglio contenente molto denaro, carte di credito e documenti che hanno prontamente restituito alla legittima proprietaria titolare di un ristorante molto noto della zona. Un invito a cena per sdebitarsi…? Si certo ma con una sorpresa finale.

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        Si fa presto a dire ricompensa. Un portafoglio smarrito viene riconsegnato a un ristoratore di Riva del Garda che come ricompensa invita a cena i suoi angeli custodi. Ma…

        Il bel gesto ripagato con una cena

        … ma è successo che questa azione benemerita è diventato un caso. E come mai? Fondamentalmente perché nei paesi dove la cronaca locale latita appena accade qualcosa di particolare, i giornali e i lettori trovano pane per i loro denti. Il fatto è semplice. Una ristoratrice di Riva del Garda aveva smarrito il suo portafoglio su una panchina sul lungo lago. Una famiglia padovana in vacanza nella località gardenese, lo avevo trovato e ha provveduto a restituirlo alla legittima proprietaria. Per sdebitarsi del bel gesto, – dopo aver sborsato subito 50 euro per ringraziare il figlio quindicenne della famiglia – la ristoratrice generosa come ricompensa aveva deciso di invitare tutti a cena.

        Ma qualcosa è andata storta

        Il portafoglio conteneva carte di credito, molto denaro contante e i documenti personali della sua proprietaria. La famiglia si è recata nel ristorante ma alla fine della cena la gratuità annunciata si è trasformata in un conto di 80 euro a cui era stato applicato uno sconto del 10%. Senza protestare, la famiglia, un po’ incredula, ha saldato la cifra e ha lasciato il locale educatamente. L’episodio non è passato inosservato ai paesani, che lo hanno segnalato alla stampa locale. Finalmente un bel caso di cronaca da raccontare, vista la risibilità degli argomenti a disposizione.

        Disattenzione, scuse e nuovo invito a cena

        Diventata quindi il caso del giorno la ristoratrice si è subito ravveduta e ha giustificato il suo gesto come una semplice disattenzione. Tutta colpa del gran caldo e del troppo lavoro di questo periodo, ha argomentato la proprietaria del ristorante. Disattenzione dovuta alla stanchezza e allo stress di questi giorni di fine estate. Dopo le scuse pubbliche il giorno successivo la famiglia è stata invitata nuovamente a cena, questa volta senza dover pagare un euro.

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          Cronaca

          Non poteva pagarsi il volo: 36enne nigeriano si fa arrestare a Varese per essere rimpatriato

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            Non potendo permettersi un biglietto aereo, ha trovato una strada alternativa: farsi arrestare. È la storia, raccontata da La Prealpina, di un 36enne nigeriano residente nel Varesotto, che pur di tornare in patria dalla sua famiglia ha deciso di cercare l’espulsione attraverso un gesto plateale.

            Il copione si è consumato venerdì alla stazione ferroviaria di Varese. L’uomo, in pieno giorno, si è acceso uno spinello proprio davanti agli agenti della Polfer, con l’evidente obiettivo di attirare la loro attenzione. Mossa riuscita. Fermato e perquisito, addosso gli è stato trovato un etto e mezzo di hashish. A quel punto è scattato l’arresto, e la sua comparizione in tribunale per la convalida.

            È stato in quell’aula che il suo piano è diventato evidente. Quando il giudice ha comunicato che la pena sarebbe stata convertita in espulsione, il 36enne ha reagito con entusiasmo: «Benissimo, ci sono riuscito!». Una frase che lascia pochi dubbi sulle sue reali intenzioni.

            Dietro alla vicenda non c’è la ricerca di profitto né un traffico organizzato. L’uomo percepisce la Naspi dopo anni di lavoro in una fabbrica del Varesotto e manda gran parte del sussidio alla sua famiglia in Nigeria. Il suo unico desiderio, spiegano i magistrati, era quello di rientrare a casa, senza avere i mezzi economici per farlo con le proprie forze.

            Non è nemmeno la prima volta. Lo scorso marzo lo stesso 36enne aveva provato a ottenere il rimpatrio inscenando una crisi a bordo di un treno, costringendo i passeggeri a chiamare la polizia. Anche in quell’occasione era stato fermato, ma il tentativo non aveva prodotto l’effetto sperato.

            Questa volta invece la sua strategia ha avuto esito. Ora, come previsto dalle norme, sarà espulso e accompagnato in Nigeria. Un caso che solleva interrogativi sul funzionamento delle procedure di rimpatrio e sulla disperazione di chi, pur regolarmente presente in Italia, sceglie di passare dalle aule giudiziarie per raggiungere il proprio obiettivo: tornare a casa.

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              Storie vere

              Quando sgomberi la cantina e, a sorpresa, salta fuori un Picasso

              Un ritrovamento inaspettato in casa rivela una firma importante: quella di Pablo Picasso. Ma ci vorranno anni e anni di valutazioni e di perizie prima di poter dire che si tratta di un dipinto autentico.

