Cronaca Nera
Il killer, il film fantasma e il ministero che stacca assegni a occhi chiusi
Con l’identità di un regista inventato e una casa di produzione inesistente, ha ottenuto 863.595 euro di tax credit dal Ministero della Cultura. Il progetto non è mai partito. Ma i soldi sono spariti. E nessuno ha mai controllato.

Il titolo l’aveva scelto bene: Stelle della notte. Suonava misterioso, prometteva noir. Ma non è mai diventato un film. Perché Rexal Ford, il regista, non esiste. Dietro quel nome si nasconde Francis Kaufmann, cittadino americano, 46 anni, oggi in carcere in Grecia, accusato di aver ucciso la compagna Anastasia Trofimova e la figlia Andromeda. I corpi sono stati ritrovati a Villa Pamphili, in un orrore che da giorni domina le cronache. Ma c’è un’altra storia, parallela, ancora più assurda: nel 2020, l’Italia ha finanziato Kaufmann con 863mila euro. Soldi pubblici. Per un film mai esistito.
La scoperta è di Open. Un’indagine tra i documenti del Ministero della Cultura ha svelato il decreto 2872 del 27 novembre 2020. Firma: Nicola Borrelli, allora direttore generale cinema. Ministro: Dario Franceschini. Governo: Conte bis. Beneficiario: Tintagel Films Llc, casa di produzione con sede fittizia a Malta. Dietro, ovviamente, c’era sempre lui: Kaufmann, alias Ford, che ha presentato un progetto dettagliato con tanto di passaporto americano – falso – oggi agli atti dell’inchiesta.
Ma da solo non ce l’avrebbe fatta. Il tassello italiano è fondamentale: la società Coevolutions, con sede a Roma, ha formalmente presentato la domanda. A guidarla Marco Perotti, co-produttore vero. Così la truffa è diventata credibile: produzione internazionale, set a Roma, budget realistico, burocrazia impeccabile. Mancava solo il film.
Il ministero ha approvato. Nessun controllo reale. Il tax credit è stato poi ceduto a una banca, che ha dato via libera. I soldi sono stati erogati. Ma il progetto, ovviamente, mai partito. Perché la legge, all’epoca, non imponeva di dimostrare l’avvenuta realizzazione. Bastava la carta.
Oggi, a danno compiuto, il Ministero annuncia verifiche e possibile revoca. Ma resta la domanda: com’è stato possibile che nessuno si accorgesse di nulla? Quando l’arte diventa pretesto e la cultura un alibi, forse serve più di una scusa.
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Cronaca Nera
La trappola del falso Matteo Bocelli: anziana pronta a versare migliaia di euro, salvata dalla direttrice delle Poste
Una pensionata, convinta di dover fare un bonifico a Matteo Bocelli, stava per consegnare i suoi risparmi a un gruppo di truffatori che le avevano fatto credere di ricevere un regalo dal figlio del celebre cantante. A bloccare l’operazione è stata la direttrice dell’ufficio postale, che ha preso tempo fingendo un guasto e ha avvisato i carabinieri.

Una pensionata, convinta di dover fare un bonifico a Matteo Bocelli, stava per consegnare i suoi risparmi a un gruppo di truffatori che le avevano fatto credere di ricevere un regalo dal figlio del celebre cantante. A bloccare l’operazione è stata la direttrice dell’ufficio postale, che ha preso tempo fingendo un guasto e ha avvisato i carabinieri.
Testo
«Devo fare un bonifico a Matteo, il figlio di Andrea Bocelli». Con questa frase una donna anziana si è presentata allo sportello dell’ufficio postale di Negrar di Valpolicella, in provincia di Verona, convinta di star facendo un favore al giovane tenore e pronta a versare migliaia di euro. In realtà si trattava dell’ennesima truffa orchestrata da criminali che usano nomi celebri per raggirare persone fragili.
La pensionata, come racconta il Corriere della Sera, aveva ricevuto sul cellulare un messaggio con la promessa di un regalo da parte della famiglia Bocelli. Poco dopo, un presunto autista le aveva chiesto di versare denaro su un conto per il recapito del pacco. La donna non aveva dubbi sulla veridicità della richiesta e, senza esitazione, si era recata alle Poste.
A salvarla è stata l’intuizione della direttrice, Cristina Remondini. «La cliente chiedeva di effettuare un versamento in denaro e quando ho letto la causale mi sono subito insospettita», ha raccontato. Per guadagnare tempo e far ragionare la donna, la funzionaria ha finto un problema tecnico al terminale. Nel frattempo, ha contattato i carabinieri e avvisato il marito della signora.
Quando l’uomo è arrivato in ufficio, la truffa è emersa in tutta la sua chiarezza. I due coniugi si sono poi recati in caserma per sporgere denuncia, mentre l’audio e i messaggi ricevuti sono stati acquisiti dagli inquirenti.
Il meccanismo era semplice e subdolo: fingere di essere un personaggio noto, in questo caso Matteo Bocelli, e convincere la vittima a versare denaro in cambio di un regalo inesistente. Una variante del cosiddetto “pacchetto truffa” che continua a mietere vittime soprattutto tra gli anziani.
Grazie alla prontezza della direttrice, questa volta i risparmi della donna sono stati salvati. Un intervento che conferma quanto la vigilanza quotidiana di chi lavora a contatto con il pubblico possa fare la differenza contro chi sfrutta ingenuità e buona fede.
Cronaca Nera
Caso Garlasco, indagato l’ex procuratore Mario Venditti: sospetti di corruzione per l’archiviazione di Sempio
Nel mirino un presunto pagamento occulto e alcune trascrizioni “alleggerite” dell’inchiesta sull’amico di Marco Poggi. Perquisizioni a Pavia, Genova e Campione d’Italia, ma anche a Garlasco. L’indagine potrebbe riaprire scenari rimasti in ombra per anni.

