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Cronaca Nera

Angelo Izzo rompe il silenzio dal carcere: «Io pentito? Di sicuro non lo rifarei»

Il “Mostro del Circeo”, condannato a due ergastoli, interviene in un podcast della Rai e parla per la prima volta dopo anni di silenzio. Le sue parole arrivano dal carcere di Velletri: «Sono profondamente cambiato. Ho riflettuto su chi ero, ma il pentimento è qualcosa di più complesso».

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    Angelo Izzo torna a parlare. Cinquant’anni dopo la strage del Circeo e venti anni dopo il massacro di Ferrazzano, l’uomo condannato a due ergastoli rompe il silenzio dal carcere di Velletri, dove è detenuto. Lo fa attraverso il suo avvocato, Rolando Iorio, intervenendo nel podcast di RaiPlaySound Il massacratore del Circeo, prodotto dalla Tgr Molise.

    Izzo ha risposto per iscritto alle domande, evitando parole definitive ma lasciando trapelare un certo distacco da se stesso. «Pentimento è una parola complicata, che implica anche e soprattutto un sentimento che riguarda moti dell’anima e di cui ho pudore a parlare», ha detto. «È ovvio che negli anni una persona può cambiare anche profondamente. Io oggi mi sento una persona profondamente diversa dalla persona che è stata protagonista di quei fatti. Posso soltanto dire che non rifarei ciò che ho fatto».

    Nel 2005, mentre godeva del regime di semilibertà, Izzo uccise Maria Carmela Linciano e Valentina Maiorano a Ferrazzano, in provincia di Campobasso. Un duplice omicidio che riportò brutalmente alla cronaca il suo nome, legato a uno dei casi più atroci della storia criminale italiana.

    Nel suo messaggio dal carcere, Izzo accenna anche ad aspetti del suo carattere: «Ho molto riflettuto su alcuni tratti di me che mi portano a buttarmi a capofitto in situazioni pericolose, e a volte anche sbagliate». Nessuna dichiarazione di responsabilità piena, nessuna richiesta di perdono.

    Il nome di Angelo Izzo resta legato soprattutto alla strage del Circeo, consumata nel settembre del 1975 nella villa di Andrea Ghira a San Felice Circeo. Insieme a Gianni Guido e allo stesso Ghira, Izzo sequestrò Donatella Colasanti e Rosaria Lopez, due ragazze di 17 e 19 anni, conosciute pochi giorni prima tramite un amico.

    Le due furono tenute prigioniere per trentacinque ore, violentate, seviziate e torturate. Rosaria Lopez venne uccisa, annegata nella vasca da bagno. Donatella Colasanti sopravvisse: creduta morta, fu rinchiusa nel bagagliaio dell’auto dei rapitori. I suoi lamenti permisero ai passanti di dare l’allarme. Izzo e Guido furono arrestati quasi subito, Ghira si diede alla fuga.

    Il processo si concluse nel 1976 con tre ergastoli. Nel corso dei successivi gradi di giudizio, Gianni Guido ottenne uno sconto di pena a trent’anni per attenuanti generiche. Ghira morì in latitanza. Izzo scontò parte della sua pena, fu inserito in percorsi di reinserimento, ottenne la semilibertà e tornò a uccidere.

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      L’impronta accanto al corpo di Chiara è di Andrea Sempio

      L’impronta sporca di sangue, lasciata sul muro accanto alla vittima, è ora attribuita a Sempio: secondo i carabinieri è “logico-fattuale” che appartenga all’assassino. Insieme al DNA sotto le unghie, è l’elemento chiave che riapre il caso Garlasco a 17 anni dall’omicidio.

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        Era lì, sulle scale della villetta di via Pascoli, tra il piano terra e il seminterrato dove il corpo di Chiara Poggi venne trovato riverso, senza vita. L’hanno chiamata “contatto papillare n.33”, una delle tante impronte isolate nel 2007 sulla scena del delitto, ma rimasta a lungo senza un nome. A identificarla, in una relazione dei carabinieri del Nucleo investigativo di Milano datata 9 luglio 2020, è una rivelazione ora al centro dell’inchiesta: per gli inquirenti, l’impronta appartiene ad Andrea Sempio, amico intimo di Marco Poggi, fratello della vittima.

