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Cronaca Nera

ESCLUSIVO: Le foto inedite del killer

La consulenza psichiatrica sulla personalità di Alessandro Impagnatiello, accusato dell’omicidio della compagna incinta Giulia Tramontano, rivela disturbi narcisistici, ossessivi e paranoidei. Impagnatiello avrebbe percepito Giulia come una nemica che minava la sua vita, godendo del controllo su due relazioni parallele. La difesa potrebbe richiedere una perizia psichiatrica basandosi su queste valutazioni.

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    La consulenza di parte depositata al processo dalla difesa di Alessandro Impagnatiello, accusato e reo confesso dell’omicidio della compagna incinta Giulia Tramontano, evidenzia che il 31enne soffrirebbe di disturbi «narcisistici, ossessivi, paranoidei». Secondo quanto riportato da Corriere della Sera e Repubblica, lo psichiatra Raniero Rossetti ha dichiarato che l’ex barman avrebbe percepito la donna come una «nemica che aveva minato e poi distrutto la sua quotidianità». Impagnatiello non avrebbe visto lucidamente Giulia come madre di suo figlio e compagna di vita.

    La doppia vita di Impagnatiello

    Il consulente descrive un uomo narcisista che, ammirandosi allo specchio, si diceva: “Guarda come sono bravo a gestire due donne, senza che loro sappiano l’una dell’altra… Sono proprio bravo”. Impagnatiello lavorava all’Armani Café di via Montenapoleone, un ambiente in cui si sentiva a suo agio tra «calciatori, personaggi televisivi» e «veline», fattori che avrebbero gonfiato il suo ego in maniera spropositata. Secondo la consulenza, avrebbe provato «godimento» e «orgasmo narcisistico» dal sentirsi desiderato da una donna più giovane di Giulia e dall’essere in grado di gestire le due relazioni in segreto.

    Il crollo del mondo di Impagnatiello

    Il documento parla di un «odio distruttivo». Impagnatiello, descritto come «narciso patologico, manipolatore e astuto controllore di due esistenze femminili», è stato smascherato e ha visto crollare il suo mondo. Questo crollo ha portato alla «percezione patologica della figura di Giulia», che è stata vista come la nemica che aveva rovinato la sua esistenza pomposa e gonfiata dal lavoro, dalla relazione con l’altra donna e dal godimento narcisistico della doppia vita.

    Fragilità e manipolazione

    Il consulente psichiatrico spiega che Impagnatiello, passato da un ruolo di maschio onnipotente a maschio fragile, si è trovato in balia delle due donne e delle loro rivelazioni, che hanno scoperto le sue bugie e manipolazioni. Questo disturbo della personalità ha portato a percepire Giulia come la nemica che aveva distrutto la sua vita.

    La sequenza video del killer e della sua vittima alla festa per il piccolo Thiago

    Ritratto psicologico di Alessandro Impagnatiello: narciso, manipolatore e bugiardo

    Alessandro Impagnatiello, il 30enne attualmente in carcere con l’accusa di aver ucciso Giulia Tramontano, incinta di sette mesi, emerge dai racconti di amici e conoscenti come un uomo profondamente narcisista, manipolatore e bugiardo. Nonostante l’immagine di uomo “distrutto e stravolto” che lui e i suoi familiari, ancora sotto choc, cercano di proiettare, le efferatezze e la premeditazione dell’omicidio rivelano una realtà ben diversa.

    Il manipolatore

    Dai racconti di chi lo conosce bene, il ritratto che emerge di Alessandro Impagnatiello, barman all’Armani Bamboo, un esclusivo rooftop nel centro di Milano, è quello di un manipolatore abile nel creare un’immagine falsa di sé stesso. Gli amici lo descrivono come uno che si vantava di frequentare persone importanti, atteggiamento che molti percepivano come quello di un “sbruffone”. Cresciuto a Senago, i suoi amici erano per lo più a Paderno Dugnano, dove si muoveva inizialmente con uno scooter malandato, per poi acquistare un SUV di lusso, alimentando ulteriormente la sua immagine di successo.

