Cronaca
Corona, Cruciani, la Gintoneria di Lacerenza e Filippo Champagne: il circo dei miserabili sbarca in radio e comanda sui social
Cruciani trasforma i re della Gintoneria in eroi del trash: mentre Lacerenza e Filippo Champagne si contendono like e sciabolate, Corona grida al “nulla” e la mediocrità si fa impero

Cosa hanno in comune un ex fruttivendolo con l’ossessione per lo champagne e un ex paparazzo con la sindrome del martire? Semplice: sono i simboli di una società che ha smesso di distinguere tra successo e ridicolo, tra carisma e pura fuffa. E mentre Giuseppe Cruciani si lava le mani dicendo «io non creo mostri, li faccio solo parlare», il teatrino del nulla continua a riempire spazi mediatici e serate radiofoniche, trasformando Lacerenza e compagnia in icone pop da discount.
La parabola della Gintoneria è l’emblema di tutto questo. Un locale da 70 metri quadri, condito di provincialismo esibito e finto lusso da manuale, dove l’unico ingrediente davvero abbondante era la sciabolata di champagne al ritmo di «poovero» gridato in faccia al cliente che osava ordinare un gin tonic da meno di 200 euro. Poi, quando sono scattate le manette per Davidone Lacerenza, Stefania Nobile e il fido “Righello”, ecco che la vera festa è iniziata sui social: follower alle stelle, video virali, un’ondata di click che ha consacrato la “milano cafonal” a fenomeno nazionale.
In mezzo a questo circo grottesco spunta l’intramontabile Giuseppe Cruciani, che li porta nella sua “Zanzara” e, con l’aria di chi non vuole sporcarsi troppo le mani, offre loro un palcoscenico dorato. A chi lo accusa di amplificare il degrado sociale di questi personaggi risponde con la consueta furbizia: «I mostri esistono già, io li faccio solo parlare». Certo, peccato che poi li si imbalsami come trofei da esporre nelle vetrine del trash nostrano. Perché Cruciani non si limita a farli parlare: li rende protagonisti, li nutre, li fa risorgere, consapevole che più sono tossici, più fanno ascolti.
E se a dividere il palcoscenico ci sono Filippo Champagne e Fabrizio Corona, il livello si abbassa sotto il limite di galleggiamento. Il primo, star della Gintoneria, eroe delle notti da quattro bicchieri e mezzo cervello, si autoproclama “genio dei social” e si vanta di avere più visualizzazioni di Corona: «Io ho la metà dei suoi follower, ma lui raccoglie un quarto delle mie views». Dall’altra parte, l’ex re dei paparazzi – sempre più grigio e ingabbiato nel suo personaggio – replica con l’eleganza che lo contraddistingue: «Filippo Champagne è una nullità e mi fa schifo».
Un duello tra gladiatori del nulla, tra chi ha trasformato l’autosputtanamento in carriera e chi si aggrappa ancora disperatamente al titolo di “cattivo ufficiale” dei media italiani. A questo punto è impossibile non notare quanto sia patetica questa continua rincorsa a una viralità fatta di insulti e ridicoli scontri di ego. La Gintoneria – trasformata in uno squallido “format” social da esportazione – non è solo un locale, ma un manifesto del vuoto cosmico che popola il sottobosco dell’influencerismo italiano.
Il vero problema, però, è che il pubblico applaude. Ogni insulto, ogni sciabolata, ogni video in cui Lacerenza si immortala mentre sniffa come se il giorno dopo non esistesse (copyright Davidone) diventa virale. L’accoppiata Stefania Nobile-Wanna Marchi, i monologhi di Cruciani, le crociate di Corona contro il mondo intero: tutto macinato e servito al pubblico famelico che si nutre di spazzatura patinata. Lì dove il “lusso” è solo una replica maldestra da discount del peggiore immaginario anni ’80.
Ma il capolavoro lo firma proprio Cruciani, che riesce a farsi scudo dietro la libertà di parola mentre spalanca le porte della sua trasmissione a qualunque «fenomeno» pronto a umiliarsi in diretta. Intanto Lacerenza e Champagne si godono l’improvvisa gloria social, sapendo che in fondo, nel paese dove l’apparenza vale più della sostanza, anche un “re del tavolo VIP” può diventare celebrità da talk show.
Così ci ritroviamo spettatori di un tragicomico varietà dove influencer improvvisati e vecchie glorie del trash gareggiano per chi urla più forte, mentre il Paese applaude e condivide. È il regno dei genii del nulla, con due titani come Corona e Champagne che si contendono il titolo, mentre Cruciani dirige l’orchestra del rumore. E se qualcuno ancora si domanda come ci siamo finiti qui, la risposta è semplice: qualcuno, da anni, ha fatto della mediocrità uno show a cui non sappiamo più smettere di assistere.
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Cose dell'altro mondo
L’orrore in Kenya non si ferma: nuove fosse comuni della setta del digiuno, Mackenzie accusato di genocidio
Il predicatore Paul Mackenzie, a processo insieme a 29 coimputati, avrebbe convinto i fedeli a lasciarsi morire di fame per “raggiungere Gesù”. Le vittime accertate sono oltre 400, ma la Croce Rossa teme che possano essere almeno 610.