        Un’impronta, quella numero 33, che i tecnici hanno evidenziato con luce UV e che, secondo i RIS, era sporca di sangue, tracciata sul muro prima che Chiara scivolasse lungo le scale. E che per logica – scrivono i militari – non può che appartenere all’autore dell’aggressione. La ragazza fu colpita con violenza, probabilmente con un oggetto mai ritrovato, e poi lasciata esanime ai piedi dei gradini.

        Quella traccia è tornata sotto i riflettori nel momento in cui i pubblici ministeri di Pavia hanno deciso di riaprire il fascicolo, accogliendo un’istanza presentata dalla difesa di Alberto Stasi, condannato in via definitiva a 16 anni per l’omicidio. Gli avvocati, forti di alcune incongruenze emerse negli atti e delle segnalazioni contenute in una prima informativa del 2016, hanno ottenuto che venisse disposta una nuova consulenza tecnica. Proprio in quell’analisi comparativa i carabinieri suggerirono di approfondire l’impronta n.33, lasciata in una zona compatibile con il trascinamento del corpo.

        Nonostante le indicazioni, la Procura decise allora di non seguire quella pista. Ma oggi gli investigatori della Omicidi, delegati ufficialmente dai magistrati, sono tornati su quella traccia, ritenendola un punto centrale dell’inchiesta. A rafforzare il quadro, ci sono due profili genetici maschili rilevati sotto le unghie di Chiara, uno dei quali compatibile proprio con Andrea Sempio. L’altro, non ancora identificato, è oggetto di ulteriori accertamenti.

        Non è un dettaglio trascurabile che, quando Sempio fu convocato nel 2022 in caserma a Milano per il prelievo coatto del DNA, gli vennero acquisite anche le impronte digitali. Un passaggio di routine? Forse. Ma appena un mese dopo, il 17 aprile, fu richiamato per ripetere l’operazione con il metodo tradizionale a inchiostro. All’epoca si parlò di un “difetto tecnico dei vetrini”, ma in realtà si voleva garantire una comparazione più affidabile con le impronte lasciate in ambienti contaminati da liquidi, come sangue o sudore.

        Ora, con la perizia depositata dalla Procura, quella comparazione diventa un elemento di prova. Non più soltanto una suggestione investigativa, ma un dato cristallizzato: l’impronta n.33 sarebbe compatibile con l’anulare destro di Andrea Sempio. Una conferma che i pubblici ministeri avrebbero voluto contestare formalmente, se il nuovo indagato si fosse presentato spontaneamente in Procura.

        Il caso Garlasco, a 17 anni dall’omicidio, si arricchisce così di una nuova tessera. Un’impronta dimenticata, che potrebbe cambiare il volto di una delle vicende giudiziarie più discusse degli ultimi decenni. Per ora resta ancora da capire se porterà anche a un nuovo processo.

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          Garlasco, il mistero si allarga: tre morti sospette e un testimone che non ha mai parlato

          Il medico di famiglia trovato morto con un’iniezione letale, un anziano meccanico sgozzato senza lama, un ragazzo impiccato con un nodo “impossibile”. Tutti legati in qualche modo a chi ruotava attorno a Chiara Poggi. E ora che Andrea Sempio è indagato per omicidio, quelle morti tornano sotto la lente degli inquirenti

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            C’è un filo nero che attraversa la provincia pavese da quasi vent’anni. Un filo fatto di silenzi, paure, verità dette a metà. E ora, dopo la clamorosa riapertura dell’inchiesta sull’omicidio di Chiara Poggi, anche di morti sospette.

            Il caso Garlasco, che dal 2007 tiene l’Italia incollata al dubbio, si arricchisce di una nuova pagina inquietante. Non solo perché i carabinieri hanno appena dragato un canale alla ricerca dell’arma del delitto, né perché Andrea Sempio — amico del fratello della vittima — è ora formalmente indagato. Ma perché attorno a quella tragedia iniziano a emergere episodi oscuri che non hanno mai avuto una spiegazione convincente. E che oggi potrebbero non essere più così scollegati tra loro.

