Cronaca
Corruzione al ministero del Lavoro: condanne pesanti per il segretario Cisal Francesco Cavallaro e Danilo Iervolino, patron della Salernitana
Cinque anni per Francesco Cavallaro, segretario generale della Cisal, e quattro per Danilo Iervolino, proprietario della Salernitana. Tra assunzioni sospette e pareri ministeriali comprati, la sentenza getta luce su uno dei casi più gravi di corruzione negli ambienti sindacali e istituzionali.

Un vero terremoto giudiziario si è abbattuto sul ministero del Lavoro e su ambienti sindacali e imprenditoriali, con la sentenza emessa dal gup di Napoli, Enrico Campoli, al termine del processo abbreviato per corruzione. I protagonisti? Francesco Cavallaro, segretario generale della Cisal, e Danilo Iervolino, noto imprenditore e proprietario della Salernitana, entrambi al centro di uno scandalo che ha fatto tremare il dicastero e scosso profondamente il mondo del lavoro.
Cavallaro, originario del Vibonese e figura di spicco del sindacalismo calabrese, è stato condannato a cinque anni di reclusione, con interdizione perpetua dai pubblici uffici e il divieto di contrattare con la Pubblica Amministrazione per cinque anni. Danilo Iervolino, proprietario dell’università Pegaso e della Salernitana, ha ricevuto una condanna a quattro anni, con il divieto di contrattare con la Pubblica Amministrazione per quattro anni.
Il sistema della corruzione
Secondo le indagini del Nucleo di Polizia Economico Finanziaria della Guardia di Finanza di Napoli, coordinate dalla Procura partenopea, il cuore dello scandalo riguarda favori e assunzioni offerti a funzionari ministeriali in cambio di vantaggi patrimoniali. Al centro della vicenda, la divisione del patronato Encal-Inpal in Encal-Cisal e Inpal, una modifica che avrebbe mantenuto inalterati gli introiti economici per la Cisal, nonostante un precedente parere negativo del Ministero.
Le indagini hanno rivelato come due dirigenti di alto livello del ministero – Concetta Ferrari e Fabia D’Andrea – si siano adoperate per ribaltare il parere sfavorevole, in cambio di benefici personali. Ferrari, all’epoca direttrice generale per le Politiche Previdenziali e Assicurative, avrebbe ottenuto l’assunzione del figlio, Antonio Rossi, come professore straordinario all’università Pegaso, allora sotto il controllo di Iervolino. D’Andrea, invece, avrebbe favorito due conoscenti, garantendo progressioni lavorative all’interno dell’Inps e in un’associazione legata a Cavallaro.
Una sentenza severa, ma non per tutti
Nonostante le condanne pesanti per Cavallaro e Iervolino, il direttore scientifico dell’università Pegaso, Francesco Fimmanò, è stato assolto. La decisione del gup è arrivata dopo che la Corte di Cassazione aveva dichiarato inutilizzabili alcune intercettazioni acquisite dalla Procura di Catanzaro, limitando così il quadro probatorio nei suoi confronti.
Mario Rosario Miele, collaboratore di Iervolino, è stato condannato a due anni e otto mesi, mentre altri soggetti, tra cui Antonio Rossi, attendono i prossimi sviluppi giudiziari.
L’impatto sulle istituzioni e il futuro di Iervolino
Questa sentenza rappresenta un duro colpo per la credibilità delle istituzioni e del sistema sindacale. Francesco Cavallaro, figura centrale della Cisal, vede crollare la sua carriera in modo rovinoso, mentre Danilo Iervolino, noto per la sua impronta innovativa sia nell’educazione che nel calcio, dovrà affrontare gravi conseguenze per la sua reputazione e per le sue attività imprenditoriali.
Le prossime settimane saranno cruciali per capire l’effetto di queste condanne sugli ambienti coinvolti. Nel frattempo, la Procura di Napoli continua a indagare per delineare ulteriori responsabilità e completare il quadro di uno scandalo che ha scoperchiato dinamiche opache all’interno di istituzioni e sindacati.
