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Cronaca Nera

Bossetti è colpevole oltre ogni ragionevole dubbio. Parola all’accusa!

Il caso Yara Gambirasio, oltre ogni ragionevole dubbio torna a far discutere: il documentario su Netflix solleva dubbi sulla condanna di Massimo Bossetti, con un focus sul DNA e altre prove.

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    Il caso di Yara Gambirasio è di nuovo sotto i riflettori grazie al documentario in cinque puntate trasmesso su Netflix. Intitolato “Oltre ogni ragionevole dubbio”, il lavoro ricostruisce l’indagine con l’obiettivo di mettere in dubbio la solidità degli elementi che hanno portato alla condanna all’ergastolo per omicidio di Massimo Bossetti.

    Il DNA e il figlio illegittimo

    Yara, 13 anni, sparisce dopo essere stata in palestra il 26 novembre 2010. Il suo cadavere viene ritrovato il 26 febbraio 2011. Sugli slip e altri indumenti della ragazza vengono ritrovate tracce di DNA classificato come “Ignoto 1”. La raccolta di campioni di DNA a tappeto tra gli abitanti della zona porta a identificare un componente della famiglia Guerinoni, grazie al test su Damiano Guerinoni che risulta solo parzialmente compatibile.

    Si scopre che “Ignoto 1” è figlio illegittimo di Giuseppe Benedetto Guerinoni, il cui DNA combacia perfettamente con quello trovato sui resti di Yara. La madre di questo figlio illegittimo viene identificata in Ester Arzuffi, e i suoi due figli vengono sottoposti a test. Il 15 giugno 2014, il DNA di Massimo Bossetti, prelevato con un controllo casuale, risulta essere quello di “Ignoto 1”.

    Le altre prove e l’alibi falso

    La prova del DNA è solo un tassello nel puzzle delle accuse contro Bossetti. Egli è muratore, e le celle del suo cellulare erano nella zona della palestra di Yara la sera della sua scomparsa. Inoltre, Bossetti ha fornito un alibi falso, affermando inizialmente di essere stato a casa quella sera, per poi ammettere di aver mentito.

    La versione della madre e l’inseminazione artificiale

    Il documentario Netflix mostra la rabbia di Bossetti nei confronti della madre, Ester Arzuffi, per avergli nascosto la verità sulle sue origini. Arzuffi ha affermato che il suo ginecologo le praticò inseminazioni artificiali a sua insaputa, una versione ritenuta incredibile dagli investigatori.

    L’assenza di movente

    Uno degli argomenti del documentario a favore di Bossetti è l’assenza di un chiaro movente. Yara morì di stenti dopo essere stata abbandonata in un campo, suggerendo un caso di adescamento degenerato piuttosto che un omicidio premeditato.

    Gli altri sospettati

    Il documentario afferma che non si è indagato abbastanza su altre persone, come il custode della palestra Valter Brembilla e l’insegnante di ginnastica Silvia Brena. Tuttavia, i movimenti di tutte le persone vicine a Yara sono stati verificati, e il DNA di Brena sul giubbotto di Yara è spiegabile dato il loro frequente contatto.

    Il furgone e la privacy

    Le riprese del furgone di Bossetti vicino alla palestra sono state contestate, ma alla fine lo stesso Bossetti ha ammesso di essere passato di lì. Il documentario critica anche l’invasione della privacy di Bossetti e della sua famiglia, ma tali indagini sono necessarie in casi di omicidio a sfondo sessuale. Nel computer di Bossetti sono state trovate numerose ricerche inquietanti riguardanti ragazzine.

    Gli errori nell’indagine

    È vero che durante l’indagine sono stati commessi errori, come il coinvolgimento ingiusto di Mohammed Fikri, ma questo dimostra la complessità del caso e la mancanza di tesi predefinite da parte degli investigatori.

