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Cose dell'altro mondo

Chi è la TikToker americana che pulisce le tombe dei cimiteri?

La TikToker che pulisce tombe e cimiteri ha creato qualcosa di più di un semplice trend sui social media: ha dato vita a un movimento di gentilezza e riflessione che ha toccato il cuore di molte persone.

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    Questa è una storia che nasce negli Stati Unii e diventa virale grazie al social TikTok. In fondo si potrebbe riassumere in poche righe. Ma invece vale la pena soffermarsi su questa ragazza che è diventata una influencer molto seguita – 2,3 milioni di follower – che è possibile cercare con il nome di The clean girl.

    La sua missione è la pulizia delle tombe

    La TikToker ha iniziato a guadagnare popolarità pubblicando video di lei mentre pulisce vecchie tombe e monumenti in cimiteri spesso abbandonati o trascurati. Molti dei suoi video sono ambientati in piccoli cimiteri rurali o in aree dove le tombe sono state lasciate al degrado a causa del passare del tempo o della mancanza di fondi e manutenzione da parte delle famiglie.

    Non solo un modo per emergere sui social…

    Il suo è uno schema preciso che inizia sempre con una semplice ispezione. Una volta individuata una tomba trascurata dall’incuria e dalla dimenticanza dei parenti del defunto, si mette al lavoro. Armata di spazzole, detergenti delicati, guanti e, spesso, attrezzi per rimuovere il muschio, sporcizia, foglie e altri detriti che si accumulano nel tempo. Ma la TikToker non si limita solo alla pulizia fisica. In alcuni video si vede spesso mentre fa ricerche sui defunti e condivide le loro storie nei suoi video, ridando così vita a memorie destinate al dimenticatoio.

    C’è anche un impatto positivo

    Gli atti di gentilezza di questa ragazza hanno toccato i cuori di milioni di spettatori su TikTok, molti dei quali lasciano commenti di gratitudine o raccontano le proprie storie di tombe di familiari che non possono più visitare o curare. In alcuni casi, famiglie hanno contattato la TikToker per chiederle di prendersi cura delle tombe dei loro cari, spesso perché vivono troppo lontano o non hanno i mezzi per farlo da soli.

    Molta ammirazione per il suo impegno

    Alcuni dei suoi video più popolari mostrano la trasformazione drammatica di tombe antiche, coperte di sporco e vegetazione, che ritornano a splendere dopo il suo intervento. Questi video, accompagnati spesso da narrazioni toccanti o musica rilassante, hanno ricevuto milioni di visualizzazioni, con utenti che esprimono la loro ammirazione per il suo impegno.

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      Alassio, la spiaggia più cara d’Italia: ombrellone a 345 euro e solo il 20% di arenile libero

      Altroconsumo incorona Alassio come località balneare più costosa d’Italia: 345 euro per la prima fila e appena il 20% di arenile libero, contro il 40% previsto. Adiconsum e Legambiente denunciano l’ennesima vittoria della lobby dei balneari a danno dei cittadini.

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        Dal “budello” di boutique e gelaterie al mare ci sono solo pochi metri, ma ad Alassio ogni passo verso la battigia pesa come oro. La città simbolo della riviera di Ponente, celebre per Miss Muretto e i suoi aperitivi sul muretto, oggi si distingue soprattutto per un primato poco invidiabile: la spiaggia privata più cara d’Italia. Secondo Altroconsumo, una settimana in prima fila con ombrellone e due lettini arriva a costare 345 euro, mentre le prime quattro file non scendono sotto i 340 euro. Un lusso che, in alcuni casi, include appena una sedia e, molto raramente, una cabina.

        Il problema non è solo il portafoglio. La legge regionale impone ai Comuni liguri di garantire almeno il 40% di arenile libero, ma ad Alassio la quota reale è la metà: appena il 20%, in gran parte frammentato in piccole lingue di sabbia. E spesso si tratta di “libere attrezzate”, una definizione che maschera vere e proprie privatizzazioni, come denuncia da anni Stefano Salvetti di Mare Libero e referente nazionale spiagge di Adiconsum: «In Liguria si è fatto di tutto per favorire la lobby dei balneari. Prima permettendo di trasformare le spiagge libere in simil-stabilimenti, poi con emendamenti regionali che consentono di aggirare il vincolo del 40%».

        Anche Legambiente punta il dito contro quella che definisce «la truffa della mappatura»: nel conteggio ufficiale delle spiagge libere, compaiono addirittura tratti di costa alle foci di fiumi e torrenti, come a Deiva e Finale Ligure, considerati formalmente fruibili ma di fatto inutilizzabili.

        La storia si ripete ogni estate. La mareggiata del 2018 ridusse molti stabilimenti a una sola fila di ombrelloni, ma con il ritorno del mare calmo i guadagni sono tornati a correre. Nel frattempo, il lungomare resta invisibile, nascosto da un muro continuo di cabine e palizzate di legno. E per i turisti, tra piemontesi e lombardi che affollano B&B e seconde case, il vero panorama resta la ricevuta del bancomat: la più salata d’Italia.