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Mondo
Altro che Kung Fu Panda! Shaolin shock: l’abate “monaco Ceo” cacciato tra soldi, donne e scandali
Il maestro del kung fu e degli affari, simbolo del Tempio Shaolin, è stato ridotto allo stato laicale. Accuse di appropriazione indebita, figli illegittimi e un impero commerciale sotto indagine

La meditazione non basta. Nemmeno le arti marziali, a quanto pare. In Cina, il colpo di gong non arriva da una sfida di kung fu, ma da un’inchiesta. Che travolge Shi Yongxin, l’abate più famoso del Tempio Shaolin, la culla millenaria del buddismo Chan e delle acrobazie marziali da film.
Le accuse? Appropriazione indebita di fondi del monastero, gestione opaca dei beni del tempio e gravi violazioni dei precetti buddisti. Quest’ultima voce, che in Occidente farebbe sorridere, in Cina ha il peso di uno scandalo morale. Relazioni con più di una donna e almeno un figlio illegittimo, in aperto contrasto con la vita monastica.
A confermare le voci è stato lo stesso Tempio Shaolin, attraverso una nota ufficiale su WeChat. Shi Yongxin è stato sospeso dal ruolo di guida spirituale. E ridotto allo stato laicale. Una caduta rovinosa per colui che per vent’anni era stato il volto del monastero e del kung fu nel mondo, trasformandolo in un brand globale.
Shi non era un monaco qualunque. Dalla sua nomina ad abate nel 1999, ha reso Shaolin un impero commerciale. Tour per turisti, spettacoli internazionali di arti marziali, film e merchandising a tema monaco volante. Da Hollywood a Bollywood, chiunque abbia visto un calciatore saltare in aria in Shaolin Soccer ha assaggiato la sua idea di business spirituale. E così è arrivato il soprannome impietoso: “monaco Ceo”, più a suo agio con i conti bancari che con il silenzio della meditazione.
Ora però, i conti li sta facendo con la polizia e con le autorità anticorruzione. L’indagine congiunta coinvolge forze dell’ordine, organi religiosi e uffici statali, decisi a fare chiarezza su un patrimonio che si è trasformato in una rete di società e fondazioni. Shi, secondo i registri di Qichacha, risultava legato a otto aziende, di cui cinque già liquidate. Tra quelle ancora attive spiccano l’Associazione buddista di Zhengzhou, la provinciale dello Henan e la China Songshan Shaolin Temple, la cassaforte fondata nel 1995 per monetizzare l’aura spirituale del monastero. Ma i controlli si allargano: 17 altre entità tra scuole di kung fu, centri di meditazione e aziende di medicina tradizionale sono finite sotto la lente.
Non è la prima volta che Shi finisce al centro di un giallo finanziario e morale. Nel 2015 un monaco “dissidente” lo accusò di amanti, auto di lusso e figli segreti, mentre il tempio progettava un resort da 300 milioni di dollari in Australia con campo da golf e accademia di kung fu vista oceano. All’epoca le accuse furono archiviate nel 2017 e lui riapparve in pubblico come se nulla fosse, pronto a riprendersi applausi e flash. Ma stavolta l’aria è diversa: la sospensione è ufficiale, la laicizzazione definitiva, e la sua immagine di maestro serafico sembra destinata a rimanere solo sulle locandine dei vecchi spettacoli itineranti.
Nel frattempo, il tempio Shaolin cerca di ripulire la sua immagine, ricordando al mondo che oltre ai colpi di kung fu ci sono ancora monaci pronti a meditare tra le nebbie del monte Song. E Shi? Lui, il monaco imprenditore, il campione delle arti marziali e della finanza creativa, ora sembra avere davanti un solo avversario che non si può battere a calci volanti: la legge.
Politica
Pier Silvio, lo sapevamo! E ora se ne accorge anche Elon Musk…
È bastato un sondaggio su X per confermare quello che in pochi osavano dire ad alta voce: l’aria attorno a Pier Silvio si è fatta politica. E i segnali, per chi li sa leggere, c’erano già tutti.