    Il narciso

    Alessandro Impagnatiello è descritto dagli amici come un narcisista. “Era considerato uno dei più belli della compagnia”, afferma il padre di un amico. La sua bellezza e il suo carisma gli permettevano di mantenere il controllo sulle persone intorno a lui, ma nessuno avrebbe mai pensato che fosse capace di un delitto così atroce. La sua abilità nel manipolare le percezioni degli altri è stata evidente anche nella sua vita sentimentale.

    Le foto di Giulia Tramontano

    La vita di bugie

    La vicenda di Alessandro Impagnatiello è costellata di bugie e inganni. Ha mantenuto relazioni parallele con tre donne: Giulia, l’amante e l’ex compagna, madre di suo figlio di sei anni. Durante il culmine della crisi, con il corpo di Giulia probabilmente ancora nella sua casa, ha chiamato l’ex compagna chiedendo di vedere il bambino, dimostrando un totale disprezzo per la gravità della situazione. La sua ex compagna, comprensibilmente sconvolta, ha rifiutato la richiesta.

    L’incredulità degli amici

    Gli amici di Alessandro sono rimasti scioccati dalle sue azioni. Fino all’ultimo momento, lui è riuscito a mantenere la facciata di uomo preoccupato per la scomparsa di Giulia, tanto da ricevere il sostegno e la consolazione dei suoi amici. “Era sconfortato per la sparizione di Giulia”, ha detto il padre di un amico. Nessuno avrebbe mai immaginato che dietro quella “faccia d’angelo” si nascondesse un assassino.

    Il killer Alessandro Impagniatiello

    Le donne raggirate

    L’amante inglese di Alessandro, collega di lavoro, ha scoperto le sue menzogne solo dopo aver incontrato Giulia. La ragazza inglese, insospettita dal comportamento strano di Giulia nei messaggi, ha capito che qualcosa non andava. Quando Alessandro si è presentato sotto casa sua in piena notte, lei ha avuto la forza di respingerlo. Ha raccontato ai carabinieri di Senago di aver capito che Alessandro le aveva mentito e che Giulia era stata vittima delle stesse bugie.

    La tragica fine

    Alessandro Impagnatiello ha usato il cellulare di Giulia per inviare messaggi destinati a tranquillizzare chi era preoccupato per la sua scomparsa, mentre lei era già morta. Ha persino cercato di fabbricare un falso test del DNA per dimostrare che il bambino di Giulia non era suo. Questi atti di inganno e crudeltà rivelano un uomo privo di empatia, capace di azioni fredde e calcolate.

      Cronaca Nera

      Bossetti è colpevole oltre ogni ragionevole dubbio. Parola all’accusa!

      Il caso Yara Gambirasio, oltre ogni ragionevole dubbio torna a far discutere: il documentario su Netflix solleva dubbi sulla condanna di Massimo Bossetti, con un focus sul DNA e altre prove.

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        Il caso di Yara Gambirasio è di nuovo sotto i riflettori grazie al documentario in cinque puntate trasmesso su Netflix. Intitolato “Oltre ogni ragionevole dubbio”, il lavoro ricostruisce l’indagine con l’obiettivo di mettere in dubbio la solidità degli elementi che hanno portato alla condanna all’ergastolo per omicidio di Massimo Bossetti.

        Il DNA e il figlio illegittimo

        Yara, 13 anni, sparisce dopo essere stata in palestra il 26 novembre 2010. Il suo cadavere viene ritrovato il 26 febbraio 2011. Sugli slip e altri indumenti della ragazza vengono ritrovate tracce di DNA classificato come “Ignoto 1”. La raccolta di campioni di DNA a tappeto tra gli abitanti della zona porta a identificare un componente della famiglia Guerinoni, grazie al test su Damiano Guerinoni che risulta solo parzialmente compatibile.

        Si scopre che “Ignoto 1” è figlio illegittimo di Giuseppe Benedetto Guerinoni, il cui DNA combacia perfettamente con quello trovato sui resti di Yara. La madre di questo figlio illegittimo viene identificata in Ester Arzuffi, e i suoi due figli vengono sottoposti a test. Il 15 giugno 2014, il DNA di Massimo Bossetti, prelevato con un controllo casuale, risulta essere quello di “Ignoto 1”.

