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Cronaca Nera

Delitto di Garlasco: segreti, omissioni e verità sepolte. Il lato oscuro di una città che non trova pace

Dalle strane dinamiche al Santuario della Bozzola alle inquietanti morti inspiegabili, passando per indagini lacunose e dettagli ignorati sulla scena del crimine: cosa c’è dietro al caso Poggi oltre il nome di Alberto Stasi? Un viaggio nel lato nascosto della provincia pavese che ancora oggi non trova risposte definitive.

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    Garlasco è una piccola città della provincia pavese che, dal 13 agosto 2007, è diventata sinonimo di un incubo: l’omicidio di Chiara Poggi. Da quel giorno la cittadina vive imprigionata nell’eco di un delitto che ha stravolto la vita dei suoi abitanti e quella della famiglia Poggi. Eppure, a distanza di 17 anni, quella tragedia si porta ancora dietro una scia di inquietudini e domande senza risposte. Il caso, che ha portato alla condanna definitiva di Alberto Stasi a 16 anni di carcere, sembra non aver esaurito il proprio carico di misteri. Anzi, l’odierna riapertura delle indagini su Andrea Sempio – l’amico di famiglia finito nel mirino della difesa di Stasi e poi archiviato – ha riacceso riflettori e sospetti su un contesto spesso ignorato.

    Garlasco è il nome di un luogo che, come Cogne o Erba, evoca dolore. Eppure, dietro la narrazione mediatica che ha scolpito nel tempo la figura di Stasi come unico colpevole, ci sono storie sommerse che raccontano di un paese turbato da eventi oscuri.

    C’è il Santuario della Madonna della Bozzola, da sempre fulcro spirituale della zona, ma negli anni finito nell’ombra di uno scandalo. È il 2015 quando emerge che il rettore del Santuario è stato vittima di un’estorsione da parte di un cittadino romeno che lo avrebbe ricattato con presunte immagini compromettenti. La questione assume toni surreali: il prete decide di pagare, con l’intermediazione dell’allora sindaco e di un avvocato della zona, personaggi che curiosamente ricorrono anche in altre vicende legate al caso Poggi. Quell’avvocato, infatti, sarà proprio il legale scelto da Andrea Sempio durante l’indagine su di lui.

    Ma non è solo questo episodio a gettare ombre sulla comunità. Dietro al volto apparentemente tranquillo di Garlasco, si nascondono storie di disagio e tensioni che hanno trovato sfogo anche in episodi drammatici. Una serie di suicidi inspiegabili, tra cui quello di Giovanni Ferri, pensionato ultra ottantenne ritrovato con i polsi e la gola tagliati in un vicolo di via Mulino nel 2010, o quello di ragazzi poco più che ventenni legati alla comunità locale.

    E poi ci sono le strane connessioni che emergono solo tra le pieghe delle carte processuali: la telefonata anonima ricevuta da Sempio nel 2017 da un numero intestato a una donna che successivamente diventerà praticante nello studio del suo legale, la presenza di soggetti coinvolti in indagini per peculato e favoreggiamento della prostituzione, e un contesto sociale che sembra celare più di quanto emerga in superficie.

    E la scena del crimine? Anche lì le ombre non mancano. La sparizione di due teli da mare, la presenza inspiegata di una busta con mutande sporche mai analizzate, cassetti semiaperti senza che siano mai state rilevate impronte o tracce biologiche. Dettagli apparentemente minori, che però restano inspiegati. Così come resta una ferita aperta l’ipotesi che l’assassino potesse conoscere la casa meglio di quanto si sia sempre sostenuto: davvero Alberto Stasi, che frequentava raramente la villetta di via Pascoli e che non era mai stato troppo “di casa” nella famiglia Poggi, era l’unico in grado di muoversi con sicurezza tra le stanze di Chiara?

    Tutti interrogativi che si aggiungono al dato più recente: la riapertura del fascicolo su Andrea Sempio, che ora sembra più una revisione mascherata che una reale indagine su un secondo possibile colpevole. Ma Garlasco, purtroppo, è anche questo: un paese in cui i fantasmi del passato convivono con sospetti mai del tutto sopiti.

    Il processo contro Stasi ha prodotto 32 faldoni e decine di migliaia di pagine, ma forse la storia che ha trasformato Garlasco in un simbolo di mistero e dolore nazionale non è mai stata davvero raccontata fino in fondo. Perché ogni volta che si prova ad allontanarsi dal sentiero battuto, si scopre che – in questa vicenda – le domande superano di gran lunga le risposte.

