Cronaca
Alberto Stasi esce ed entra dal carcere per fare il contabile
Condannato a 16 anni per l’assassinio della fidanzata, Alberto Stasi – attualmente presso il carcere di Bollate – ha ottenuto dal tribunale di sorveglianza il permesso di lavorare fuori dall’istituto penitenziario. Anche se con regole strettissime alle quali si deve attenere.

Condannato per l’omicidio della fidanzata Chiara Poggi, Alberto Stasi è autiruzzato ad uscire quotidianamente ogni giorni la sua cella di Bollate (MI), attenendosi naturalmente a rigide prescrizioni imposte dal tribunale di sorveglianza. Il 39enne sta scontando una pena definitiva a 16 anni per l’omicidio della fidanzata, avvenuto a Garlasco il 13 agosto 2007.
Si è sempre dichiarato innocente
Lui non ha mai smesso di dichiararsi innocente, sostenendo attraverso i suoi legali che all’ora del delitto stava lavorando alla sua tesi di laurea sul pc. La fidanzata venne uccisa nella villa di famiglia, mentre il resto dei suoi cari si trovava in vacanza. Stasi fu immediatamente sospettato. Venne fermato anche se il gip non confermò l’arresto. Scelse il rito abbreviato e fu assolto in primo grado, grazie al suo alibi.
La questione delle scarpe
L’accusa sosteneva che lo Stasi non potesse non essersi sporcato le scarpe del sangue della vittima. Però neanche quelle dei carabinieri che erano entrati per primi nella villetta erano sporche! Per la condanna mancavano anche un movente ed anche l’arma. Stasi venne quibdi assolto anche in appello. Ma poi la Cassazione annullò la sentenza e in appello bis, il 17 dicembre 2014, lo condannò a 16 anni.
Laureatosi durante le indagini
Durante le indagini, il sospettato prosegue negli studi e si laurea in Economia e Commercio. All’inizio la famiglia Poggi ha difeso il fidanzato della figlia, reputandolo un bravo ragazzo. Lo chiamavano «uno di famiglia» ma nel tempo su di lui sono state ritrovate informazioni piuttosto compromettenti, come per esempio del materiale pedopornografico sul suo computer, che hanno comprensibilmente modificato la prospettiva dei genitori di Chiara.
Un lavoro per provare a ricominciare
Da qualche mese il tribunale di sorveglianza ha accolto la sua richiesta di lavoro esterno – dal giudice in un primo tempo rigettata – caratterizzata però da rigide regole sugli orari di uscita e di rientro in cella, sui mezzi di trasporto da utilizzare e sugli itinerari da rispettare rigorosamente. Il tribunale “confida che la riattivazione dei contatti con l’esterno e del gestire relazioni lavorative e personali possa favorire un più profondo scavo psicologico.Mai come in questo caso la pena debba avere una finalità riparativa non solo esterna, oltre che preventiva”.
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Politica
Ma dove è finita Giorgia Meloni? In un trullo blindato di Locorotondo con Giambruno e Gemmato
Secondo indiscrezioni, Giorgia Meloni avrebbe scelto il Leonardo Trulli Resort di Locorotondo per le sue vacanze estive. Con lei la figlia Ginevra, l’ex compagno Andrea Giambruno e il sottosegretario Marcello Gemmato con la famiglia. Una scelta dettata dal bisogno di privacy, ma anche dall’attrazione per una dimora che unisce lusso e tradizione pugliese.

Non più la masseria di Ceglie Messapica, che lo scorso anno l’aveva vista finire sotto i teleobiettivi dei paparazzi mentre si rilassava a bordo piscina. Quest’estate Giorgia Meloni ha deciso di cambiare scenario, pur restando fedele alla sua amata Valle d’Itria. Tutti gli indizi portano al Leonardo Trulli Resort di Locorotondo, struttura immersa nella campagna pugliese, avvolta da vigneti e muretti a secco, dove la riservatezza è la regola.
Ad accompagnarla in Puglia ci sono la figlia Ginevra e l’ex compagno Andrea Giambruno, con cui ha scelto di mantenere un rapporto sereno per il bene della bambina. Con loro anche il sottosegretario alla Salute Marcello Gemmato, farmacista di professione e in pole per la poltrona di ministro, arrivato in vacanza con la moglie Laura e le due figlie gemelle, grandi amiche di Ginevra.
Il resort, aperto nel 2013 ma costruito attorno a un’antica dimora recuperata con cura, conta quattordici alloggi che oscillano dai 250 ai 900 euro a notte. Trulli in pietra, una piccola masseria liberty e una villa di campagna, tutti con arredi ricercati e giardini privati. La vera chicca è la stanza con piscina segreta ricavata da una cantina sotterranea, diventata virale sui social. Non mancano due ville indipendenti, tra cui villa Leonardo, ideale per famiglie in cerca di totale isolamento: la candidata più probabile per ospitare la premier e il suo entourage.
La scelta non sarebbe casuale. Meloni conosce da tempo la famiglia Cardone, che ha trasformato la residenza in un rifugio esclusivo, a metà strada tra il fascino antico e il comfort moderno. Una dimora nata dalla visione romantica di Leonardo, il fondatore, e oggi curata dalla nipote Rosalba.
Per la premier, quindi, un ritorno in Puglia, ma con una strategia diversa: più spazio, più sicurezza, meno possibilità di flash indesiderati. Perché anche quando la politica si ferma, la riservatezza resta un dovere.
Politica
Trump confonde la Crimea col Texas e inventa guerre: il presidente che inciampa nelle sue stesse gaffe
Donald Trump continua a ripetere che nei primi sette mesi alla Casa Bianca ha risolto sei guerre. Poi, senza battere ciglio, ne annuncia sette, salvo non chiarire quale sia l’ultima. L’exploit radiofonico ha però regalato un doppio scivolone: la Crimea trasformata in un Texas affacciato sull’oceano e il conflitto inesistente tra Azerbaigian e Albania. Un cortocircuito che riaccende i dubbi sullo stato di lucidità del presidente.

