Cronaca Nera
David Rossi, nuovi dubbi sulla caduta: “Ferite al polso incompatibili con l’impatto, orologio già rimosso”
Il presidente Vinci: “Il suo orologio si era già staccato prima dell’impatto. Quei tagli sul polso non sono compatibili con la caduta”. Il Ris prepara una simulazione con manichino e oggetti identici. La vedova: “È una boccata d’ossigeno”.

La ferita sul polso, due tagli evidenti, il sangue. E un orologio che si è staccato dal braccio di David Rossi prima che il corpo toccasse terra. A undici anni dalla tragica morte del manager del Monte dei Paschi di Siena, precipitato dalla finestra del suo ufficio il 6 marzo 2013, emergono nuovi, inquietanti elementi. È quanto rivelano i lavori della Commissione parlamentare d’inchiesta guidata da Gianluca Vinci, che nelle ultime ore ha reso pubblici i risultati di una nuova analisi video condotta con software di ultima generazione. Il dettaglio che riapre i dubbi è proprio quello dell’orologio: al momento dell’impatto, Rossi non lo indossava più.
“Si vede chiaramente – ha spiegato Vinci – la cassa dell’orologio che, dopo l’urto del corpo, viene proiettata verso il muro alle spalle, e si distingue il cinturino, già staccato, cadere vicino a una delle scarpe di Rossi. Due elementi distinti, già separati al momento della caduta”. Un’anomalia, secondo il presidente della Commissione, che apre a nuove domande: “Come può un orologio sganciarsi prima di un impatto così violento? E soprattutto: da cosa derivano quelle ferite sul polso, se non dall’urto con il suolo?”.
La scena è quella già nota: una caduta silenziosa, pochi secondi nel cortile interno di Rocca Salimbeni, sede storica della banca senese. Ma stavolta, i dettagli fanno la differenza. Il Ris di Roma, guidato dal tenente colonnello Adolfo Gregori, ha analizzato ogni frame di quel video sfocato. E ha cristallizzato sette istanti precisi, in cui l’orologio si divide, la posizione del corpo si altera, e si individuano movimenti inspiegabili. “L’analisi è solo all’inizio – chiarisce Vinci – ma abbiamo deciso di procedere con una simulazione fisica della caduta, utilizzando un manichino e un orologio identico a quello indossato da Rossi. Solo così potremo capire cosa è accaduto davvero”.
I familiari di Rossi, da sempre convinti che non si sia trattato di un suicidio, accolgono le parole della Commissione con un misto di speranza e sollievo. Antonella Tognazzi, la vedova, ha commentato con voce spezzata: “È una boccata d’ossigeno. Questo è quello che abbiamo sempre detto e per anni siamo stati screditati, derisi, lasciati soli. Ora mi sembra che qualcosa si muova davvero. Speriamo che nessuno fermi questo percorso”.
Un percorso che ha visto negli anni troppe ombre, troppe omissioni, troppi silenzi. Dall’orario della morte alle tracce biologiche nella stanza, dalle telefonate mai chiarite al contenuto delle mail. Ora spunta anche un orologio spezzato, come se il tempo si fosse davvero interrotto prima di quella caduta. E con esso, l’intera narrazione su cui per anni si è retto il caso.
La Commissione ha annunciato che proseguirà con nuove audizioni e ulteriori accertamenti tecnici. Ma quel dettaglio – un orologio che vola via prima del corpo – pesa come un macigno su undici anni di domande senza risposta.
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Cronaca Nera
La trappola del falso Matteo Bocelli: anziana pronta a versare migliaia di euro, salvata dalla direttrice delle Poste
Una pensionata, convinta di dover fare un bonifico a Matteo Bocelli, stava per consegnare i suoi risparmi a un gruppo di truffatori che le avevano fatto credere di ricevere un regalo dal figlio del celebre cantante. A bloccare l’operazione è stata la direttrice dell’ufficio postale, che ha preso tempo fingendo un guasto e ha avvisato i carabinieri.

