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Cronaca Nera

Dal frate alla food blogger: che fine hanno fatto i ragazzi di Garlasco, 18 anni dopo il delitto di Chiara Poggi

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    Diciotto anni fa erano ventenni con l’estate addosso. Adolescenti di provincia, cresciuti tra le scuole e le partite a calcetto nella bassa lomellina. Oggi sono uomini e donne adulti, ciascuno con una vita diversa, più o meno lontana da Garlasco e da quella villetta in via Pascoli. Ma il tempo, nella cronaca, non basta a cancellare. Con le nuove indagini riaperte dalla procura di Pavia sul delitto di Chiara Poggi, è tornata a emergere la rete degli amici di allora: volti noti e meno noti, rimasti nel cono d’ombra di una tragedia mai dimenticata.

    Marco Poggi, l’ingegnere silenzioso

    Il fratello della vittima, Marco Poggi, oggi vive a Mestre, lontano da Garlasco e da quel dolore che ha segnato per sempre la sua giovinezza. Dopo la laurea in ingegneria, ha scelto l’anonimato. Non ha mai rilasciato dichiarazioni, nemmeno dopo la condanna di Alberto Stasi nel 2015. Le nuove ombre sull’inchiesta, però, lo hanno riportato sotto i riflettori. Per lui il passato non è mai passato.

    Andrea Sempio, da “amico di famiglia” a indagato

    Andrea Sempio, grande amico di Marco e vicino di casa della famiglia Poggi, è oggi al centro della cosiddetta “pista alternativa”. Vive a Voghera, in una casa di corte, e lavora in un negozio di telefonia a Montebello della Battaglia. Il suo nome riemerse nel 2016, quando un consulente nominato dalla difesa di Stasi trovò nel computer di Chiara una ricerca con il suo nome. Oggi è difeso dall’avvocata Angela Taccia, che da ragazza faceva parte della stessa comitiva.

    Angela Taccia, l’amica diventata avvocata

    Classe 1988, ex fidanzata di Alessandro Biasibetti, Angela Taccia è oggi protagonista dell’inchiesta: è la legale di Sempio. Un cortocircuito narrativo quasi cinematografico. La ragazza del gruppo, diventata avvocata a Milano, si ritrova a difendere un amico d’infanzia proprio nel caso che ha stravolto la vita di tutta la comitiva.

    Alessandro Biasibetti, da oratorio a ordine domenicano

    Tra i più religiosi del gruppo, Alessandro Biasibetti era noto per il suo impegno in parrocchia. Oggi è Fra Alessandro, diacono domenicano ordinato a dicembre dello scorso anno. Ha studiato a Pavia e poi a Roma. È rientrato nel caso per via dell’incidente probatorio disposto dalla Procura: anche il suo DNA sarà analizzato, come quello di molti amici dell’epoca.

    Roberto Freddi e Mattia Capra, il consulente e il carrozziere

    Roberto Freddi lavora oggi come consulente aziendale, mentre Mattia Capra fa il carrozziere, proprio come nel 2007. Entrambi sono stati coinvolti nelle nuove analisi biologiche ordinate dagli inquirenti. Persone normali, vite normali. Ma ancora inchiodate a una pagina di cronaca che non smette di far rumore.

    Marco Panzarasa, il miglior amico di Stasi

    All’epoca dei fatti era il miglior amico di Alberto Stasi, oggi è un avvocato affermato a Pavia. Anche il suo DNA sarà prelevato nell’ambito dell’incidente probatorio. Mai stato coinvolto direttamente nell’inchiesta, oggi si trova a fare i conti con un passato che torna a bussare con insistenza.

    Le gemelle Cappa, tra fotografia e jet set

    Paola e Stefania Cappa erano note nei giorni del delitto per quel famoso fotomontaggio davanti alla villetta, diventato simbolo delle “piste alternative” cavalcate dagli innocentisti. Oggi Paola è fotografa e food blogger, si divide tra l’Italia e Ibiza. Stefania, invece, è avvocata dal 2012, lavora nello studio legale del padre a Brera e ha sposato Emanuele Arioldi, campione di equitazione e rampollo della famiglia Rizzoli.

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      Cronaca Nera

      Omicidio Tramontano, la difesa in appello: “Non fu crudele, voleva solo uccidere il feto”

      Secondo l’avvocata Geradini, l’ex barman non avrebbe agito con premeditazione né con crudeltà: “Voleva solo fermare la gravidanza, il delitto fu maldestro e non pianificato”. Ma per la Corte d’assise di Milano aveva pianificato ogni dettaglio.