Era stato lui, ai tempi della campagna elettorale, a prendersi gioco della presunta fragilità mentale di Joe Biden, ribattezzato con scherno “Sleepy Joe”. Ma ascoltando Donald Trump al microfono del Mark Levin Show, viene da pensare che, a confronto, il rivale democratico fosse davvero un giovanotto fresco come un pischello. Il presidente ha inanellato una sequenza di strafalcioni che hanno lasciato di stucco perfino i suoi sostenitori più accaniti.
Prima la geografia creativa: «La Crimea è grande quanto il Texas e affacciata sull’oceano». In realtà è una penisola che si tuffa nel Mar Nero, e non in un oceano. Poi la diplomazia da avanspettacolo: «Ho risolto la guerra tra Aberbaijan e Albania». Due colpi in un solo colpo: storpiare il nome di un Paese e infilarne dentro un altro che con quel conflitto non ha nulla a che fare.
Eppure, Trump ci crede. Rivendica di aver chiuso sette guerre in sette mesi: India-Pakistan, Israele-Iran, Ruanda-Congo, Thailandia-Cambogia, Armenia-Azerbaigian, Egitto-Etiopia. Più una settima, indefinita, che il presidente evoca con aria misteriosa, parlando di Serbia e Kosovo come se avesse bloccato una guerra che in realtà non è mai iniziata. Il risultato è un elenco confuso, già messo in dubbio dagli stessi protagonisti, che spesso hanno ridimensionato il ruolo americano.
La scena più surreale resta quella con i leader armeno e azero nello Studio Ovale, che Trump descrive come due ragazzi imbronciati convinti all’abbraccio dopo una ramanzina sui commerci. Ma la sua versione cozza con i fatti: la tregua è fragile e gli scontri non si sono fermati.
Un presidente che si vanta di «aver risolto guerre che nessuno pensava risolvibili» e che, allo stesso tempo, trasforma la geopolitica in un pasticcio di geografia e fantasia. Per molti, la vera notizia non è l’ennesimo Nobel che si auto-candida, ma il dubbio che, più che a fermare i conflitti, Trump sia diventato maestro nell’inventarli.
Cronaca
Beata subito! Nuove prove per la beatificazione di Elena di Savoia
Nel 2001 l’allora arcivescovo di Montpellier Jean-Pierre Ricard aprì a livello diocesano la causa di beatificazione della sovrana italiana Elena di Savoia…

Elena di Savoia, moglie di Vittorio Emanuele III, il terzo re d’Italia, è ricordata non solo per il suo ruolo di sovrana, ma anche per la sua profonda fede e dedizione al prossimo.
Nata ortodossa in Montenegro e convertitasi al cattolicesimo dopo il matrimonio, ha vissuto un’esistenza riservata, sempre impegnata nel sostegno ai malati e ai bisognosi. Nel 2001, l’arcivescovo Jean-Pierre Ricard aprì la causa di beatificazione a Montpellier, dove Elena morì in esilio nel 1952, dopo la scomparsa del marito avvenuta ad Alessandria d’Egitto nel 1947.
Un impegno riconosciuto da Pio XII
Nel 1937, papa Pio XII insignì la regina Elena della “Rosa d’oro della cristianità” per la sua instancabile opera sociale. Tra le sue tante iniziative, spicca la creazione di un ospedale oncologico che ancora porta il suo nome, e l’istituzione della prima scuola specialistica per infermiere. Il suo impegno durante i due conflitti mondiali fu straordinario, tanto che nel 1939 cercò di evitare l’ingresso delle nazioni neutrali nella Seconda guerra mondiale, un’iniziativa bloccata da Mussolini.
Gli ultimi anni e il nuovo impulso alla causa
Dopo l’abdicazione del marito nel 1946, Elena si trasferì a Montpellier, dove visse con discrezione nonostante la sua malattia. Esemplare il suo gesto a Lourdes poco prima di morire, quando chiese preghiere non per sé, ma per tutte le madri che avevano perso figli in guerra, come lei stessa aveva sperimentato con la perdita di sua figlia Mafalda nel campo di concentramento di Buchenwald.
Raccolta di nuove testimonianze verso la beatificazione
Ora, il comitato che promuove la causa di beatificazione vuole rilanciare l’iniziativa, cercando di aprire una causa diocesana anche a Roma e raccogliendo nuove testimonianze.
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