Una pensionata, convinta di dover fare un bonifico a Matteo Bocelli, stava per consegnare i suoi risparmi a un gruppo di truffatori che le avevano fatto credere di ricevere un regalo dal figlio del celebre cantante. A bloccare l’operazione è stata la direttrice dell’ufficio postale, che ha preso tempo fingendo un guasto e ha avvisato i carabinieri.
Testo
«Devo fare un bonifico a Matteo, il figlio di Andrea Bocelli». Con questa frase una donna anziana si è presentata allo sportello dell’ufficio postale di Negrar di Valpolicella, in provincia di Verona, convinta di star facendo un favore al giovane tenore e pronta a versare migliaia di euro. In realtà si trattava dell’ennesima truffa orchestrata da criminali che usano nomi celebri per raggirare persone fragili.
La pensionata, come racconta il Corriere della Sera, aveva ricevuto sul cellulare un messaggio con la promessa di un regalo da parte della famiglia Bocelli. Poco dopo, un presunto autista le aveva chiesto di versare denaro su un conto per il recapito del pacco. La donna non aveva dubbi sulla veridicità della richiesta e, senza esitazione, si era recata alle Poste.
A salvarla è stata l’intuizione della direttrice, Cristina Remondini. «La cliente chiedeva di effettuare un versamento in denaro e quando ho letto la causale mi sono subito insospettita», ha raccontato. Per guadagnare tempo e far ragionare la donna, la funzionaria ha finto un problema tecnico al terminale. Nel frattempo, ha contattato i carabinieri e avvisato il marito della signora.
Quando l’uomo è arrivato in ufficio, la truffa è emersa in tutta la sua chiarezza. I due coniugi si sono poi recati in caserma per sporgere denuncia, mentre l’audio e i messaggi ricevuti sono stati acquisiti dagli inquirenti.
Il meccanismo era semplice e subdolo: fingere di essere un personaggio noto, in questo caso Matteo Bocelli, e convincere la vittima a versare denaro in cambio di un regalo inesistente. Una variante del cosiddetto “pacchetto truffa” che continua a mietere vittime soprattutto tra gli anziani.
Grazie alla prontezza della direttrice, questa volta i risparmi della donna sono stati salvati. Un intervento che conferma quanto la vigilanza quotidiana di chi lavora a contatto con il pubblico possa fare la differenza contro chi sfrutta ingenuità e buona fede.
Cronaca Nera
Caso Garlasco, indagato l’ex procuratore Mario Venditti: sospetti di corruzione per l’archiviazione di Sempio
Nel mirino un presunto pagamento occulto e alcune trascrizioni “alleggerite” dell’inchiesta sull’amico di Marco Poggi. Perquisizioni a Pavia, Genova e Campione d’Italia, ma anche a Garlasco. L’indagine potrebbe riaprire scenari rimasti in ombra per anni.

Un appunto, un nome e una cifra bastano a riaprire uno dei casi giudiziari più discussi d’Italia. “Venditti / gip archivia X 20-30 euro”: è la frase trovata dai carabinieri in un bloc notes sequestrato nella casa dei genitori di Giuseppe Sempio a Garlasco. Quelle parole, scritte nel 2016, hanno riacceso i riflettori sull’omicidio di Chiara Poggi e sull’operato dell’allora procuratore aggiunto di Pavia, Mario Venditti, oggi indagato dalla Procura di Brescia per corruzione in atti giudiziari.
Secondo l’ipotesi dei magistrati bresciani, Venditti avrebbe ricevuto denaro per favorire l’archiviazione dell’inchiesta a carico di Sempio, amico di Marco Poggi e indagato nel 2016 dopo le istanze dei legali di Alberto Stasi, il fidanzato di Chiara condannato in via definitiva. La nuova indagine, coordinata dal pm Claudia Moregola e dal procuratore Francesco Prete, ha portato a perquisizioni nelle abitazioni di Venditti, della famiglia Sempio e di due ex carabinieri della sezione di Polizia giudiziaria di Pavia, Silvio Sapone e Giuseppe Spoto.