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        Un omicidio efferato, un femminicidio che ha sconvolto il Paese, un uomo condannato all’ergastolo che oggi cerca di riscrivere i contorni della sua colpa. Mercoledì si riapre a Milano il caso di Giulia Tramontano, la giovane di 29 anni uccisa il 27 maggio 2023 dal compagno Alessandro Impagnatiello, mentre era incinta al settimo mese. Davanti alla Corte d’assise d’appello, la difesa del trentaduenne cerca ora di scardinare le due aggravanti più pesanti della condanna di primo grado: la premeditazione e la crudeltà.

        Per l’avvocata Giulia Geradini, Impagnatiello non sarebbe stato un lucido assassino, ma un uomo in crisi, travolto dal crollo del castello di bugie che aveva costruito intorno a sé. Nessuna pianificazione fredda, nessun piano studiato nei dettagli: solo, secondo la tesi difensiva, un gesto improvviso, nato nel momento in cui le sue menzogne – la doppia vita, la relazione parallela, la gravidanza scomoda – erano giunte al capolinea. “Il delitto – argomenta la legale – fu commesso quando si verificò uno smascheramento irreparabile”.

        A detta della difesa, il comportamento di Impagnatiello dopo l’omicidio dimostrerebbe proprio l’assenza di lucidità: “Ha commesso errori grossolani, maldestri, nel tentativo di nascondere il cadavere e simulare una scomparsa”. Un comportamento che, secondo Geradini, non si concilia con quello di un assassino che ha pianificato ogni passo. E per quanto riguarda la crudeltà? “Giulia non si è resa conto di ciò che stava accadendo. Non ha avuto tempo di difendersi: sul corpo non ci sono segni di reazione. È morta all’istante”.

        La difesa porta in aula una narrazione alternativa: Impagnatiello non voleva uccidere Giulia, ma solo fermare la gravidanza. “Voleva solo uccidere il feto”, ha dichiarato la legale, puntando sulla convinzione dell’imputato di vedere quel bambino come un ostacolo alla propria carriera, alla vita con l’altra donna, al futuro che immaginava per sé. Una motivazione che la Corte d’assise, però, aveva già rigettato con forza, sostenendo che Giulia era perfettamente consapevole di stare morendo insieme a suo figlio.

        Nel processo di primo grado, la sentenza era stata netta: delitto premeditato, preceduto da mesi di somministrazione di veleno (un topicida) da parte di Impagnatiello nel tentativo di indurre un aborto. Un piano lucido, secondo i giudici, che culminò nell’omicidio brutale. Alla famiglia Tramontano era stata riconosciuta una provvisionale di 700mila euro, e all’imputato erano stati inflitti anche tre mesi di isolamento diurno.

        Ora, in appello, si riapre il fronte delle attenuanti generiche. La difesa chiede che vengano riconosciute in base al “contesto personologico” emerso dalla perizia psichiatrica: tratti narcisistici e psicopatici, ma piena capacità di intendere e volere. E invoca le fragilità mostrate da Impagnatiello durante l’interrogatorio: “Ha pianto, ha vacillato. Ha confessato. Non è un mostro, è un uomo devastato”.

        Ma la domanda che aleggia nell’aula è un’altra: si può davvero separare un omicidio dalla sua atrocità solo perché chi lo ha compiuto non è stato abbastanza bravo a nasconderlo? La risposta spetta ora ai giudici d’appello.

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          Cronaca Nera

          David Rossi, nuovi dubbi sulla caduta: “Ferite al polso incompatibili con l’impatto, orologio già rimosso”

          Il presidente Vinci: “Il suo orologio si era già staccato prima dell’impatto. Quei tagli sul polso non sono compatibili con la caduta”. Il Ris prepara una simulazione con manichino e oggetti identici. La vedova: “È una boccata d’ossigeno”.

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            La ferita sul polso, due tagli evidenti, il sangue. E un orologio che si è staccato dal braccio di David Rossi prima che il corpo toccasse terra. A undici anni dalla tragica morte del manager del Monte dei Paschi di Siena, precipitato dalla finestra del suo ufficio il 6 marzo 2013, emergono nuovi, inquietanti elementi. È quanto rivelano i lavori della Commissione parlamentare d’inchiesta guidata da Gianluca Vinci, che nelle ultime ore ha reso pubblici i risultati di una nuova analisi video condotta con software di ultima generazione. Il dettaglio che riapre i dubbi è proprio quello dell’orologio: al momento dell’impatto, Rossi non lo indossava più.

            “Si vede chiaramente – ha spiegato Vinci – la cassa dell’orologio che, dopo l’urto del corpo, viene proiettata verso il muro alle spalle, e si distingue il cinturino, già staccato, cadere vicino a una delle scarpe di Rossi. Due elementi distinti, già separati al momento della caduta”. Un’anomalia, secondo il presidente della Commissione, che apre a nuove domande: “Come può un orologio sganciarsi prima di un impatto così violento? E soprattutto: da cosa derivano quelle ferite sul polso, se non dall’urto con il suolo?”.

