Cronaca
Auto elettrica in retromarcia?
Mentre la transizione verso le auto elettriche continua, le sfide restano significative. L’infrastruttura di ricarica inadeguata, i costi elevati e le percorrenze reali inferiori stanno alimentando un crescente malcontento tra i proprietari di veicoli elettrici. Tuttavia, l’interesse per i veicoli elettrici è in aumento, indicando che con miglioramenti infrastrutturali e riduzioni dei costi, il futuro della mobilità potrebbe comunque essere elettrico.

Mentre la Commissione Europea conferma gli impegni del Green Deal e pianifica l’addio ai motori termici in Europa entro il 2035, cresce il numero di coloro che, dopo aver acquistato un’auto elettrica, stanno considerando di tornare ai veicoli a benzina o diesel. Secondo un sondaggio della McKinsey, tre proprietari su dieci di veicoli elettrici manifestano questa intenzione, un dato che negli Stati Uniti arriva quasi a cinque su dieci.
Quanti ci stanno ripensando
Il sondaggio “Mobility Consumer Pulse 2024” di McKinsey ha raccolto le opinioni di oltre 30.000 possessori di auto in 15 Paesi, rappresentando l’80% delle vendite globali. Tra i possessori di veicoli elettrici, il 29% desidera tornare ai motori termici, una percentuale che negli Stati Uniti sale al 46%. In Europa, gli inglesi risultano i più delusi (49%), mentre in Italia solo il 15% dei proprietari di veicoli elettrici vorrebbe tornare al termico, anche se il numero di possessori di auto elettriche nel nostro Paese è tra i più bassi d’Europa.
Quali sono le ragioni di questa frenata
Le ragioni che spingono i proprietari di veicoli elettrici a considerare il ritorno ai motori termici sono diversi.
L’inadeguatezza dell’infrastruttura pubblica di ricarica (35%)
La scarsa diffusione di punti di ricarica pubblici è una preoccupazione crescente, soprattutto perché la prossima generazione di acquirenti di veicoli elettrici farà più affidamento su queste infrastrutture rispetto all’attuale generazione che utilizza maggiormente la ricarica privata.
Elevati costi di proprietà (34%)
I costi delle ricariche, aumentati a causa dei rincari dell’energia, e altri costi di gestione contribuiscono a rendere meno appetibili i veicoli elettrici.
Percorrenze reali inferiori a quelle dichiarate (32%)
Le distanze effettive percorse con una carica completa sono spesso inferiori a quelle dichiarate dalle case automobilistiche, complicando ulteriormente l’uso quotidiano di questi veicoli.
Compreresti un auto elettrica?
Tra coloro che non possiedono un veicolo elettrico, il 21% degli intervistati a livello globale non ha alcuna intenzione di passare all’elettrico. Tra le principali motivazioni il prezzo troppo alto dei (45%), problemi di ricarica (33%).
Il futuro sarà elettrico?
Nonostante queste problematiche, la percentuale di consumatori che prevede di acquistare un veicolo elettrico è in lenta crescita, passando dal 16% nel dicembre 2022 al 18% nel febbraio 2024. Il 27% dei futuri acquirenti europei di veicoli elettrici si dichiara disponibile a scegliere brand cinesi, soprattutto tra i più giovani e coloro che già possiedono un’auto elettrica. Tuttavia, la difficile situazione economica attuale potrebbe indurre il 44% degli aspiranti proprietari a rimandare l’acquisto.
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Politica
Onorevoli morosi: i parlamentari che non pagano le quote e fanno piangere le casse dei partiti (ma non mollano la poltrona)
Sono eletti, ma non pagano. Siedono in Aula, ma latitano alla cassa. In tutti i partiti abbondano i morosi delle quote, quelli che dovrebbero versare contributi e invece fanno gli gnorri. Mentre i tesorieri impazziscono e i bilanci piangono, spunta la minaccia dell’incandidabilità. Ma qualcuno pensa davvero che funzionerà?

Pagano le bollette, forse. Versano il mutuo, magari. Ma quando si tratta di pagare le quote al partito, gli onorevoli si eclissano come fossero a un vertice Nato… ma senza invito. Benvenuti nel meraviglioso mondo degli “onorevoli morosi”: categoria trasversale, bipartisan, e sorprendentemente creativa nel trovare scuse per evitare di saldare i conti con il proprio partito.