Gli inquirenti sospettano che l’inchiesta del 2016 sia stata gestita con negligenza o, peggio, manipolata. Alcune intercettazioni e conversazioni ambientali, oggi riesaminate, mostrerebbero omissioni nelle trascrizioni ufficiali e riferimenti a “soldi”, “pagamenti” e “assegni” mai riportati integralmente nei verbali.
A rafforzare i dubbi ci sono anche i risultati degli accertamenti bancari condotti dal Gico della Guardia di finanza. Nei primi mesi del 2017 dai conti dei parenti di Sempio sarebbero partiti trasferimenti di denaro per oltre 30mila euro. Una parte – circa seimila euro – risulta destinata all’ex generale dei Ris Luciano Garofano, oggi consulente dell’indagato, ma senza incarichi formali nella precedente inchiesta. Il resto del denaro avrebbe seguito un percorso non ancora chiarito.
Per ora nessuna misura cautelare, ma l’ombra del sospetto è pesante. Quell’appunto, minuscolo e inquietante, riporta alla memoria le pagine più controverse del caso Garlasco, dove a quasi vent’anni dall’omicidio di Chiara Poggi la verità continua a sfuggire.
Cronaca Nera
Ciro Grillo condannato a 8 anni per stupro di gruppo: il tribunale di Tempio Pausania chiude il primo atto del processo
Dopo tre anni di udienze e scontri in aula, arriva il verdetto: colpevoli di violenza sessuale ai danni di una studentessa conosciuta in Costa Smeralda nell’estate 2019. L’iter giudiziario prosegue con l’appello e, se necessario, la Cassazione.

Il tribunale di Tempio Pausania ha emesso la sentenza che mette fine al primo capitolo di una vicenda giudiziaria che ha segnato il dibattito pubblico italiano. Ciro Grillo, figlio del fondatore del Movimento 5 Stelle, insieme a Edoardo Capitta e Vittorio Lauria, è stato condannato a otto anni di reclusione per violenza sessuale di gruppo. Per Francesco Corsiglia, quarto imputato, la pena stabilita è di sei anni e sei mesi.
Il processo, nato dalla denuncia di una studentessa allora diciannovenne, ha ricostruito quanto accaduto tra il 16 e il 17 luglio 2019: una serata iniziata al Billionaire, storico locale della Costa Smeralda, e conclusa la mattina successiva nella villa di Beppe Grillo a Porto Cervo. Secondo l’accusa, fu lì che la ragazza subì la violenza di gruppo.
Oggi, dopo oltre tre anni di dibattimento, il collegio giudicante ha confermato la tesi dei pubblici ministeri, condannando gli imputati a pene pesanti, seppur inferiori alle richieste iniziali. La giovane donna non era presente in aula al momento della lettura della sentenza. Assenti anche gli imputati, difesi fino all’ultimo da legali che hanno puntato sull’inattendibilità del racconto della vittima.
Nella lunga camera di consiglio, il tribunale ha respinto le tesi difensive che, nell’ultima udienza, avevano ribadito le presunte contraddizioni della ragazza. A parlare per ultimi erano stati Alessandro Vaccaro, avvocato di Lauria, Antonella Cuccureddu per Corsiglia e Mariano Mameli per Capitta.
La sentenza non comporta l’immediata detenzione: i quattro restano liberi fino a quando il verdetto non diventerà definitivo. Prima ci sarà l’appello, poi, con ogni probabilità, il giudizio della Cassazione. Solo allora eventuali condanne potranno tradursi in pene effettive.
Una vicenda che ha sollevato discussioni anche fuori dalle aule giudiziarie, soprattutto dopo le difese pubbliche di Beppe Grillo, finite spesso al centro di polemiche. Oggi, però, a parlare è solo il verdetto: per la giustizia, quella notte del 2019 fu stupro di gruppo.
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