        Le altre prove e l’alibi falso

        La prova del DNA è solo un tassello nel puzzle delle accuse contro Bossetti. Egli è muratore, e le celle del suo cellulare erano nella zona della palestra di Yara la sera della sua scomparsa. Inoltre, Bossetti ha fornito un alibi falso, affermando inizialmente di essere stato a casa quella sera, per poi ammettere di aver mentito.

        La versione della madre e l’inseminazione artificiale

        Il documentario Netflix mostra la rabbia di Bossetti nei confronti della madre, Ester Arzuffi, per avergli nascosto la verità sulle sue origini. Arzuffi ha affermato che il suo ginecologo le praticò inseminazioni artificiali a sua insaputa, una versione ritenuta incredibile dagli investigatori.

        L’assenza di movente

        Uno degli argomenti del documentario a favore di Bossetti è l’assenza di un chiaro movente. Yara morì di stenti dopo essere stata abbandonata in un campo, suggerendo un caso di adescamento degenerato piuttosto che un omicidio premeditato.

        Gli altri sospettati

        Il documentario afferma che non si è indagato abbastanza su altre persone, come il custode della palestra Valter Brembilla e l’insegnante di ginnastica Silvia Brena. Tuttavia, i movimenti di tutte le persone vicine a Yara sono stati verificati, e il DNA di Brena sul giubbotto di Yara è spiegabile dato il loro frequente contatto.

        Il furgone e la privacy

        Le riprese del furgone di Bossetti vicino alla palestra sono state contestate, ma alla fine lo stesso Bossetti ha ammesso di essere passato di lì. Il documentario critica anche l’invasione della privacy di Bossetti e della sua famiglia, ma tali indagini sono necessarie in casi di omicidio a sfondo sessuale. Nel computer di Bossetti sono state trovate numerose ricerche inquietanti riguardanti ragazzine.

        Gli errori nell’indagine

        È vero che durante l’indagine sono stati commessi errori, come il coinvolgimento ingiusto di Mohammed Fikri, ma questo dimostra la complessità del caso e la mancanza di tesi predefinite da parte degli investigatori.

        Il caso Yara rimane uno dei più discussi nella cronaca italiana, e il documentario di Netflix riaccende il dibattito sulla colpevolezza di Massimo Bossetti, sollevando dubbi e interrogativi che continuano a dividere l’opinione pubblica.

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          Cronaca Nera

          Alla faccia dell’errore giudiziario. Storia di Sandra: 43 anni in carcere da innocente

          Dopo 43 anni di prigione per un omicidio che non aveva commesso, Sandra Hemme, 64 anni, è stata finalmente dichiarata innocente e liberata. Il caso della donna incarcerata ingiustamente per più tempo negli Stati Uniti.

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            “Vittima di un’ingiustizia”. Con queste parole il giudice Ryan Horsman ha dichiarato innocente la 64enne Sandra Hemme, scarcerata dalla prigione di Chillicothe, in Missouri, dopo aver scontato 43 anni dell’ergastolo a cui era stata condannata per un omicidio che non aveva commesso, quello della bibliotecaria Patricia Jeschke, uccisa nel 1980 a St. Joseph, nel Missouri. A supporto della sua innocenza, rivela la CNN, le prove presentate dall’avvocato della donna, Sean O’Brien, prove che secondo il giudice hanno dimostrato l’estraneità della donna all’omicidio e quindi la sua innocenza. Nonostante questo, per mesi il procuratore generale repubblicano Andrew Bailey si è opposto alla scarcerazione di Hemme.

            Più volte il procuratore generale ha presentato istanze in tribunale cercando di tenere in prigione la donna per scontare condanne per aggressioni avvenute in carcere nei decenni passati. Ma il giudice Horsman il 14 giugno scorso ha stabilito che “la totalità delle prove supporta l’accertamento dell’effettiva innocenza” di Hemme rispetto alla condanna per omicidio. L’8 luglio una Corte d’appello statale ha stabilito che la donna dovesse essere liberata e il 9 luglio Horsman ha stabilito che Hemme dovesse essere rilasciata per tornare a casa con sua sorella.

            Sandra Hemme: un incubo lungo 43 anni

            Secondo il suo team legale dell’Innocence Project, Hemme è stata la donna incarcerata ingiustamente da più tempo negli Stati Uniti. Un’incredibile ingiustizia, durata quattro decenni, che finalmente ha trovato un epilogo positivo.