Il caso più emblematico è quello del Movimento 5 Stelle, che ha scoperto di avere un buco di 2,8 milioni di euro in quote non versate da parlamentari e consiglieri regionali. E per non farsi mancare nulla, ci sono altri 1,4 milioni mai restituiti in indennità di fine mandato. A quel punto il tesoriere Claudio Cominardi ha detto basta: “O paghi o resti fuori dai giochi”. Tradotto: niente più candidature né incarichi per chi fa lo gnorri alla cassa.
Il risultato? Il partito ha chiuso comunque il bilancio 2024 con un avanzo di oltre due milioni. Magia? No, solo una buona gestione e qualche recupero forzato. Altro che “uno vale uno”: qui vale chi versa.
Ma non pensiate che i grillini siano un’eccezione. Il vizietto del “non pago, tanto chi se ne accorge” colpisce un po’ ovunque. Nel Partito democratico, il buco da morosità è di 441 mila euro, anche se in leggero calo rispetto all’anno scorso grazie ad azioni legali. Insomma: se non vuoi versare spontaneamente, ti citano. Con affetto, si intende. E nonostante tutto, al Nazareno si brinda: avanzo da 650 mila euro, anche grazie al 2×1000 (oltre 10 milioni). Unico problema? L’affitto: 502 mila euro per la sede. Perché sì, la politica costa. Soprattutto se vuoi farla con il parquet.
Il partito con il miglior comportamento? Sinistra italiana, che vede lievitare i contributi da 204 a 281 mila euro in un anno. Unico caso virtuoso. Forse perché, senza grandi mecenati, lì le quote sono come il pane: o le hai, o resti a digiuno.
E il centrodestra? Beh… Fratelli d’Italia, che lascia i versamenti alla volontà degli eletti, ha perso 1,2 milioni. La Lega ne ha lasciati sul campo 700 mila. Risultato: entrambi in rosso, e con i bilanci da rianimare. Tanto che anche loro stanno meditando il modello 5 Stelle: “paghi o fuori”.
In casa Forza Italia, invece, le cose vanno (relativamente) meglio. Il buco c’è – 307 mila euro di disavanzo – ma a tappare le falle ci hanno pensato 128 imprenditori con un cuore grande come una donazione: oltre 1,5 milioni versati. Altro che fundraising: questo è il Superenalotto.
E intanto, mentre i tesorieri fanno i conti con Excel e tachipirina, i parlamentari si dividono in tre categorie:
– quelli che pagano senza fiatare,
– quelli che rimandano “alla prossima settimana” da sei mesi,
– e quelli che proprio spariscono, rispondendo alle PEC con gif di gattini.
L’idea dell’incandidabilità per chi non versa? Bellissima. Ma un po’ come il gelato in spiaggia: parte bene, poi si squaglia.
Perché diciamolo: in politica tutti promettono, ma alla cassa arrivano in pochi. Soprattutto se devono mettere mano al portafogli e non al microfono.
Mistero
Leonardo e l’enigma dell’anguilla nell’Ultima Cena: politica, simboli e un messaggio al Moro
Un saggio di Luigi Ballerini indaga l’enigma gastronomico e simbolico: perché Leonardo scelse di inserire l’anguilla, prelibatezza rinascimentale, sulla tavola di Cristo? Forse un messaggio cifrato contro Ludovico il Moro, più che un vezzo culinario.

Non solo pane e vino. Nell’Ultima Cena di Leonardo, affrescata nel refettorio di Santa Maria delle Grazie a Milano, compare un piatto che non smette di intrigare studiosi e storici dell’arte: l’anguilla, alimento proibito dalle leggi ebraiche. Perché inserirla nella scena più sacra della cristianità? È questa la domanda che anima il saggio Le anguille di Leonardo (Marsilio) di Luigi Ballerini, poeta e saggista che ha insegnato letteratura italiana a Yale e alla New York University.
Per secoli, gli artisti avevano raffigurato l’Ultima Cena con tavole austere, più simboliche che reali: pane azzimo, erbe amare, un pasto essenziale, come volevano i Vangeli e la tradizione monastica. Ma a partire dal Quattrocento, l’immaginario gastronomico entrò nei dipinti, complice il ritrovamento del De Rerum Natura di Lucrezio nel 1417. Un testo che rivalutava i piaceri della vita, costringendo la Chiesa a reinterpretare la gola non più solo come peccato, ma come fonte di energia e vitalità.