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      Cronaca Nera

      La madre di Andrea Sempio rompe il silenzio: «Non ha ucciso Chiara Poggi, sta pagando un’accusa ingiusta»

      Dopo mesi di sospetti, microfoni e titoli urlati, la madre di Andrea Sempio racconta l’angoscia di una famiglia nell’occhio del ciclone. Dallo «scontrino del parcheggio» al peso dei giudizi mediatici, l’appello è uno solo: «Chiarite tutto, mio figlio non ha mai fatto del male a Chiara».

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        Stamattina, davanti al cancello di casa, Daniela Ferrari ha deciso di parlare. «Basta con le bugie in tv e sui giornali», ha detto affrontando le telecamere di Morning News. Lo ha fatto con la voce ferma di chi da 151 giorni vede la faccia del proprio figlio passare da un talk show all’altro come quella di un assassino annunciato. Eppure, giura, Andrea Sempio non ha ucciso Chiara Poggi.

        Il nuovo capitolo del giallo di Garlasco ha travolto ancora una volta la sua famiglia. Da quando la Procura ha riaperto l’inchiesta puntando i riflettori sul ragazzo, la vita nella villetta di provincia è diventata un inferno di chiamate, sguardi e sospetti. «Non ha ammazzato Chiara e lo ripeterò fino alla morte», ha detto la madre davanti ai microfoni, ripercorrendo punto per punto i tasselli di una vicenda che non sembra finire mai.

        Ferrari ha parlato dell’alibi di Andrea, legato a un dettaglio minuscolo ma diventato simbolico: uno scontrino del parcheggio di Vigevano. «Quel pezzo di carta l’ho conservato su consiglio delle detenute del carcere dove ho lavorato negli anni Ottanta», ha spiegato. «Mi dicevano: qualsiasi cosa succeda, tieni le prove. E così ho fatto». Secondo lei, quello scontrino dimostra che Andrea era altrove, lontano dalla casa dei Poggi.

        Poi ha ricordato l’interrogatorio che l’ha vista protagonista, quando ha scelto di avvalersi della facoltà di non rispondere. «Mi sentivo già male prima, avevo capogiri. Non sono mai svenuta, ma la pressione di quei momenti è stata devastante», ha raccontato. Intorno, il clima familiare è fatto di ansia costante e sospetti che corrono più veloci della giustizia.

        Daniela ripercorre con precisione la mattina del 13 agosto 2007. «Io ero in auto a Gambolò, mio marito a casa con Andrea. Quando sono tornata, lui è andato a Vigevano e poi dalla nonna. È rientrato con gli stessi vestiti, puliti, senza una macchia. Se fosse stato nella casa di Chiara, come dicono, come avrebbe fatto a non sporcarsi di sangue?»

        Il punto cruciale, per lei, resta uno: «Non esiste impronta che possa cambiare la verità. Mio figlio non è entrato in quella casa per uccidere Chiara». E aggiunge: «Credo che i Poggi sappiano che Andrea non c’entra nulla. Non aveva motivi, lei era solo la sorella di un suo amico».

        La madre non nasconde la paura di un processo che potrebbe trascinarsi per anni. «E se lo arrestassero? Sarebbe arrestato da innocente», sospira. «Noi stiamo vivendo nell’angoscia dalla mattina alla sera. La nostra salute si sta rovinando sul nulla».

        E c’è spazio anche per l’amarezza verso l’eco mediatica: «Gli imbecilli che pensano che sia colpevole ci saranno sempre. Si sta puntando a mio figlio per ripulire la faccia di qualcun altro», un riferimento chiaro, seppur mai nominato, ad Alberto Stasi, il primo imputato del caso.

        Il suo appello finale è un misto di speranza e stanchezza: «Spero che la Procura chiarisca tutto il prima possibile. Noi viviamo con la sensazione di essere già stati condannati senza processo».

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          Cronaca Nera

          Assalto in chiesa con pistola a salve: tentativo di rapina durante la funzione religiosa

          La pistola era finta, la paura no. A Sant’Anastasia, in provincia di Napoli, questa mattina si è vissuto un incubo tra i banchi della cappella del complesso delle suore domenicane: un uomo mascherato ha fatto irruzione durante la messa delle prime ore del giorno, armato e deciso a rapinare i presenti.