Un appunto, un nome e una cifra bastano a riaprire uno dei casi giudiziari più discussi d’Italia. “Venditti / gip archivia X 20-30 euro”: è la frase trovata dai carabinieri in un bloc notes sequestrato nella casa dei genitori di Giuseppe Sempio a Garlasco. Quelle parole, scritte nel 2016, hanno riacceso i riflettori sull’omicidio di Chiara Poggi e sull’operato dell’allora procuratore aggiunto di Pavia, Mario Venditti, oggi indagato dalla Procura di Brescia per corruzione in atti giudiziari.
Secondo l’ipotesi dei magistrati bresciani, Venditti avrebbe ricevuto denaro per favorire l’archiviazione dell’inchiesta a carico di Sempio, amico di Marco Poggi e indagato nel 2016 dopo le istanze dei legali di Alberto Stasi, il fidanzato di Chiara condannato in via definitiva. La nuova indagine, coordinata dal pm Claudia Moregola e dal procuratore Francesco Prete, ha portato a perquisizioni nelle abitazioni di Venditti, della famiglia Sempio e di due ex carabinieri della sezione di Polizia giudiziaria di Pavia, Silvio Sapone e Giuseppe Spoto.
Gli inquirenti sospettano che l’inchiesta del 2016 sia stata gestita con negligenza o, peggio, manipolata. Alcune intercettazioni e conversazioni ambientali, oggi riesaminate, mostrerebbero omissioni nelle trascrizioni ufficiali e riferimenti a “soldi”, “pagamenti” e “assegni” mai riportati integralmente nei verbali.
A rafforzare i dubbi ci sono anche i risultati degli accertamenti bancari condotti dal Gico della Guardia di finanza. Nei primi mesi del 2017 dai conti dei parenti di Sempio sarebbero partiti trasferimenti di denaro per oltre 30mila euro. Una parte – circa seimila euro – risulta destinata all’ex generale dei Ris Luciano Garofano, oggi consulente dell’indagato, ma senza incarichi formali nella precedente inchiesta. Il resto del denaro avrebbe seguito un percorso non ancora chiarito.
Per ora nessuna misura cautelare, ma l’ombra del sospetto è pesante. Quell’appunto, minuscolo e inquietante, riporta alla memoria le pagine più controverse del caso Garlasco, dove a quasi vent’anni dall’omicidio di Chiara Poggi la verità continua a sfuggire.
Cronaca Nera
Ciro Grillo condannato a 8 anni per stupro di gruppo: il tribunale di Tempio Pausania chiude il primo atto del processo
Dopo tre anni di udienze e scontri in aula, arriva il verdetto: colpevoli di violenza sessuale ai danni di una studentessa conosciuta in Costa Smeralda nell’estate 2019. L’iter giudiziario prosegue con l’appello e, se necessario, la Cassazione.

Il tribunale di Tempio Pausania ha emesso la sentenza che mette fine al primo capitolo di una vicenda giudiziaria che ha segnato il dibattito pubblico italiano. Ciro Grillo, figlio del fondatore del Movimento 5 Stelle, insieme a Edoardo Capitta e Vittorio Lauria, è stato condannato a otto anni di reclusione per violenza sessuale di gruppo. Per Francesco Corsiglia, quarto imputato, la pena stabilita è di sei anni e sei mesi.
Il processo, nato dalla denuncia di una studentessa allora diciannovenne, ha ricostruito quanto accaduto tra il 16 e il 17 luglio 2019: una serata iniziata al Billionaire, storico locale della Costa Smeralda, e conclusa la mattina successiva nella villa di Beppe Grillo a Porto Cervo. Secondo l’accusa, fu lì che la ragazza subì la violenza di gruppo.
Oggi, dopo oltre tre anni di dibattimento, il collegio giudicante ha confermato la tesi dei pubblici ministeri, condannando gli imputati a pene pesanti, seppur inferiori alle richieste iniziali. La giovane donna non era presente in aula al momento della lettura della sentenza. Assenti anche gli imputati, difesi fino all’ultimo da legali che hanno puntato sull’inattendibilità del racconto della vittima.
Nella lunga camera di consiglio, il tribunale ha respinto le tesi difensive che, nell’ultima udienza, avevano ribadito le presunte contraddizioni della ragazza. A parlare per ultimi erano stati Alessandro Vaccaro, avvocato di Lauria, Antonella Cuccureddu per Corsiglia e Mariano Mameli per Capitta.
La sentenza non comporta l’immediata detenzione: i quattro restano liberi fino a quando il verdetto non diventerà definitivo. Prima ci sarà l’appello, poi, con ogni probabilità, il giudizio della Cassazione. Solo allora eventuali condanne potranno tradursi in pene effettive.
Una vicenda che ha sollevato discussioni anche fuori dalle aule giudiziarie, soprattutto dopo le difese pubbliche di Beppe Grillo, finite spesso al centro di polemiche. Oggi, però, a parlare è solo il verdetto: per la giustizia, quella notte del 2019 fu stupro di gruppo.
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