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Cronaca

Chicco Testa: assolto dopo dieci anni, ma il calvario giudiziario lascia segni profondi

Dopo dieci anni di processi e 450.000 pagine di atti, Chicco Testa si dice sollevato dall’assoluzione ma critica duramente le pene inflitte ad altri imputati. Una vicenda giudiziaria che gli ha tolto il sonno e che solleva dubbi sul sistema di discrezionalità della Corte dei Conti. Intanto, sull’energia, l’ex ambientalista è netto: il nucleare è la chiave contro il cambiamento climatico.

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    «Questa assoluzione rappresenta per me la fine di un incubo, anche se purtroppo non posso dire lo stesso per altri», esordisce Chicco Testa, 72 anni, ex presidente dell’Enel e fondatore di Legambiente. Dieci anni di processi legati a una transazione effettuata nel 2014 tra Roma Metropolitane e il consorzio di imprese responsabile della linea C della metropolitana capitolina hanno finalmente visto la luce: «È stata una vicenda che mi ha tolto il sonno, soprattutto considerando che avevo lasciato la società nel 2019, cinque anni dopo l’accordo. Un’operazione, peraltro, legittimata da una commissione guidata da una magistrata della Corte dei Conti, mai portata in giudizio».

    Un processo dai costi sproporzionati

    «Per il Procuratore Crea, è stato un completo fallimento», commenta Testa. «Si parlava di un presunto danno patrimoniale di 160 milioni di euro, ma la Corte ne ha riconosciuti solo il 2%, circa 3 milioni. Questo dimostra l’infondatezza dell’intero impianto accusatorio». L’ex presidente dell’Enel non risparmia critiche al sistema: «Dieci anni di interrogatori, sequestri, udienze e spese legali, con un costo complessivo che supera di gran lunga i 3 milioni della sentenza. E tutto questo senza che sia stato dimostrato alcun dolo, ma solo presunte colpe formali».

    Le condanne ad altri imputati

    Testa non nasconde la sua indignazione per le pene inflitte agli altri imputati: «È scandaloso che siano state comminate pene che superano i guadagni di un’intera vita. La loro unica colpa è stata servire le istituzioni con onestà. Nessuno ha mai dimostrato che abbiano agito in malafede o tratto vantaggi personali».

    Un sistema che isola i servitori dello Stato

    Guardando indietro, Testa ammette: «Tornassi indietro, non accetterei quell’incarico. Quando ti ritrovi in situazioni del genere, sei solo. Nessuno ti mostra solidarietà. I servitori dello Stato sono abbandonati a loro stessi». E aggiunge un appello al Ministro Nordio: «Si parla tanto dei processi penali, ma quelli della Corte dei Conti possono causare danni enormi e hanno un livello di discrezionalità spaventoso. Non c’è nemmeno possibilità di ricorso in Cassazione».

    Dal nucleare al cambiamento climatico

    Non solo giudiziaria, ma anche energetica, la riflessione di Chicco Testa. Da fondatore di Legambiente, è passato a essere un convinto sostenitore del nucleare: «All’epoca del movimento antinucleare, il riscaldamento climatico non era la minaccia principale. Ora è evidente che non possiamo affrontarlo solo con le rinnovabili. Il nucleare è l’unica fonte di energia elettrica potente e continua, priva di emissioni».

    L’ex ambientalista lancia una stoccata al mondo ecologista italiano: «Gli ambientalisti seri lo sanno bene, ma molti sembrano più interessati a fare lobby per le rinnovabili». E conclude con un elogio al Ministro Pichetto Fratin: «Ha fatto bene a riaprire il dibattito sul nucleare. È il momento di essere realistici e coraggiosi».

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      Italia

      Villa Certosa, la reggia da mezzo miliardo che fa gola agli sceicchi: tra leggende, trattative e voci mai sopite

      Stimata tra i 300 e i 500 milioni, Villa Certosa non è solo una villa: è un simbolo del potere berlusconiano. Secondo La Nuova Sardegna c’è un interessamento concreto da parte di un facoltoso arabo, ma il closing resta lontano.

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        Ogni estate, insieme alle cronache mondane della Costa Smeralda, riaffiora anche il tormentone di Villa Certosa. È il destino delle residenze diventate leggenda: non sono solo case, ma scenografie di un’epoca. La maxi-dimora sarda di Silvio Berlusconi, affacciata sul golfo di Porto Rotondo, torna oggi al centro dei riflettori con un nuovo, presunto corteggiatore: un magnate arabo pronto a farsi avanti con un’offerta da capogiro.

        Le cifre ballano tra i 300 e i 500 milioni di euro, a seconda delle stime. Una valutazione che fa tremare i polsi anche agli sceicchi abituati a palazzi dorati. Secondo La Nuova Sardegna, l’interessamento c’è, ma da qui a parlare di vendita conclusa il passo è lungo: il famigerato “closing” resta ancora appeso, mentre per ora a circolare sono solo rumors e mezze conferme.

        Ma cosa rende Villa Certosa così contesa? I numeri aiutano a capirlo: 4.500 metri quadrati di superficie abitabile, 126 stanze, un parco di 120 ettari, porticcioli privati, piscine, grotte artificiali e persino un anfiteatro. Una “città nella città”, costruita per incarnare non solo il lusso, ma anche il gusto teatrale e scenografico del Cavaliere.

        In quelle sale hanno passeggiato e stretto mani George W. Bush, Tony Blair e Vladimir Putin. È qui che il Cavaliere riceveva capi di Stato e attori, amici e avversari politici, in un mix di mondanità e diplomazia che nessun’altra villa italiana ha mai saputo replicare. Non a caso qualcuno l’ha definita “la reggia del berlusconismo”, l’ottava meraviglia di un’epoca in cui politica e spettacolo erano due facce della stessa medaglia.