È in questo clima che Maestro Martino, cuoco delle corti lombarde, elevò l’anguilla a regina di ricettari e banchetti, inserendola in pasticci e torte speziate. Leonardo però, vegetariano convinto, difficilmente si interessava ai fornelli. Per Ballerini, la scelta non fu gastronomica, ma politica: l’anguilla diventava il simbolo del biscione visconteo, stemma ereditato dagli Sforza. Un monito per Ludovico il Moro, suo committente, che lo pagava a singhiozzo: “Il potere è scivoloso, sfugge di mano”. Non a caso, il duca perse il trono l’anno dopo, travolto dall’invasione francese.
Il mistero resta, ma il dettaglio parla da sé: laddove altri maestri proponevano ciliegie, melograni o pesci di lago come allegorie religiose, Leonardo infilò un piatto che diventava messaggio cifrato. E trasformò la tavola sacra in un campo di battaglia simbolico, dove l’arte smette di nutrire solo l’anima e diventa avvertimento politico.
Storie vere
Truffata dall’alter ego AI di Keanu Reeves per 700 mila euro
Una ragazza spagnola, che affermava di aver conosciuto sui social l’attore Keanu Reeves… si è innamorata di questo sogno ad occhi aperti, rimettendoci 700 mila euro in una truffa: la voce del divo, con il quale chattava online, era stata ricreata con l’AI…

Il sogno di poter dialogare al telefono con il proprio idolo del cinema appartiene a molti. Una donna spagnola di Barcellone, Katy, ha creduto di aver coronato questa aspirazione con l’oggetto dei suoi desideri di fan: l’attore Keanu Reeves, sogno proibito di tantissime donne.
Un sacco di soldi… volatilizzati!
Ha creduto davvero di essere riuscita a parlare con lui, col protagonista della saga di Matrix e di John Wick e, addirittura di avere iniziato una relazione con lui dopo un incontro virtuale su TikTok. Peccato che l’attore, è refrattario ai socia e non possiede account! Un brutto risveglio da un sogno dorato per la ragazza spagnola quando ha realizzato di essere stata vittima di una truffa che le è costata ben 700 mila euro!
In tv per raccontare la truffa
Katy è stata invitata dalla redazione del seguitissimo programma televisivo spagnolo En boca de todos per raccontare la sua disavventura, sperando di poter rappresentare una solrta di allarme vivente per evitare che altre persone vengano truffate in questo modo.
Quando Reeves si è palesato su Instagram, lei non ci poteva credere… e avrebbe fatto bene!
«Sei un ragazzo umile che ama il rock e le moto», questo è il messaggio con cui tutto è cominciato, inviato su TikTok da Katy che credeva di aver raggiunto direttamente il bel Reeves. La donna ha ricevuto poco tempo dopo su Telegram un messaggio dell’attore che sembrava avesse fatto di tutto per rintracciarla: «Non potevo credere che mi avesse chiamata, ma la voce era la sua, proprio come nei suoi film».
Una richiesta di soldi per la pre-produzione di John Wick 5
Da quel momento sono iniziate conversazione fra i due in lingua inglese, che si sono fatte sempre più frequenti. Katy non stava davvero più nella pelle all’idea di essere riuscita a stringere un rapporto con il famoso attore canadese. Il quale, ad un certo punto, ha cominciato a chiedere soldi… Dicendole che lui la riteneva la donna della sua vita: «Mi ha chiesto 5.000 euro per un computer speciale su cui avrebbe potuto creare la sua sceneggiatura di John Wick 5».
Ha dovuto vendere alcune proprietà per il “suo Keanu”
Una prima richiesta alla quale, naturalmente, ne sono seguite altre. Facendo i conti, la malcapitata ha inviato 16 pagamenti diversi per un totale di 700 mila euro. Trattandosi di somme così importanti ha dovuto vendere alcune sue proprietà, finendo per indebitarsi fino al collo.
L’amara scoperta
«Mi sono sentita usata, come una bambola rotta», ha dichiarato in tv la donna. Peccato solo che ci sia voluto del tempo prima di cominciare a nutrire qualche sospetto sull’autenticità della voce dell’attore: «Ho iniziato a pensare che fosse stato creato con l’intelligenza artificiale», ha ammesso, sospetto che l’ha infine convinta a recarsi alla polizia e raccontare tutto. Chissà se, come in ogni finale positivo al cinema, il vero Reeves non voglia conosolare la fan con una telefonata… questa volta finalmente vera!
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