Che Pier Silvio Berlusconi si stia preparando al grande salto, lo diciamo da mesi. Altro che operazione estemporanea, altro che voce di corridoio estiva. Chi ha seguito davvero l’evoluzione di questo “uomo nuovo” della galassia berlusconiana — il figlio silenzioso, manageriale, quasi allergico ai riflettori — sa bene che certi segnali non arrivano mai per caso. Ora a certificare l’odore di politica è anche Andrea Stroppa, l’uomo-ombra di Elon Musk in Italia, che da X lancia l’endorsement più bizzarro dell’estate: “Pier Silvio in politica sarebbe positivo. E divertente”. In tempi normali, verrebbe da sorridere. Ma qui si parla della piattaforma social preferita dai potenti, e di un nome che, con tutto il suo low profile, fa tremare ancora qualche sismografo.
Stroppa, senza un partito né un programma, si spinge a dichiarare che un eventuale movimento guidato da Pier Silvio sarebbe già intorno al 15%. Con che base, non si sa. Ma il messaggio è chiaro: da oltreoceano l’ipotesi piace. E quando Musk fiuta qualcosa, anche solo per gioco, c’è sempre qualcuno che prende nota. A partire da chi ha interesse a vedere cambiare volto (e stile) al centrodestra.
Certo, ufficialmente Pier Silvio continua a dirsi estraneo alla politica. Ma intanto ha ripulito Mediaset, ha imposto una nuova linea editoriale, ha tagliato le unghie al trash di partito, ha ricostruito un’identità aziendale fatta di ordine e sobrietà. E ora viene celebrato da quelli che — a parole — odiano la “casta”, ma in fondo cercano proprio un nuovo principe ereditario a cui aggrapparsi.
Non serve che parli, per essere ascoltato. Non serve che si candidi, per fare paura. Pier Silvio c’è, eccome. E chi lo ha capito in tempo, oggi non ha bisogno di sondaggi per fiutare dove tira il vento.
Cronaca Nera
Assalto in chiesa con pistola a salve: tentativo di rapina durante la funzione religiosa
La pistola era finta, la paura no. A Sant’Anastasia, in provincia di Napoli, questa mattina si è vissuto un incubo tra i banchi della cappella del complesso delle suore domenicane: un uomo mascherato ha fatto irruzione durante la messa delle prime ore del giorno, armato e deciso a rapinare i presenti.

È successo ieri mattina tra le 7 e le 8, quando il silenzio della preghiera è stato interrotto da urla e terrore. L’uomo – il volto nascosto da un passamontagna, la mano stretta attorno a una pistola – ha fatto irruzione all’interno della cappella dove si stava celebrando la funzione religiosa. Senza dire una parola ha puntato l’arma addosso ai fedeli, ordinando loro di consegnare denaro e oggetti di valore. Qualcuno ha provato a calmare gli animi, qualcun altro si è immobilizzato, paralizzato dalla paura. Poi lo sparo. Secco, improvviso. Il colpo, si scoprirà poco dopo, era a salve. Ma in quel momento nessuno poteva saperlo.
L’eco dello sparo ha scatenato il panico. Alcuni si sono buttati a terra, altri hanno urlato, le suore si sono strette in preghiera. Il rapinatore ha atteso qualche istante, forse per valutare la reazione, forse per convincersi che non ne valeva la pena. Poi, senza portare via nulla, ha fatto dietrofront ed è fuggito a piedi, scomparendo per le strade del paese prima che qualcuno potesse bloccarlo.
Sull’episodio indagano ora i carabinieri, che hanno acquisito le immagini delle telecamere presenti nella zona. Al momento non risultano feriti, ma lo shock tra i presenti è profondo. “Sembrava una scena da film – ha raccontato una delle sorelle – ma era tutto vero. Non avevamo mai vissuto una cosa simile. Qui si viene per pregare, non per morire”.
In attesa che l’uomo venga identificato e arrestato, resta una domanda amara: se persino la sacralità di una chiesa al mattino non basta più a fermare un’arma – vera o finta che sia – allora, davvero, non c’è più religione.
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