        Non è la prima volta che si rincorrono voci di vendita. Dopo la scomparsa del fondatore di Forza Italia, sono circolati nomi illustri: dal sultano del Brunei al colosso alberghiero Four Seasons, che però si è affrettato a smentire. Stavolta l’attenzione sarebbe di un facoltoso arabo di cui non trapela l’identità, ma che basta a far ripartire le chiacchiere da Porto Rotondo a Milano.

        Vendere Villa Certosa non significherebbe solo monetizzare un patrimonio immobiliare, ma consegnare a un nuovo proprietario un pezzo della storia recente d’Italia. Per la famiglia Berlusconi sarebbe un passaggio simbolico enorme, quasi la chiusura definitiva di un capitolo che ha segnato decenni di cronaca politica e mondana.

        Per ora, però, restano solo le indiscrezioni. E la domanda che aleggia tra i frequentatori della Costa Smeralda: Villa Certosa diventerà l’ennesimo trofeo nelle mani di un magnate straniero, o continuerà a resistere come monumento intoccabile al mito del Cavaliere?

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          Politica

          Dalla Grecia dei Pink Floyd alla Puglia dei trulli: le lunghe vacanze extralusso di Giorgia Meloni (con Giambruno a sorpresa)

          La premier ha scelto un’estate a tappe: dieci giorni a Lindos, ospite in una villa di charme con vista sull’Egeo, poi la Valle d’Itria con figlia, sorella e l’ex Giambruno. Tra piscine segrete, trulli di lusso e notti al “Sanctuary”, le ferie blindate della leader finiscono inevitabilmente nel mirino del gossip.

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            Una fuga tra mare e gossip, con il Mediterraneo come sfondo. Giorgia Meloni ha scelto di spezzare l’estate tra Grecia e Puglia, alternando la riservatezza delle ville con vista sull’Egeo alla mondanità della Valle d’Itria. Prima tappa: Lindos, sull’isola di Rodi, luogo che negli anni Settanta conquistò David Gilmour dei Pink Floyd. Proprio lì, dove il chitarrista compose alcune delle sue pagine più note, la premier si è concessa dieci giorni di relax lontano dai riflettori italiani.

            A rivelarlo, a vacanza conclusa, è stato Manos Nikolidakis, manager delle Lindos & Pefkos Hill Villas: «Abbiamo avuto l’onore e il piacere di accogliere il Primo Ministro italiano, in assoluta riservatezza», ha dichiarato con orgoglio. In effetti, la visita è filata liscia, con passeggiate discrete e un soggiorno blindato tra natura, mare e tramonti greci.

            Ma le vacanze non si sono fermate lì. Dopo il passaggio a Washington per l’incontro con Trump e i leader europei, Meloni ha cambiato scenario: destinazione Locorotondo, cuore verde della Valle d’Itria. Qui, insieme alla figlia Ginevra e alla sorella Arianna, ha ritrovato anche Andrea Giambruno, l’ex compagno. Una presenza che ha subito acceso i riflettori del gossip: archiviata la separazione burrascosa, i due sembrano ora vivere un armistizio familiare in nome della figlia.

            Il gruppo si è sistemato al Leonardo Trulli Resort, struttura esclusiva immersa tra ulivi e muretti a secco. Non un semplice hotel: 14 alloggi di charme, ville private, arredi raffinati e persino una piscina scavata in una vecchia cantina, già diventata virale sui social. Qui la premier si è concessa giorni di privacy, alternati a serate pubbliche. Come la cena al “Sanctuary” di Fasano, locale a metà tra ristorante e discoteca, dove la premier si è lasciata andare a chiacchiere e brindisi con musica techno di sottofondo.

            E così, mentre la politica resta sospesa e il Paese si divide tra chi critica e chi applaude, l’estate di Giorgia Meloni si trasforma in un romanzo balneare: tra ville da sogno, trulli di lusso, ex fidanzati riciclati come compagni di vacanza e una Puglia che l’accoglie tra curiosità e malizia.

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              Storie vere

              Peccato! L’Autovelox non era omologato: annullata la multa per l’automobilista a 255 km/h

              Sfreccia in auto a 255 all’ora ma la maxi multa viene annullata: l’Autovelox non era omologato.

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                Lui tranquillo sfrecciava in auto a ben 255 km/h su un tratto autostradale con limite di 130, ma la multa salatissima gli è stata annullata per un errore burocratico. Mannaggia!! L’Autovelox usato per la contravvenzione non era omologato. Gasp! L’episodio risale allo scorso maggio quando un automobilista è stato multato per eccesso di velocità, con una sanzione di 845 euro e la sospensione della patente da 6 a 12 mesi.

                Provaci ancora Sam magari la prossima volta ti beccano per davvero

                L’automobilista, assistito dall’avvocato Gabriele Pipicelli di Verbania, ha presentato ricorso alla prefettura di Novara, che ha accolto le sue motivazioni. Il prefetto ha verificato infatti che lo strumento della Polizia Stradale, sebbene “approvato”, non risultava “omologato”, come richiesto dalla legge per validare le rilevazioni di velocità.

                Autovelox omologato, automobilista sanzionato!

                L’avvocato ha spiegato che il ricorso è stato fondato sulla giurisprudenza della Cassazione, che distingue tra “approvazione” e “omologazione” degli apparecchi di rilevazione. Solo quelli omologati garantiscono misurazioni legittime. Di fronte a questa discrepanza, il prefetto ha annullato la multa e tutte le sanzioni correlate, restituendo anche la patente all’automobilista.

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