    Il caso Yara rimane uno dei più discussi nella cronaca italiana, e il documentario di Netflix riaccende il dibattito sulla colpevolezza di Massimo Bossetti, sollevando dubbi e interrogativi che continuano a dividere l’opinione pubblica.

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      Cronaca Nera

      Assalto in chiesa con pistola a salve: tentativo di rapina durante la funzione religiosa

      La pistola era finta, la paura no. A Sant’Anastasia, in provincia di Napoli, questa mattina si è vissuto un incubo tra i banchi della cappella del complesso delle suore domenicane: un uomo mascherato ha fatto irruzione durante la messa delle prime ore del giorno, armato e deciso a rapinare i presenti.

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        È successo ieri mattina tra le 7 e le 8, quando il silenzio della preghiera è stato interrotto da urla e terrore. L’uomo – il volto nascosto da un passamontagna, la mano stretta attorno a una pistola – ha fatto irruzione all’interno della cappella dove si stava celebrando la funzione religiosa. Senza dire una parola ha puntato l’arma addosso ai fedeli, ordinando loro di consegnare denaro e oggetti di valore. Qualcuno ha provato a calmare gli animi, qualcun altro si è immobilizzato, paralizzato dalla paura. Poi lo sparo. Secco, improvviso. Il colpo, si scoprirà poco dopo, era a salve. Ma in quel momento nessuno poteva saperlo.

        L’eco dello sparo ha scatenato il panico. Alcuni si sono buttati a terra, altri hanno urlato, le suore si sono strette in preghiera. Il rapinatore ha atteso qualche istante, forse per valutare la reazione, forse per convincersi che non ne valeva la pena. Poi, senza portare via nulla, ha fatto dietrofront ed è fuggito a piedi, scomparendo per le strade del paese prima che qualcuno potesse bloccarlo.

        Sull’episodio indagano ora i carabinieri, che hanno acquisito le immagini delle telecamere presenti nella zona. Al momento non risultano feriti, ma lo shock tra i presenti è profondo. “Sembrava una scena da film – ha raccontato una delle sorelle – ma era tutto vero. Non avevamo mai vissuto una cosa simile. Qui si viene per pregare, non per morire”.

        In attesa che l’uomo venga identificato e arrestato, resta una domanda amara: se persino la sacralità di una chiesa al mattino non basta più a fermare un’arma – vera o finta che sia – allora, davvero, non c’è più religione.

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          Cronaca Nera

          Garlasco, la nuova perizia della difesa Stasi: “Sull’impronta 33 c’è sangue, è di Sempio”

          Secondo la relazione firmata da Ghizzoni, Linarello e Ricci, la famosa impronta 33 sarebbe compatibile con il palmo di Andrea Sempio e conterrebbe tracce di sudore misto a sangue. Una ricostruzione che riaccende lo scontro con i periti della famiglia Poggi e con quelli dello stesso Sempio, e che potrebbe cambiare gli equilibri dell’indagine.

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            Torna al centro del caso Garlasco l’impronta numero 33, la stessa che secondo i consulenti della Procura sarebbe compatibile con il palmo di Andrea Sempio. Ma la novità, ora, è un’ulteriore perizia depositata dalla difesa di Alberto Stasi che rilancia: quella traccia sarebbe intrisa di sangue misto a sudore.

            È quanto sostengono Oscar Ghizzoni, Pasquale Linarello e Ugo Ricci, i consulenti nominati dagli avvocati Giada Bocellari e Antonio De Rensis, legali di Stasi. Nella loro relazione, la 33 viene definita un’impronta “frutto di un contatto palmare intenso”, ovvero esercitato con forza sul muro durante un movimento anomalo, “non compatibile con una semplice discesa delle scale”. A rafforzare la tesi, ci sarebbero “accumuli più scuri” e un alone compatibile con materiale biologico.