            Il dottore e il meccanico: morti che non tornano

            Il primo nome è quello di Corrado Cavallini, medico di famiglia a Garlasco, trovato senza vita nel 2012, cinque anni dopo l’assassinio di Chiara. Si parlò di suicidio per overdose da iniezione letale. Un gesto estremo e rarissimo per un uomo che, secondo chi lo conosceva, non aveva mai mostrato fragilità tali da farlo pensare capace di un gesto simile. Eppure, Cavallini non era solo il medico di Andrea Sempio e della sua famiglia: curava anche la moglie di Giovanni Ferri, un anziano meccanico di 88 anni, trovato morto in circostanze ancora più anomale.

            Ferri venne trovato sgozzato in uno sgabuzzino stretto e disordinato. Polsi tagliati, gola recisa, sangue ovunque — ma nessuna arma nelle vicinanze. La procura archiviò il caso come suicidio. Ma la moglie dell’uomo non ci ha mai creduto. E raccontò agli amici che suo marito, il 13 agosto 2007, era davanti al bar Jolly, a due passi dalla villetta di via Pascoli dove Chiara venne uccisa. Disse che aveva visto qualcosa, e che lo aveva confidato solo a lei. Poi Ferri morì, e la moglie restò sola e malata, seguita fino all’ultimo — guarda caso — dal dottor Cavallini. Che potrebbe aver raccolto da lei confessioni mai verbalizzate.

            L’amico impiccato e il testimone dimenticato

            Ma c’è un terzo episodio che inquieta gli inquirenti. Nel 2016, un giovane amico d’infanzia di Andrea Sempio fu trovato impiccato in casa. Il nodo con cui fu appeso era talmente complicato che, secondo alcuni esperti, sarebbe difficile da realizzare da soli. Anche in quel caso si parlò subito di suicidio. Ma il dubbio, oggi, torna. Perché quel ragazzo conosceva bene Sempio, frequentava la stessa compagnia, sapeva forse di più di quanto ha mai detto.

            In questo groviglio di segreti spunta anche un nome noto a chi ha seguito le vecchie cronache del caso: Marco Muschitta, tecnico del gas, testimone chiave nell’immediato post delitto. Disse di aver visto una ragazza su una bici nera aggirarsi nei pressi della villetta di Chiara quella mattina. Una ragazza con in mano un oggetto metallico, forse un attizzatoio. Descrizione simile a quella oggi riferita da un nuovo supertestimone intervistato da Le Iene, la cui testimonianza ha riacceso l’indagine. Muschitta poi ritrattò, venne denunciato per calunnia, e il suo rinvio a giudizio arrivò a ridosso della morte sospetta del meccanico Ferri.

            Un nuovo scenario, 18 anni dopo

            Tutto questo riemerge oggi perché, nel canale di Tromello, durante le perquisizioni di questa settimana, è stato trovato un martello. Non un attizzatoio, come ipotizzato in passato, ma comunque un oggetto metallico compatibile con un’arma da corpo contundente. Le analisi dei RIS diranno se si tratta davvero dell’arma del delitto. Ma il luogo in cui è stato ritrovato — proprio accanto a una vecchia casa della famiglia Cappa, le cugine di Chiara — e il racconto del testimone che parla di “una borsa pesante gettata nel canale”, aggiungono nuovi dettagli a un mosaico che, pezzo dopo pezzo, sembra riscrivere la storia.

            L’ombra del dubbio su una verità già scritta

            Alberto Stasi è stato condannato a 16 anni, di cui ne ha scontati quasi dodici. Ora però la procura indaga su Andrea Sempio con l’accusa di omicidio in concorso. E si torna a parlare anche di Roberto Freddi, Mattia Capra, Antonio B., e di quella festa in piscina del luglio 2007, di cui restano fotografie e messaggi criptici. Come quelli di Paola Cappa, che in un’intercettazione dell’epoca diceva: “Odio gli zii, se io e Stefania siamo ridotte così è per questo”.

            Un puzzle fatto di mezze verità, vite spezzate e voci che nessuno ha voluto ascoltare. Fino ad ora.

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              Messico, influencer Valeria Marquez uccisa in diretta su TikTok

              Messico, uccisa in diretta su TikTok l’influencer Valeria Marquez: “Stanno arrivando”, aveva detto poco prima della sparatoria

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                Un colpo dritto al cuore della generazione social. In Messico, l’influencer e modella Valeria Marquez, 23 anni, è stata uccisa in diretta su TikTok all’interno di un salone di bellezza. La scena, trasmessa in tempo reale ai suoi follower, ha scioccato migliaia di persone che hanno assistito – impotenti – a quello che le autorità ora definiscono un probabile femminicidio.