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                Una storia vera, tra quelle che spesso vi raccontiamo, che inizia agli albori degli anni ’60. Esattamente quando un rigattiere di Pompei, scova e recupera una tela arrotolata durante la pulizia di una cantina di una villa a Capri. Un dipinto che reca la figura distorta e asimmetrica di una donna. Nell’angolo superiore sinistro, una firma in corsivo, “Picasso”, che per il giovane robivecchi non ha nessun significato.

                Appeso in soggiorno

                Quando si dice “avere fra le mani un tesoro”… e non saperlo. Portatolo a casa, dopo averlo sommariamente incorniciato, lo appende alla parete del soggiorno dove rimarrà per quasi cinquant’anni. Testimone silenzioso del quotidiano di una modesta famiglia come tante altre, in cui i genitori lavorano duramente e i figli si dedicano agli studi. L’artista responsabile di tale opera è naturalmente quel Pablo Picasso, maestro del cubismo e autore di un capolavoro leggendario come Guernica, proprio lui!

                E’ uguale a quella del mio libro!

                Il figlio più grande è il primo a sospettare qualcosa. Una figura vista in un suo libro di scuola gli evoca l’insolito volto del quadro appeso in salotto. E fa partecipe del sospetto la sua famiglia. Chiaramente la questione viene archiviata sotto il nome “riproduzione”. Ma il dubbio resta: cosa succederebbe se fosse proprio il Picasso citato nel suo libro scolastico? Se fosse così, il corso della loro vita sarebbe stravolto. Un’idea che, col tempo, diventa sempre più persistente, fino a trasformarsi in un’urgente necessità di ricerca, alimentata anche dai pareri positivi di varie persone terze. E’ necessario eliminare ogni incertezza prima di conoscere la verità, investendo anche denato, poiché le stime necessarie comportano un costo e c’è anche la possibilità di essere truffati. Ma ne potrebbe valere la pena…

                Il ritratto della sua compagna per nove anni

                Le analisi chimiche dei materiali, i raffronti con altre opere, le ricerche storiche convergono a focalizzare l’idea che il dipinto di Capri sia uno dei molti ritratti di Dora Maar, poeta e fotografa francese. Compagna e musa privata del celebre artista di Malaga per nove anni, prima di venire abbandonata. L’opera abbandonata può essere databile tra la fine degli anni ’40 e l’inizio dei ’50.

                Con il prezioso aiuto di Luca Gentile Canal Marcante, cacciatore di arte nascosta

                Quindi il mistero parrebbe risolto. Niente affatto! Per esserne sicuri al 100% ci vogliono prove ben più irrefutabili, con una serie di ulteriori problemi dietro l’angolo. Il primo è l’inaspettata confisca per sospetta appropriazione indebita, una supposizione che si dissipa ancor più rapidamente, restituendo il bene ai suoi proprietari. L’ultimo è il muro di gomma eretto proprio dalla Fondazione Picasso. In aiuto della famiglia che detiene l’opera interviene la Fondazione Arcadia, con il presidente onorario Luca Gentile Canal Marcante, amante d’arte e cacciatore di tesori nascosti. E’ lui a farsi carico della situazione.

                La fondazione dell’artista non si pronuncia

                Viene coinvolto il massimo esperto in analisi chimico-scientifiche di opere d’arte, che va a sommarsi a precedenti stime da parte di esperti di pregio, tra i più prerstigiosi in circolazione. Dalla datazione esatta alla valutazione di carattere artistico, dai materiali alla “conformità”: tutto alimenta un corposo dossier che la fondazione parigina gestita dai figli di Picasso sembra non voler esaminare. Perchè mai? Il padre ha realizzato più di 14mila opere e riceve 700 richieste simili al giorno, ma non così dettagliate. Il punto fondamentale è comunque un altro: nel catalogo ufficiale di Picasso c’è un quadro apparentemente identico, il Buste de femme Dora Maar.

                Anche la forma lo conferma

                “Entrambi potrebbero essere originali”, dice l’ultimo degli esperti convocati, “ e probabilmente si tratta di due diversi ritratti del medesimo soggetto, dipinti da Picasso in tempi diversi. Una cosa però è certa: l’opera trovata a Capri e ora conservata a Milano è autentica”. Il risultato dell’ultima perizia eseguita sulla firma, lo conferma, attribuendola alla mano del maestro stesso. Questo è il tassello mancante che completa il quadro, effettivamente classificando l’opera esaminata tra i ritratti femminili di Picasso.

                Un valore che potrebbe aumentare se riconosciuto anche da Parigi

                “Porteremo questo studio insieme a tutti gli altri alla Fondazione di Parigi”, dichiara la famiglia, “in modo che possa essere riconosciuto come una delle opere di Picasso e inserito nel suo catalogo”. Anche se una tale attribuzione è di valore inestimabile per gli amanti dell’arte, questo potrebbe aumentarne il valore commerciale fino a 10-12 milioni di euro, rispetto ai sei attuali.

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