In Kenya l’orrore continua a riaffiorare dalla terra. Nell’entroterra di Malindi, nella foresta di Shakahola, la Direzione delle indagini criminali ha portato alla luce nuove fosse comuni con decine di corpi senza vita. Tutti riconducibili alla “setta del digiuno”, fondata e guidata dal predicatore Paul Mackenzie, già sotto processo insieme a 29 complici.
Le cifre sono impressionanti: oltre 400 le vittime accertate finora, di cui quasi la metà bambini. Ma secondo la Croce Rossa del Kenya, che assiste i familiari e monitora le ricerche, il bilancio potrebbe salire fino a 610 persone. Un massacro silenzioso, consumato lontano dalle città, che oggi scuote il Paese e la comunità internazionale.
Il meccanismo era sempre lo stesso: Mackenzie convinceva i suoi adepti che digiunare fino alla morte fosse l’unico modo per “vedere Gesù in paradiso”. Un’ossessione alimentata da prediche infuocate, registrazioni e riti collettivi che trasformavano la foresta in un campo di annientamento.
Alcuni sopravvissuti, ora sotto protezione, hanno raccontato scenari da incubo. Minori costretti ad assistere all’agonia dei genitori, a scavare fosse e seppellire i corpi. Famiglie intere convertite dall’islam al cristianesimo per seguire i precetti del pastore, che prometteva salvezza eterna in cambio della vita terrena. «Mio padre diceva che non poteva più mangiare perché Gesù lo stava chiamando», ha raccontato una testimone davanti agli investigatori.
Sull’uomo pendono accuse pesantissime: omicidio di massa, terrorismo, abuso su minori, fino al capo d’imputazione di genocidio. Le autorità keniane hanno avviato un processo che si annuncia lungo e complesso, ma che dovrà fare i conti con centinaia di famiglie distrutte e con una comunità segnata per sempre.
Il caso di Shakahola è già stato definito “il più grande massacro rituale della storia recente dell’Africa orientale”. E mentre gli scavi continuano e i corpi riaffiorano dal terreno, resta una domanda inquietante: come è stato possibile che una predicazione delirante abbia potuto trascinare nella morte centinaia di persone, nel silenzio e nell’indifferenza generale, fino a quando era ormai troppo tardi?
Mondo
Trump e quel livido viola sulla mano: mistero sulla salute del presidente tra gonfiori, trucco e smentite
La Casa Bianca parla di semplici “strette di mano” e di aspirina, ma il gonfiore alle caviglie e la diagnosi di insufficienza venosa alimentano nuove speculazioni sulla resistenza fisica del presidente più discusso del mondo.

Donald Trump, 79 anni, non è nuovo a polemiche, ma questa volta non c’entrano né la politica né i comizi incendiari. Stavolta al centro dell’attenzione c’è un dettaglio fisico: un livido viola, vistoso, comparso sulla mano destra del presidente. L’ematoma, immortalato dai fotografi durante l’incontro con il presidente sudcoreano Lee Jae Myung nello Studio Ovale, ha immediatamente fatto il giro del mondo.



