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Cronaca Nera

Caso Yara, Bossetti perde ancora: archiviata la denuncia contro la pm Ruggeri

La denuncia di frode processuale presentata da Massimo Bossetti contro la pm Letizia Ruggeri, per la gestione dei reperti nel caso Yara, è stata archiviata. Il giudice veneziano ha stabilito che non vi è stata alcuna anomalia o intento illecito nello spostamento delle provette con il Dna. Gli avvocati del condannato all’ergastolo non escludono una futura richiesta di revisione del processo.

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    Archiviato il procedimento per frode processuale che vedeva indagata la pm Letizia Ruggeri, la magistrata che ha condotto le indagini sul caso dell’omicidio di Yara Gambirasio. La decisione è stata presa dal gip di Venezia, Alberto Scaramuzza, che ha accolto la richiesta di archiviazione, ritenendo infondati i sospetti di illeciti nella gestione dei reperti del caso.

    La denuncia contro la pm Ruggeri era stata presentata da Massimo Bossetti, il muratore condannato all’ergastolo per l’omicidio della tredicenne scomparsa nel novembre del 2010 e trovata morta tre mesi dopo. La vicenda riguardava il trasferimento di 54 provette contenenti il Dna dal frigorifero dell’ospedale San Raffaele di Milano all’ufficio Corpo di reati del tribunale di Bergamo. Secondo la difesa di Bossetti, lo spostamento avrebbe compromesso l’integrità dei campioni, rendendo impossibili ulteriori analisi sul Dna mitocondriale.

    Nessun comportamento illecito

    Il giudice Scaramuzza ha sottolineato che lo spostamento delle provette non rappresenta un comportamento anomalo o illegittimo da parte della pm Ruggeri. La decisione di trasferire i reperti non sarebbe stata motivata da intenti illeciti, ma piuttosto dal convincimento, fondato sulle sentenze di merito confermate in Cassazione, che ulteriori analisi sul Dna mitocondriale non avrebbero modificato l’esito delle indagini basato sul Dna nucleare.

    “L’indagata aveva pieno diritto di ritenere che le analisi condotte sul Dna nucleare fossero sufficienti a provare con certezza la colpevolezza di Bossetti, e che eventuali ulteriori verifiche non avrebbero potuto metterne in discussione l’identificazione,” ha spiegato il gip nel provvedimento di archiviazione.

    La reazione della difesa di Bossetti

    Gli avvocati di Bossetti, Claudio Salvagni e Paolo Camporini, pur accettando la decisione del giudice, hanno ribadito che la destinazione dei reperti a un luogo non refrigerato rimane un fatto concreto, anche se non c’è stata frode processuale. “L’archiviazione esclude il dolo, ma conferma quanto accaduto,” hanno dichiarato i legali, lasciando intendere che il caso potrebbe ancora avere sviluppi.

    Secondo la difesa, la posizione del pm Ruggeri non influirebbe su un’eventuale richiesta di revisione della sentenza di condanna, che Bossetti potrebbe avanzare in futuro. Una strada che gli avvocati non escludono di percorrere, nella speranza di ottenere nuovi esami sui reperti.

    Il caso Yara e la battaglia legale

    Il caso Yara Gambirasio, con la sua drammaticità e complessità, continua a suscitare attenzione e dibattito. L’omicidio della giovane ginnasta ha segnato profondamente l’opinione pubblica italiana e il lungo processo a carico di Massimo Bossetti, conclusosi con la condanna all’ergastolo, è stato caratterizzato da numerose polemiche e controversie.

    Nonostante la definitiva sentenza di colpevolezza, il muratore bergamasco e la sua difesa non hanno mai smesso di lottare per una revisione del processo, contestando la gestione dei reperti e la metodologia delle analisi genetiche. La recente archiviazione del procedimento contro la pm Ruggeri rappresenta un ulteriore capitolo di questa intricata vicenda giudiziaria.

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      Cronaca Nera

      Per Sgarbi nuovi guai giudiziari: la Camera dice sì al processo per gli insulti a Casalino in tv

      Via libera della Giunta della Camera alla richiesta della Corte d’Appello di Roma contro Vittorio Sgarbi per diffamazione. Al centro c’è l’insulto rivolto a Rocco Casalino in tv nel 2020. Nel 2023 l’ex sottosegretario era già stato condannato a una multa e al risarcimento in sede civile.