            La storia di Sandra Hemme è quella di una battaglia lunga e dolorosa. Incarcerata all’età di 21 anni, la sua vita è stata segnata dalla privazione della libertà, dagli errori giudiziari e dall’incessante lotta per dimostrare la propria innocenza. Le nuove prove presentate dal suo avvocato, Sean O’Brien, hanno finalmente convinto la corte della sua estraneità al delitto, portando alla sua liberazione.

            Il percorso di liberazione

            Nonostante la chiarezza delle nuove prove, la strada verso la libertà non è stata facile per Hemme. Il procuratore generale Andrew Bailey ha cercato in ogni modo di mantenere la donna in prigione, presentando istanze per condanne legate ad aggressioni avvenute durante la detenzione. Tuttavia, il giudice Ryan Horsman ha respinto queste richieste, sottolineando che la totalità delle prove dimostrava l’innocenza di Hemme riguardo all’omicidio per cui era stata condannata.

            Una nuova vita

            Ora, Sandra Hemme può finalmente tornare a casa, iniziando un nuovo capitolo della sua vita accanto alla sorella. La sua storia rappresenta un potente monito sull’importanza di una giustizia equa e accurata, e una testimonianza della resilienza umana di fronte alle avversità.

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              La Milano di Igor il Russo, l’ultimo serial killer d’Europa

              Le carte investigative svelano i dettagli sui luoghi milanesi frequentati da Norbert Feher, alias Igor il Russo, prima della sua cattura. Tra bar, hotel e incontri con escort, emerge un quadro inedito della sua vita nella capitale lombarda.

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                Sette anni dopo la cattura di Norbert Feher, le carte investigative rivelano un ritratto inedito dei suoi movimenti a Milano. Feher, responsabile di cinque omicidi tra Italia e Spagna, frequentava luoghi come il bar “Cin cin” in corso Buenos Aires e il locale “Il Gladiatore” per fumare il narghilè. Testimonianze dirette raccontano di incontri con marocchini nei pressi di Benedetto Marcello e frequentazioni di discoteche egiziane a Cologno Monzese.

                Tra escort e narcotraffico

                Feher non era solo un frequentatore di locali notturni. Le carte investigative rivelano che aveva rapporti con prostitute marocchine e usava bar e tavolini all’aperto in piazza Argentina e tra piazzale Loreto e viale Monza per incontrarsi con loro. Una di queste donne ricorda come Feher fosse un cliente tranquillo, anche se spesso cercava di ottenere camere d’hotel a basso costo tramite contatti.

                La doppia vita di Igor

                Non solo svago e incontri con escort, ma anche traffici illeciti. Feher aveva legami con bande nordafricane e fungeva da corriere di droga tra Gibilterra, Valencia e Barcellona. A Milano, aveva appuntamenti con marocchini nelle zone di San Siro e viale Certosa, dove frequentava bar di arabi per fumare il narghilè. Nonostante le sue origini serbe, i suoi contatti con l’area balcanica erano limitati.

                Un criminale camaleontico

                Prima di essere catturato in Spagna, Feher aveva vissuto un’infanzia e adolescenza turbolente in Serbia, durante la guerra civile. Da giovane aveva commesso crimini gravi e dopo essere evaso dal carcere, attraversò il confine sloveno arrivando in Italia. Qui, tra Milano e l’Emilia Romagna, iniziò la sua carriera criminale culminata in una serie di omicidi che lo resero uno dei serial killer più ricercati d’Europa.

                Un profilo complesso

                Il nome “Igor il Russo” deriva da false dichiarazioni di Feher stesso, che sosteneva di aver militato nelle forze speciali russe. In realtà, era un assassino che uccideva per il puro piacere di farlo. In carcere, mostrava comportamenti ossessivi, come leggere compulsivamente la Bibbia e allenarsi duramente, con il sogno di tornare a uccidere una volta libero.

                Norbert Feher è oggi all’ergastolo nella prigione di Huelva, ma le sue storie di violenza e fuga restano impresse nelle cronache criminali italiane e spagnole, con dettagli che continuano a emergere, dipingendo il ritratto di un uomo complesso e pericoloso.

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