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Cronaca

Chiara Ferragni e le “pandoro news”: gioca in difesa con una memoria scritta

Nel cosiddetto “pandoro gate” spunta una nuova iniziativa che rientra nella strategia intrapresa dai legali di Chiara Ferragni, indagata per truffa aggravata dalla procura di Milano.

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    Una storia infinita ed un legame apparentemente “amaro” che coinvolge l’influencer con uova di Pasqua e pandoro, per tradizione simboli della dolcezza e delle feste in famiglia. La strategia intrapresa dal collegio difensivo di Chiara Ferragni, indagata per truffa aggravata per le presunte truffe legate alla vendita di queste leccornie in edizione speciale, consiste in una memoria per chiarire l’inconsistenza delle accuse a lei rivolte.

    I suoi legali in Procura

    Gli avvocati Giuseppe Iannaccone e Marcello Bana hanno fatto visita al procuratore aggiunto Eugenio Fusco. Un incontro che rientra tra le iniziative previste dopo la notifica di chiusura delle indagini, avvenuta lo scorso 4 ottobre. Un dialogo che porterà i legali, nelle prossime settimane, a consegnare in Procura una memoria scritta. Sembra invece da escludere come ipotesi che l’influencer possa richiedere un interrogatorio in presenza dei pm.

    Un testo redatto per convincere che lei non c’entra

    Chiara si prepara quindi a difendersi attraverso una memoria scritta. Documento che verrà depositato nelle prossime settimane dai suoi legali, dopo la chiusura ufficiale delle indagini per truffa aggravata per i casi casi del pandoro Pink Christmas e delle uova di cioccolato di Pasqua Dolci Preziosi.

    La difesa punta all’archiviazione

    L’incontro dei suoi legali con Eugenio Fusco, titolare dell’inchiesta col pm Cristian Barilli, condotta dal Nucleo di Polizia Economico Finanziaria della Gdf, è quindi preparatorio alla consegna della memoria. Attraverso la quale cercare di convincerli che, come ha sempre sostenuto con forza la difesa, «questa vicenda non ha alcuna rilevanza penale e i profili controversi sono già stati affrontati e risolti». L’obiettivo della difesa è quello di ottenere una richiesta di archiviazione, in caso contrario la Procura andrà avanti con la citazione diretta a giudizio, molto probabilmente entro fine anno.

    Maggior margine per consegnare il documento

    I due difensori avrebbero chiesto alla Procura un lasso di tempo più ampio rispetto al termine di 20 giorni, previsto dopo la chiusura delle indagini, per preparare e depositare la memoria scritta. Sarà poi compito degli inquirenti decidere se chiedere l’archiviazione o proseguire con la citazione diretta a giudizio.

    Non solo Ferragni

    Oltre a Chiara, sono indagati anche il suo ex collaboratore Fabio Damato, Alessandra Balocco, amministratore delegato dell’azienda piemontese, e Francesco Cannillo, presidente di Cerealitalia-ID spa. I pm contestano alla Ferragni un ingiusto profitto di poco più 2 milioni e 200 mila euro. Con i consumatori «danneggiati» attraverso «informazioni fuorvianti», oltre al beneficio per l’imprenditrice di un «ritorno di immagine legato alla prospettata iniziativa benefica».

    Nel 2023 l’inizio delle indagini

    Le indagini, partirono nel dicembre 2023, successivamente ad una multa inflitta dall’Antitrust alle due società Tbs Crew e Fenice. E dopo un esposto in Procura del Codacons. Si ipotizza per la Ferragni e gli altri indagati, tra il 2021 e il 2022, un uso si «informazioni fuorvianti», via social e sul web, facendo credere che quelle vendite avessero uno scopo solidale a favore dei bambini ricoverati all’ospedale Regina Margherita di Torino e a favore dell’associazione Bambini delle fate.