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        Per Vittorio Sgarbi i guai giudiziari continuano a riaccendersi a distanza di anni. La Giunta per le Autorizzazioni a procedere della Camera ha votato all’unanimità a favore della richiesta arrivata dalla Corte d’Appello di Roma per il procedimento che lo vede accusato di diffamazione ai danni di Rocco Casalino. Una vicenda che nasce in televisione, passa per le aule giudiziarie e ora torna al centro dell’attenzione politica.

        La frase del 30 gennaio 2020 in diretta tv

        Il caso risale al 30 gennaio 2020, durante una puntata di Stasera Italia su Rete4. Nel corso di un acceso intervento contro alcune figure del governo Conte dell’epoca, Sgarbi attacca anche l’allora portavoce del premier. L’espressione usata fa scattare immediatamente l’accusa di diffamazione. Da quel momento la vicenda giudiziaria prende avvio, trasformando uno scontro televisivo in un procedimento penale vero e proprio.

        La condanna del 2023 tra multa e risarcimento

        Tre anni dopo, nel 2023, arriva una prima sentenza. Sgarbi viene condannato al pagamento di una multa da mille euro, più altri 3mila euro per le spese processuali, oltre al risarcimento in sede civile nei confronti di Casalino. Una cifra che, all’epoca, veniva stimata intorno ai 50mila euro. La vicenda, però, non si chiude lì.

        Il voto della Giunta e l’immunità che cade

        Solo ora la Giunta della Camera è intervenuta formalmente, dando il via libera alla richiesta di autorizzazione a procedere avanzata dalla Corte d’Appello di Roma. All’epoca dei fatti Sgarbi ricopriva il ruolo di sottosegretario ed era anche da poco stato eletto sindaco di Arpino. Proprio per questo passaggio procedurale era necessario il pronunciamento della Giunta, che è arrivato senza divisioni politiche, con un voto unanime.

        La linea difensiva e il processo

        Nel corso delle udienze, Sgarbi ha provato a difendersi sostenendo che l’espressione utilizzata fosse da intendere come sinonimo di “omosessuale”, respingendone l’accezione offensiva. Una tesi che, giudiziariamente, non ha convinto e che ha portato comunque alla condanna già arrivata nel 2023. Ora il nuovo via libera della Camera riporta la vicenda sul binario del procedimento penale, aggiungendo un altro capitolo a una storia che sembrava archiviata.

        Tra un precedente giudiziario, una Giunta che si esprime all’unanimità e un caso che torna ciclicamente a far parlare, la partita tra Sgarbi e Casalino resta ancora aperta sul fronte giudiziario. E ancora una volta è una frase detta in tv a continuare a produrre strascichi a distanza di anni.

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          Cronaca Nera

          Antonella Clerici si smarca dai talk sul caso Garlasco: “Non ce la farei a parlarne sempre”, la conduttrice rompe il silenzio

          Antonella Clerici interviene sul modo in cui il caso Garlasco viene trattato dalla tv italiana. «Io non ce la farei a parlare sempre della stessa cosa», afferma, lanciando un messaggio chiaro ai talk show che continuano a dedicare intere puntate al delitto. Un commento che riapre il dibattito sui limiti del racconto mediatico della cronaca nera.

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            Quando Antonella Clerici decide di entrare in un dibattito pubblico, lo fa con la schiettezza che la contraddistingue. Questa volta il tema è il caso Garlasco, tornato al centro dell’informazione televisiva con una frequenza quasi quotidiana. E la conduttrice, con la sua sincerità disarmante, ha preso posizione: «Io non ce la farei a parlare sempre della stessa cosa». Una frase che fotografa un malessere diffuso.

            Il peso della cronaca nei palinsesti
            La televisione italiana ha sempre avuto un rapporto complesso con la cronaca nera, ma il caso Garlasco ha superato ogni soglia di esposizione. Puntate speciali, approfondimenti, dibattiti infiniti: un’attenzione martellante che, secondo molti spettatori, rischia di trasformare il dolore in intrattenimento. La posizione di Clerici intercetta questa sensibilità e la amplifica.