                La giovane si trovava a Zapopan, nella periferia di Guadalajara, Stato di Jalisco, quando un uomo armato è entrato nel locale e si è diretto verso di lei. “Sei Valeria Marquez?”, avrebbe chiesto. Lei avrebbe annuito. Poi il silenzio. L’influencer spegne l’audio della diretta, forse intuendo che qualcosa non va. Pochi secondi dopo, la tragedia: viene colpita all’addome e poi alla testa. Cade a terra senza vita. La scena è stata immortalata in video e diffusa in rete, generando un’ondata di sgomento e dolore.

                L’allarme prima dell’agguato: “Stanno arrivando”

                Quel che rende ancora più inquietante l’intera vicenda è ciò che Valeria aveva detto poco prima dell’arrivo dell’uomo armato. “Stanno arrivando”, aveva sussurrato ai suoi follower in un video precedente, lasciando intuire un senso di allarme o forse di minaccia percepita. Parole che ora, alla luce dell’accaduto, suonano come un sinistro presagio.

                Secondo quanto riportato dalle autorità locali, le indagini sono state avviate con l’ipotesi di femminicidio, reato su cui il Messico combatte una battaglia ormai decennale. La violenza contro le donne nel Paese ha raggiunto numeri spaventosi: secondo i dati ufficiali, nel 2023 sono state uccise in media dieci donne al giorno. E nonostante le campagne di sensibilizzazione, la scia di sangue continua.

                Le immagini choc e il volto dell’assassino

                A rendere ancora più drammatica la vicenda è il fatto che i video della diretta sono ancora reperibili in rete, in particolare su TikTok e altre piattaforme social. In uno di questi, dopo che Valeria si accascia al suolo, una mano prende in mano il telefono e per un attimo si vede un volto maschile, che potrebbe essere quello dell’assassino. Gli investigatori stanno analizzando quei fotogrammi per cercare di identificare l’uomo e verificare se si tratti di un killer assoldato o di una persona legata direttamente alla giovane.

                Sebbene Valeria non fosse nota a livello internazionale, il suo profilo aveva raccolto una community solida di follower locali e regionali. Era molto attiva sui social, dove condivideva contenuti di moda, bellezza e vita quotidiana. Il suo stile diretto e la personalità solare le avevano garantito un seguito crescente tra i più giovani. Proprio per questo la sua morte ha assunto un significato ancora più simbolico, divenendo l’ennesimo monito sulla violenza che si nasconde dietro le luci artificiali dei social.

                Un altro omicidio nella stessa città

                A rendere ancora più allarmante il quadro generale c’è il fatto che poche ore dopo l’omicidio di Valeria Marquez, nella stessa città di Zapopan, è stato ucciso anche Luis Armando Cordova Diaz, ex deputato del partito PRI. L’uomo è stato freddato a colpi d’arma da fuoco in un bar. Due episodi ravvicinati, due omicidi eccellenti nello stesso quadrante urbano. Un’ulteriore prova di quanto la spirale di violenza in Messico continui a colpire indiscriminatamente influencer, politici e cittadini comuni.

                Shock sui social

                Il mondo dei social è stato investito da un’ondata di cordoglio e incredulità. Sotto gli ultimi video postati da Valeria si leggono centinaia di commenti: “Non posso credere che sia successo davvero”, “Che orrore assistere in diretta a una vita che si spegne”, “Riposa in pace, Valeria”. Il suo profilo TikTok è stato trasformato, nel giro di poche ore, in un memoriale virtuale.

                Il caso di Valeria Marquez riaccende i riflettori su un tema cruciale: quanto siano vulnerabili le figure pubbliche nel Paese e quanto la visibilità, in alcuni contesti, possa diventare pericolosa come una condanna.

                Mentre le autorità messicane proseguono con le indagini, resta il silenzio pesante di un Paese che si scopre ancora una volta incapace di proteggere le sue donne. Anche – e soprattutto – quando sono sotto gli occhi di tutti.

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