    Quel dettaglio omesso che pesa come un macigno

    Omettendo strategicamente di dire, secondo l’accusa, che l’ospedale era già stato destinatario di 50 mila euro da Balocco. Anche l’associazione aveva ricevuto, diluiti in due anni, dall’azienda pugliese circa 36 mila euro. Quindi il legame fra tali pagamenti e i profitti derivanti dalla vendita dei dolci sarebbe stato inesistente.

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      Mondo

      Il papa di Giorgia? Conservatore e colto come Benedetto. E la Meloni lavora sotto traccia

      La premier spera in un Papa lontano dall’“uragano Francesco” e vicino alla linea teologica di Wojtyla e Ratzinger. I nomi che circolano a Palazzo Chigi: Giuseppe Betori in testa, ma anche Parolin come compromesso. Il ruolo chiave di Mantovano, ex presidente di “Aiuto alla Chiesa che soffre”, oggi regista silenzioso tra Curia e governo.

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        Giorgia Meloni, da sempre considerata legata alla tradizione più conservatrice della Chiesa, non ha mai fatto mistero della sua ammirazione per Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. Papa Francesco, all’inizio, le appariva come un corpo estraneo. Ma in tre anni di governo a Palazzo Chigi, le distanze si sono accorciate. I contatti con il Vaticano si sono fatti frequenti e discreti. A fare da ponte tra i due mondi c’è Alfredo Mantovano, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, giurista, uomo di Chiesa e per molti l’interfaccia informale (e influente) tra la Santa Sede e il governo italiano. Una figura che conosce bene le gerarchie vaticane, i non detti, le attese. E che oggi, con un Papa defunto e un Conclave alle porte, lavora nell’ombra per portare a Santa Marta un successore più vicino alla sensibilità della premier.

        Non è solo un auspicio, è una strategia. Palazzo Chigi osserva con attenzione il gioco delle alleanze cardinalizie e, senza dare nell’occhio, tesse la sua trama. L’identikit del Papa ideale per Meloni è chiaro: un uomo solido nella dottrina, sobrio nei toni, distante dalle aperture bergogliane su migranti, omosessuali e nuovi modelli di famiglia. Uno come Giuseppe Betori, attuale arcivescovo di Firenze, già segretario generale della CEI ai tempi di Camillo Ruini. Un prelato che non ha mai nascosto la sua distanza da Francesco, soprattutto sul tema delle migrazioni, e che rappresenta agli occhi della destra italiana un punto di equilibrio tra fede, tradizione e rigore morale.

        Betori, tuttavia, non è l’unico nome sul taccuino di Mantovano. Il sottosegretario è stato presidente della fondazione pontificia “Aiuto alla Chiesa che Soffre” (ACS), una realtà molto apprezzata da Francesco ma profondamente radicata nelle istanze più tradizionaliste del cattolicesimo. La sua rete comprende figure come Mauro Piacenza e Angelo Bagnasco, non più elettori ma ancora molto influenti nei corridoi della Curia. La loro azione è silenziosa ma costante, e si muove sotto la regia del decano delle strategie cardinalizie italiane: Camillo Ruini.

        Meloni non prende posizione ufficialmente, ma se potesse parlare liberamente non farebbe mistero della preferenza per un pontefice che riporti ordine, chiarezza e autorevolezza in una Chiesa da lei percepita come smarrita nei meandri del dialogo a tutti i costi. Un Papa che recuperi il profilo battagliero di Wojtyla senza gli slanci populisti di Francesco. O almeno, nella peggiore delle ipotesi, un mediatore. Un uomo come Pietro Parolin, il Segretario di Stato, abile diplomatico, stimato da Francesco ma non identificabile come continuatore puro della sua linea. Una figura che a Palazzo Chigi appare rassicurante, affidabile, meno incline a sbandamenti teologici.