            Una voce fuori dal coro
            Abituata a gestire programmi legati alla cucina, all’intrattenimento e alla quotidianità, Antonella rappresenta l’altra faccia della tv: quella che preferisce raccontare la vita, non dissezionare ossessivamente un delitto. La sua presa di distanza non è una critica diretta alle colleghe e ai colleghi dei talk, ma una riflessione personale su un linguaggio televisivo che sente distante.

            La reazione del pubblico
            Il suo commento è stato accolto con un misto di sollievo e approvazione. Molti spettatori si riconoscono nella fatica emotiva di seguire l’ennesima puntata identica alla precedente. Altri sottolineano come la tv abbia il potere di scegliere cosa raccontare e con quale equilibrio. In mezzo, il solito dibattito social che trasforma ogni frase in un caso.

            Una discussione più ampia sulla tv di oggi
            L’intervento della Clerici apre un varco su una questione più grande: cosa vuole davvero il pubblico? E soprattutto, cosa dovrebbe offrire la tv generalista nel 2025? La risposta, forse, è nella misura. E nelle parole di una conduttrice che non ha bisogno di forzare la mano per far passare un messaggio semplice e potentissimo.

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              Cronaca Nera

              Caso Garlasco, la perita smonta le certezze sul DNA: “Dati non affidabili”, compatibilità con Sempio ma con fortissime criticità scientifiche

              Nella relazione di 93 pagine la perita mette in fila limiti metodologici, contaminazioni, assenza di un database locale e profili genetici troppo degradati per conclusioni nette. Restano solo due compatibilità “moderate”, mentre sugli altri reperti sono presenti solo DNA di Chiara e Stasi.

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                La perizia sul DNA sotto le unghie di Chiara Poggi, attesa per mesi, non chiude il cerchio. Al contrario, apre un fronte di incertezze che la stessa esperta, Denise Albani, mette nero su bianco: le tracce genetiche estratte nel 2014 dall’allora perito De Stefano “non sono consolidate né affidabili dal punto di vista scientifico”.
                Materiale parziale, misto, degradato e mai sottoposto a verifica successiva. Su questo, la genetista non lascia margini di interpretazione. E tuttavia, applicando modelli biostatistici, arriva a una compatibilità della linea maschile di Andrea Sempio con due tracce rinvenute su due dita della vittima: un “supporto da moderatamente forte a forte” per una, “moderato” per l’altra.
                Ma la stessa Albani avverte: non è possibile rispondere a domande fondamentali come “come, quando e perché” quel materiale genetico sia stato depositato. Un limite che, in un processo, pesa come un macigno.

                Analisi biostatistiche tra limiti e assenze nei database

                La relazione spiega perché le valutazioni statistiche non possano essere considerate definitive: manca un database della popolazione locale, condizione ideale per stimare la frequenza reale di un dato profilo genetico.
                Per questo, la perita ha dovuto utilizzare gruppi molto più ampi: la metapopolazione europea e quella mondiale. Scelte obbligate, ma che possono produrre risultati “sottostimati” e comunque non riferibili con precisione al contesto di Garlasco.
                Non stupisce che sia la difesa di Sempio sia i consulenti della famiglia Poggi continuino a parlare di dati “non scientifici” e “non utilizzabili” in sede processuale. La battaglia tra esperti è solo all’inizio.

                Sugli altri reperti resta solo il DNA di Chiara e Stasi

                L’incidente probatorio conferma inoltre che sugli altri reperti non emergono elementi nuovi. Le sessanta impronte rinvenute nella villetta non restituiscono profili utili, e sugli oggetti recuperati in pattumiera compaiono esclusivamente il DNA di Chiara e quello di Stasi.
                Sul tappetino del bagno, ancora una volta, solo materiale genetico della studentessa e del padre. Nessuna traccia collegabile ad Andrea Sempio. Persino l’“ignoto 3”, per un periodo considerato possibile svolta, si rivela frutto di contaminazione autoptica.

                Un risultato che non chiude nulla

                La perita ricorda che gli aplotipi analizzati non sono identificativi e non permettono attribuzioni personali. La compatibilità con Sempio riguarda l’intera linea patrilineare: tutti i parenti maschi condividono quel profilo.
                Alla domanda decisiva — basterà questo per incriminarlo? — oggi la risposta è no. Non con questi dati, non con queste criticità, non con tracce così fragili.
                L’inchiesta prosegue, ma la scienza, per ora, non indica una verità univoca.

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