            La scena è quella già nota: una caduta silenziosa, pochi secondi nel cortile interno di Rocca Salimbeni, sede storica della banca senese. Ma stavolta, i dettagli fanno la differenza. Il Ris di Roma, guidato dal tenente colonnello Adolfo Gregori, ha analizzato ogni frame di quel video sfocato. E ha cristallizzato sette istanti precisi, in cui l’orologio si divide, la posizione del corpo si altera, e si individuano movimenti inspiegabili. “L’analisi è solo all’inizio – chiarisce Vinci – ma abbiamo deciso di procedere con una simulazione fisica della caduta, utilizzando un manichino e un orologio identico a quello indossato da Rossi. Solo così potremo capire cosa è accaduto davvero”.

            I familiari di Rossi, da sempre convinti che non si sia trattato di un suicidio, accolgono le parole della Commissione con un misto di speranza e sollievo. Antonella Tognazzi, la vedova, ha commentato con voce spezzata: “È una boccata d’ossigeno. Questo è quello che abbiamo sempre detto e per anni siamo stati screditati, derisi, lasciati soli. Ora mi sembra che qualcosa si muova davvero. Speriamo che nessuno fermi questo percorso”.

            Un percorso che ha visto negli anni troppe ombre, troppe omissioni, troppi silenzi. Dall’orario della morte alle tracce biologiche nella stanza, dalle telefonate mai chiarite al contenuto delle mail. Ora spunta anche un orologio spezzato, come se il tempo si fosse davvero interrotto prima di quella caduta. E con esso, l’intera narrazione su cui per anni si è retto il caso.

            La Commissione ha annunciato che proseguirà con nuove audizioni e ulteriori accertamenti tecnici. Ma quel dettaglio – un orologio che vola via prima del corpo – pesa come un macigno su undici anni di domande senza risposta.

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              Garlasco, audio inedito scuote il caso Poggi: “Muschitta minacciato per ritrattare”

              Il dialogo tra l’ex maresciallo Marchetto e il capo di Muschitta riapre le domande sulla ritrattazione dell’operaio che aveva indicato la gemella di Chiara. Ignorate intercettazioni con il padre in cui ribadiva: “Ho detto la verità”.

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                Un audio inedito del 2022 potrebbe riscrivere uno dei capitoli più controversi del caso Garlasco, il delitto di Chiara Poggi avvenuto il 13 agosto 2007. A registrarlo è il quotidiano Il Tempo, che pubblica una conversazione tra l’ex maresciallo dei carabinieri Francesco Marchetto e Alfredo Sportiello, all’epoca responsabile dell’Asm di Vigevano, dove lavorava Marco Muschitta. L’operaio era stato indicato come uno dei testimoni chiave nelle prime fasi dell’inchiesta, ma la sua successiva ritrattazione lo aveva reso, agli occhi della giustizia, “del tutto inattendibile”.

                Eppure oggi emergono nuovi elementi. Nell’audio, Sportiello afferma: “L’hanno minacciato, è sicuro… e magari gli hanno anche dato dei soldi per stare zitto”. Parole che sembrano dare una spiegazione alla clamorosa marcia indietro di Muschitta, il quale inizialmente aveva dichiarato di aver visto una ragazza bionda in bicicletta, con in mano un oggetto simile a un alare da camino, uscire dalla villetta di via Pascoli. Una descrizione compatibile, secondo lui, con Stefania Cappa, la gemella di Chiara.

                Quelle dichiarazioni, rese in oltre quattro ore ai carabinieri, furono poi completamente ritrattate. Muschitta arrivò a dichiarare di essersi “inventato tutto”. Ma ora il sospetto è che la ritrattazione non sia stata spontanea. Non solo: intercettazioni tra Muschitta e suo padre, finora ritenute irrilevanti, rivelano un’altra verità. “Tu hai detto quello che sapevi?”, chiede il padre. “Certo, io ho detto quello che ho visto”, risponde lui.

                Secondo Il Tempo, le schede di lavoro dell’Asm confermerebbero che Muschitta fosse davvero sul luogo indicato quel giorno. Ma invece di essere approfondita, la sua testimonianza fu screditata. L’audio pubblicato oggi rilancia una domanda rimasta sospesa per anni: chi e perché avrebbe voluto farlo tacere?

                Il caso Garlasco, che ha visto la condanna definitiva di Alberto Stasi, potrebbe non essere ancora chiuso.

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