        Ciò che è certo è che a Giorgia Meloni il nome di Matteo Zuppi non piace. Il presidente della CEI, indicato da molti come l’erede più naturale del Papa defunto, è troppo sbilanciato a sinistra, troppo vicino a quel mondo che Meloni considera avversario politico. La battuta pronunciata entrando in Vaticano il 25 aprile – “Ricordiamoci della Liberazione” – è suonata come un messaggio. E non è passato inosservato.

        In questo clima di attese e manovre, il governo italiano gioca le sue carte. Senza clamore, ma con determinazione. Il prossimo Papa sarà scelto dai cardinali, ma molti occhi resteranno puntati anche su Roma. Quella dei palazzi del potere temporale, dove si sogna un Pontefice meno profeta e più sovrano.

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          Mondo

          Trump, l’autoincoronazione: “Voglio essere Papa”. E il delirio continua

          Popolarità in caduta libera, sondaggi che lo sgonfiano, ma lui insiste: “Sono il migliore di sempre”. Sogna la tiara papale, minaccia chi non riporta le fabbriche in patria e attacca Powell, la Fed e i giudici. Perché il nemico è sempre là fuori. E lui, come sempre, si sente l’unico unto del Signore.

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            Donald Trump ha celebrato i suoi primi 100 giorni di secondo mandato come ci si aspetterebbe da un sovrano autoproclamato e incapace di contenersi. Lo ha fatto in Michigan, davanti a una platea scelta con cura, e con il solito show da comizio permanente. Nessuna traccia di tono istituzionale, nessuna analisi dei risultati effettivi, solo autocelebrazione, falsità sbandierate come dogmi e una battuta diventata emblematica del suo narcisismo galoppante: “Mi piacerebbe essere Papa. Sarebbe la mia prima scelta”. Sorriso compiaciuto, risatina complice, come sempre. Ma ogni battuta di Trump è un missile travestito da gag. E questa non fa eccezione.

            Mentre la sua popolarità reale affonda – con un 39% di approvazione nei sondaggi, il dato peggiore per un presidente a questo punto del mandato dagli anni Cinquanta – lui rivendica “i 100 giorni più di successo della storia americana”. È la solita retorica che conosciamo: spararla grossa, mentire a raffica, trasformare ogni critica in un attacco da rispedire al mittente. I sondaggi? “Falsi”. L’economia? “Un trionfo, ma i media mentono”. La verità? Una variabile secondaria. E se la realtà non coincide con la narrazione, tanto peggio per la realtà.

            Nel suo discorso ha attaccato tutti: i democratici, i giudici, la Fed, i migranti, la Cina. Ha lanciato l’ennesimo avvertimento alle case automobilistiche, minacciando di “massacrarle” se non riportano le fabbriche negli Stati Uniti. Ha detto che “solo tre migranti” sono entrati illegalmente nel Paese nell’ultimo mese – un dato inventato di sana pianta – e ha aggiunto che “con Biden sarebbero entrati 40 milioni di criminali”. Affermazioni che, in un Paese normale, dovrebbero scandalizzare anche i sostenitori più fedeli. Ma qui non siamo più nella politica: siamo nella costruzione di un culto personale, in cui il leader è l’unica fonte di verità.

            Trump parla come un sovrano assoluto, agisce come un predicatore senza limiti e sogna di essere un Papa, ma senza regole, dogmi o Vangeli da rispettare. Il fatto che abbia citato l’ipotesi di diventare Papa – anche solo come boutade – racconta molto più di quanto sembri. Perché in fondo lui si vede già così: al di sopra di ogni giudizio, intoccabile, eterno. Una figura messianica, autorizzata a giudicare e condannare tutti, ma mai a rispondere di nulla. Ha persino indicato il suo “candidato” ideale al soglio pontificio: il cardinale newyorkese Timothy Dolan, vicino a posizioni conservatrici. Ma subito dopo ha chiarito che lui stesso sarebbe la scelta perfetta. È solo un gioco? Forse. Ma è lo stesso gioco che lo ha portato a negare la sconfitta elettorale, a incitare l’assalto al Congresso, a immaginare un terzo mandato come se la Costituzione fosse un ostacolo minore.