            Non potendo più analizzare l’intonaco originale (asportato e trattato nel 2007 dal Ris), i tre esperti hanno ricreato in laboratorio le condizioni dell’epoca. Hanno spalmato sangue e sudore su muri simili, trattandoli con gli stessi reagenti: ninidrina, Combur e Obti test. Secondo i consulenti, la ninidrina avrebbe “inibito ogni reazione positiva”, mascherando la presenza del sangue. Ma i risultati fotografici sarebbero compatibili con quanto visto sul muro della villetta Poggi.

            Conclusione: quell’impronta, per la difesa Stasi, sarebbe di Andrea Sempio, e sarebbe stata lasciata con una mano non pulita. Un risultato opposto a quello raggiunto dai consulenti della famiglia Poggi, che parlavano di “appoggio veloce” e nessuna traccia ematica, e da quelli dello stesso Sempio, che riducono la validità dell’impronta a sole cinque minuzie.

            L’avvocata Angela Taccia, che difende Sempio insieme a Massimo Lovati, replica serena: “È solo una consulenza di parte. Nulla è stato accertato. Restiamo fiduciosi”.

            Ma la battaglia sulla 33 è tutt’altro che finita. Anche se il gip ha escluso la traccia dall’incidente probatorio, gli inquirenti hanno ora sul tavolo un nuovo elemento. E quella macchia sul muro potrebbe ancora dire molto.

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              Allarme serial killer: a Montecatini spuntano nuove ossa. Quante donne ha ucciso Vasile Frumuzache?

              Frammenti di ossa e indumenti femminili sono stati rinvenuti nei pressi del casolare di Vasile Frumuzache, in provincia di Pistoia. L’uomo ha ammesso l’omicidio di Denisa Maria Paun e Ana Maria Andrei, ma nega altre uccisioni. Gli inquirenti sospettano l’esistenza di una terza vittima e di un possibile complice. Intanto Frumuzache è stato trasferito in una struttura protetta dopo un’aggressione subita in carcere.

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                Potrebbe esserci una terza vittima. E forse anche un complice. È quanto ipotizzano gli investigatori che indagano su Vasile Frumuzache, 32 anni, noto come il “killer delle escort”, reo confesso di due omicidi: quelli di Denisa Maria Paun e Ana Maria Andrei, uccise tra Pistoia e Prato.

                Ma i nuovi elementi trovati nei pressi della sua abitazione a Montecatini Terme potrebbero allargare ulteriormente il quadro. In un campo vicino al casolare in cui viveva l’uomo, sono stati scoperti frammenti di ossa umane e slip femminili. Gli esami del DNA hanno escluso che appartengano a Denisa o Ana Maria. Il che apre uno scenario inquietante: chi è la donna a cui appartenevano quei resti?

                Le indagini, condotte parallelamente dalle procure di Pistoia e Prato, si avviano verso la conclusione ma restano molti punti oscuri. Frumuzache ha confessato il primo omicidio e poi, in un secondo interrogatorio, anche il secondo. Ma ha sempre negato di aver ucciso altre donne.

                Gli inquirenti, tuttavia, non gli credono del tutto. Ritengono possibile che non abbia agito da solo e che qualcuno lo abbia aiutato a occultare i cadaveri. L’obiettivo è ora dare un nome ai resti ritrovati, mentre si verifica la compatibilità con denunce di scomparse recenti nel Centro Italia.

                Dopo l’arresto, Frumuzache è stato rinchiuso nel carcere di Prato. Ma è rimasto lì poco: l’ex fidanzato di una delle due vittime lo ha aggredito in cella, gettandogli olio bollente sul volto. L’uomo ha riportato ustioni di primo e secondo grado. Per questo motivo è stato trasferito in una struttura protetta.

                Attraverso il suo avvocato, Diego Capano, Frumuzache ha rinunciato al Riesame e resta in custodia cautelare. Ma il sospetto che il suo elenco di vittime non si fermi a due, non fa dormire sonni tranquilli agli inquirenti. E forse nemmeno a chi lo ha conosciuto davvero.

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