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            È successo ieri mattina tra le 7 e le 8, quando il silenzio della preghiera è stato interrotto da urla e terrore. L’uomo – il volto nascosto da un passamontagna, la mano stretta attorno a una pistola – ha fatto irruzione all’interno della cappella dove si stava celebrando la funzione religiosa. Senza dire una parola ha puntato l’arma addosso ai fedeli, ordinando loro di consegnare denaro e oggetti di valore. Qualcuno ha provato a calmare gli animi, qualcun altro si è immobilizzato, paralizzato dalla paura. Poi lo sparo. Secco, improvviso. Il colpo, si scoprirà poco dopo, era a salve. Ma in quel momento nessuno poteva saperlo.

            L’eco dello sparo ha scatenato il panico. Alcuni si sono buttati a terra, altri hanno urlato, le suore si sono strette in preghiera. Il rapinatore ha atteso qualche istante, forse per valutare la reazione, forse per convincersi che non ne valeva la pena. Poi, senza portare via nulla, ha fatto dietrofront ed è fuggito a piedi, scomparendo per le strade del paese prima che qualcuno potesse bloccarlo.

            Sull’episodio indagano ora i carabinieri, che hanno acquisito le immagini delle telecamere presenti nella zona. Al momento non risultano feriti, ma lo shock tra i presenti è profondo. “Sembrava una scena da film – ha raccontato una delle sorelle – ma era tutto vero. Non avevamo mai vissuto una cosa simile. Qui si viene per pregare, non per morire”.

            In attesa che l’uomo venga identificato e arrestato, resta una domanda amara: se persino la sacralità di una chiesa al mattino non basta più a fermare un’arma – vera o finta che sia – allora, davvero, non c’è più religione.

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              Garlasco, la nuova perizia della difesa Stasi: “Sull’impronta 33 c’è sangue, è di Sempio”

              Secondo la relazione firmata da Ghizzoni, Linarello e Ricci, la famosa impronta 33 sarebbe compatibile con il palmo di Andrea Sempio e conterrebbe tracce di sudore misto a sangue. Una ricostruzione che riaccende lo scontro con i periti della famiglia Poggi e con quelli dello stesso Sempio, e che potrebbe cambiare gli equilibri dell’indagine.

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                Torna al centro del caso Garlasco l’impronta numero 33, la stessa che secondo i consulenti della Procura sarebbe compatibile con il palmo di Andrea Sempio. Ma la novità, ora, è un’ulteriore perizia depositata dalla difesa di Alberto Stasi che rilancia: quella traccia sarebbe intrisa di sangue misto a sudore.

                È quanto sostengono Oscar Ghizzoni, Pasquale Linarello e Ugo Ricci, i consulenti nominati dagli avvocati Giada Bocellari e Antonio De Rensis, legali di Stasi. Nella loro relazione, la 33 viene definita un’impronta “frutto di un contatto palmare intenso”, ovvero esercitato con forza sul muro durante un movimento anomalo, “non compatibile con una semplice discesa delle scale”. A rafforzare la tesi, ci sarebbero “accumuli più scuri” e un alone compatibile con materiale biologico.

                Non potendo più analizzare l’intonaco originale (asportato e trattato nel 2007 dal Ris), i tre esperti hanno ricreato in laboratorio le condizioni dell’epoca. Hanno spalmato sangue e sudore su muri simili, trattandoli con gli stessi reagenti: ninidrina, Combur e Obti test. Secondo i consulenti, la ninidrina avrebbe “inibito ogni reazione positiva”, mascherando la presenza del sangue. Ma i risultati fotografici sarebbero compatibili con quanto visto sul muro della villetta Poggi.

                Conclusione: quell’impronta, per la difesa Stasi, sarebbe di Andrea Sempio, e sarebbe stata lasciata con una mano non pulita. Un risultato opposto a quello raggiunto dai consulenti della famiglia Poggi, che parlavano di “appoggio veloce” e nessuna traccia ematica, e da quelli dello stesso Sempio, che riducono la validità dell’impronta a sole cinque minuzie.

                L’avvocata Angela Taccia, che difende Sempio insieme a Massimo Lovati, replica serena: “È solo una consulenza di parte. Nulla è stato accertato. Restiamo fiduciosi”.

                Ma la battaglia sulla 33 è tutt’altro che finita. Anche se il gip ha escluso la traccia dall’incidente probatorio, gli inquirenti hanno ora sul tavolo un nuovo elemento. E quella macchia sul muro potrebbe ancora dire molto.

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