Trump di solito copre le imperfezioni con un velo di fondotinta: stavolta, però, il segno era troppo evidente per passare inosservato. Una macchia che ha alimentato il tam tam sui social e che ha risvegliato vecchi sospetti sulla sua salute.
La portavoce della Casa Bianca, Caroline Leavitt, si è affrettata a minimizzare: «Si tratta solo di una lieve irritazione dei tessuti molli, causata da frequenti strette di mano e dall’uso quotidiano di aspirina». Una spiegazione ribadita anche dal suo medico personale, il dottor Ronny Jackson, che ha assicurato: «Il presidente gode di buona salute».
Eppure il livido non è l’unico segnale che fa discutere. Già il mese scorso la stessa Casa Bianca aveva rivelato che a Trump è stata diagnosticata una “insufficienza venosa cronica”, responsabile del gonfiore alle caviglie. Una condizione che di certo non mette a rischio immediato la vita, ma che per l’opinione pubblica suona come un campanello d’allarme: soprattutto per un uomo che ha appena riconquistato lo Studio Ovale e che si presenta come simbolo di forza e resistenza.
Nelle foto trapelate, oltre al livido sulla mano, spiccano i piedi gonfi nelle scarpe lucide. I detrattori ne fanno motivo di ironia, i sostenitori parlano invece di “attacchi strumentali”. Ma l’immagine resta: quella di un leader che non riesce più a mascherare i segni del tempo, nonostante il fondotinta e la retorica muscolare.
Per i suoi avversari,non è più l’uomo in grado di reggere la pressione di un secondo mandato. Per i suoi fan, invece, il livido è solo un dettaglio: “anche gli eroi stringono mani e portano cicatrici”. La verità, come spesso accade con Trump, resta sospesa tra propaganda, ombre e immagini che parlano da sole.
Italia
Targa polacca per risparmiare sull’RC. Conviene? Un escamotage a rischio
Boom di targhe polacche su motorini e auto: servono ad aggirare le assicurazioni. Una scelta molto rischiosa.

Sono sempre di più i veicoli che circolano con targa polacca: un trucco per abbattere i costi dell’assicurazione, ma che può avere conseguenze inaspettate.
Il fenomeno dell’utilizzo delle targhe polacche per motorini e auto in Italia è diventato sempre più diffuso. In particolare in città come Napoli e in genere al Sud Italia. Delle 53 mila targhe straniere in Italia ben 35 mila, infatti, sono solo a Napoli. Una tendenza che è alimentata dai costi elevati delle assicurazioni. Del resto Napoli, dopo Prato è la città dove l’assicurazione Rc auto è la più costosa. Un esempio? L’Rc di un motorino nel capoluogo campano annualmente può superare i 1.500 euro annui di spesa. Con l’utilizzo di una targa straniera il costo si può ridurre fino a un quinto.
Come si fa in pratica
Il trucco consiste nel registrare il proprio veicolo come esportato in Polonia attraverso una procedura che coinvolge la radiazione del veicolo in Italia e la successiva immatricolazione in Polonia. Una volta ottenuta la nuova immatricolazione, il proprietario stipula un contratto di noleggio con una società intestataria polacca, consentendo di pagare tariffe assicurative significativamente inferiori rispetto a quelle italiane. Un giochino semplice semplice. Si pagano circa 600-800 euro il primo anno che diventano 300-350 euro per gli anni successivi. La pratica è consentita dalle normative italiane, come Giuseppe Guarino, Segretario Nazionale Studi di Unasca (Unione Nazionale Autoscuole e Studi di Consulenza Automobilistica). “Le agenzie di pratiche auto applicano le norme che consentono queste procedure“.
Risparmio ma con quali rischi?
Questa pratica comporta serie conseguenze. In caso di incidente, la nuova compagnia assicurativa polacca potrebbe non pagare o farlo con ritardi significativi. Inoltre, il proprietario perde il controllo diretto del veicolo, non potendo più venderlo o disporne liberamente. Se la società intestataria del veicolo fallisse, tutti i veicoli registrati con essa verrebbero confiscati, causando ulteriori complicazioni per gli ex proprietari. Insomma è necessario valutare molto bene se conviene risparmiare ma rischiare complicazioni anche penali oltre che amministrative.
Italia tra i paesi più cari
Questa pratica evidenzia un problema più ampio: i costi elevati delle assicurazioni in Italia. L’IVASS ha rilevato che gli italiani pagano il 27% in più rispetto alla media europea per assicurare i propri veicoli, con un aumento dei prezzi superiore all’inflazione negli ultimi anni. Questo fenomeno potrebbe essere un catalizzatore per l’aumento degli evasori assicurativi, con milioni di veicoli che circolano senza l’assicurazione obbligatoria. Nel nostro Paese, infatti, per assicurare un veicolo si paga il 27% in più rispetto alla media degli altri Paesi europei e nell’ultimo anno i prezzi sono saliti del 7,5%, un valore maggiore dell’inflazione.
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