            Ecco perché il paragone papale non è un semplice guizzo narcisista. È la logica conseguenza di una visione del potere dove non esistono contrappesi, e dove l’autorità non si eredita né si guadagna: si prende, si impone, si venera. Trump, il presidente che ballava con i Village People alla fine dei comizi, oggi si atteggia a profeta perseguitato. Il papa laico di una religione che ha un solo comandamento: “Io ho sempre ragione”.

            Nel suo discorso ha anche attaccato Jerome Powell, presidente della Fed, accusandolo dell’inflazione. Una manovra prevedibile, per attribuire a qualcun altro gli effetti delle sue stesse scelte, in particolare la guerra dei dazi, che ha messo in ginocchio interi settori produttivi. Ha difeso Elon Musk, definito “un grande uomo” vittima del boicottaggio, e si è perfino intestato la difesa della festa di Cristoforo Colombo, come se fosse stato lui a salvarla dall’oblio. Fatti, date, proporzioni: tutto piegato a una narrazione autocelebrativa senza freni.

            E intanto il dato politico resta: il gradimento è ai minimi storici, l’economia traballa, le tensioni internazionali aumentano. Ma Trump è già proiettato oltre. Parla come se fosse già in campagna per il 2028. Del resto, lo è sempre stato. La campagna di Trump non finisce mai. È una messa continua, una liturgia dell’ego, con lui al centro dell’altare, tra un tweet e un inchino.

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              Italia

              Bollette elettriche: ecco gli sportelli che ti fanno risparmiare

              Bollette, al via gli sportelli per lo sconto sulla luce (da 113 euro all’anno): ecco dove sono.

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                Risparmiare sulla bolletta della luce è possibile per 11,5 milioni di italiani, grazie a un servizio di consulenza gratuita che aiuta i cittadini vulnerabili a passare al Servizio a Tutele Graduali (STG), con uno sconto da almeno 113 euro all’anno. L’iniziativa, promossa dal deputato leghista Alberto Gusmeroli, permette agli utenti over 75, disabili, persone in difficoltà economica, chi utilizza apparecchi medicali e chi risiede in isole minori, di lasciare il mercato libero o il regime di maggior tutela per accedere all’STG. Tuttavia, il cambio può essere richiesto solo online ed è disponibile fino al 30 giugno 2025.

                Sportello di consulenza: ecco i documenti necessari

                Per facilitare il passaggio al STG, Gusmeroli, sindaco di Arona (Novara), ha aperto uno sportello dedicato per assistere i cittadini nella compilazione della richiesta. Il servizio, finanziato con fondi del PNRR, è attivo tre giorni alla settimana: martedì: 9:00 – 13:00 / mercoledì: 14:00 – 18:00 / venerdì: 8:30 – 11:30. Per effettuare il cambio di fornitore, è necessario portare: il documento d’identità, l’ultima bolletta elettrica, l’indirizzo email e numero di telefono, e l’IBAN (se si desidera la domiciliazione bancaria).

                Bollette elettriche: è ora di cambiare

                L’iniziativa, nata ad Arona, si sta espandendo velocemente anche in altri territori. Alcuni comuni del Piemonte, come Oleggio, Dormelletto, Pisano, Oleggio Castello e Macugnaga, hanno già attivato lo sportello. Prossimamente, apriranno punti di consulenza anche nel Cuneese, nel Torinese e in Toscana. Al di fuori del Piemonte, infatti, il servizio è già operativo a Massa in Toscana, città di Andrea Barabotti, co-firmatario dell’emendamento. Grazie a questa rete di assistenza, i cittadini vulnerabili potranno accedere più facilmente agli sconti previsti dal Servizio a Tutele Graduali, riducendo così le spese energetiche annuali. Una opportunità per migliorare l’accessibilità alle agevolazioni e semplificare il processo di cambio fornitore.

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