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          “Non vuoi più il tuo animale domestico? Lo daremo in pasto alle tigri”: lo choc dallo zoo di Aalborg

          La campagna, presentata come “naturale ed ecologica”, consente ai cittadini di disfarsi degli animali domestici non più desiderati, che vengono abbattuti e dati in pasto a tigri, leoni e linci. L’ombra della macabra strategia di marketing.

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            Chi non vuole più il proprio animale domestico può portarlo allo zoo di Aalborg, nel nord della Danimarca. Qui non verrà affidato a un rifugio né proposto per l’adozione: sarà abbattuto e dato in pasto ai predatori. È il messaggio choc della campagna lanciata sui social dallo zoo. Accompagnata da foto e inviti dal tono freddo e burocratico, che hanno scatenato un’ondata di polemiche in tutta Europa.

            Il regolamento della struttura è chiaro – e spietato: si accettano conigli, galline, porcellini d’India, e persino cavalli. Purché al di sotto dei 147 centimetri al garrese, in buona salute e accompagnati dai documenti previsti. Gli animali devono essere consegnati vivi, per poi essere soppressi dal personale veterinario e trasformati in pasti “naturali” per tigri, leoni, linci e orsi polari.

            La campagna parla di “imitazione della catena alimentare naturale” e di rispetto del benessere dei predatori, che in cattività ricevono di solito carne già porzionata. Per i grandi carnivori, spiegano i responsabili, le carcasse intere – con pelo, ossa e organi – stimolano comportamenti più vicini alla vita selvatica. Ma dietro la facciata ecologica, emergono dubbi etici ed economici. Ogni predatore consuma circa 20 chili di carne a settimana, e la riduzione dei costi alimentari è evidente.

            I numeri del 2025 parlano da soli: 137 conigli, 53 galline, 22 cavalli, 18 porcellini d’India e persino 12 merluzzi sono già finiti nei recinti dei carnivori. L’anno precedente, il 25% del budget alimentare dello zoo era stato speso per mantenere le due elefantesse Tanja e Mai. La prima è stata soppressa per malattia, la seconda “per evitare il trauma di un trasferimento”. Con la loro scomparsa, ha ammesso il direttore Henrik Vesterskov Johansen, il bilancio si alleggerisce di 670.000 corone, circa 80 mila euro.

            Sui social, la reazione è stata immediata e feroce. Molti parlano di campagna “macabra e disumana”, accusando lo zoo di trasformare gli animali domestici in “materiale organico per foraggiare le tigri”. Altri, minoritari, apprezzano l’idea come “riciclo utile”, sostenendo che il corpo di un animale possa almeno servire dopo la morte.

            A far discutere è anche il linguaggio volutamente vago della campagna: non si citano mai cani e gatti, ma nemmeno si esclude apertamente la possibilità di accettarli. In un periodo come quello estivo, in cui gli abbandoni di animali raggiungono il picco, il messaggio suona come un invito implicito a liberarsene senza rischiare sanzioni.

            Oltre al clamore etico, resta aperta la questione di fondo: fino a che punto la necessità di gestire i costi e il benessere dei predatori giustifica una simile pratica? E, soprattutto, quanto siamo disposti a separare affetto e utilità, trasformando in un attimo il nostro animale da compagnia in carne da macello davanti agli occhi di una tigre in cattività.

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              Toglieteci tutto tranne la vacanza: coppia lascia il figlio di 10 anni all’aeroporto di Barcellona

              I genitori, pronti per il volo, hanno preferito non rinunciare alle ferie e hanno mollato il figlio al terminal. La polizia li ha fermati poco dopo, prima del decollo, tra l’incredulità dei passeggeri e dello staff aeroportuale.

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                Per loro la vacanza era sacra. Così, quando al check-in dell’aeroporto di Barcellona El Prat hanno scoperto che il passaporto del figlio di dieci anni era scaduto, non si sono fatti troppi scrupoli: valigia in mano e imbarco confermato, lasciando il piccolo da solo al terminal. Al bambino, spaesato ma obbediente, è stato promesso che un parente sarebbe arrivato a prenderlo a breve.

                Il “piano”, però, è durato lo spazio di pochi minuti. Il personale aeroportuale, insospettito dalla presenza del minore senza adulti, ha subito allertato la polizia. Quando gli agenti hanno ascoltato il racconto del bambino — «i miei genitori sono partiti, arriverà uno zio» — hanno immediatamente avviato le ricerche dei due turisti senza scrupoli.

                I genitori, già seduti a bordo del loro volo pronto al decollo, sono stati fatti scendere dall’aereo tra lo sguardo basito degli altri passeggeri. Condotti in centrale, hanno dovuto spiegare perché avessero deciso di abbandonare il figlio pur di non perdere la vacanza.

                Il caso ha fatto il giro dei social spagnoli dopo che la coordinatrice dei controllori di volo, Lilian, ha raccontato l’episodio su TikTok. Nei commenti, indignazione e ironia si sono mescolate: c’è chi parla di “genitori irresponsabili” e chi, con sarcasmo, li definisce “turisti modello che non rinunciano mai al viaggio”.

                Ora per la coppia, oltre alla figuraccia internazionale, potrebbe arrivare anche un’inchiesta per abbandono di minore. Una cosa è certa: la loro vacanza da sogno è finita prima ancora di cominciare.

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