Cronaca Nera
Strasburgo chiude la porta a Sabrina e Cosima: confermati gli ergastoli per l’omicidio di Sarah Scazzi
Strasburgo conferma l’ergastolo per Sabrina Misseri e Cosima Serrano. La Corte Europea per i diritti dell’uomo (CEDU) ha dichiarato inammissibile il ricorso presentato dai legali delle due donne, entrambe condannate per l’omicidio della quindicenne Sarah Scazzi, avvenuto il 26 agosto 2010 ad Avetrana, in provincia di Taranto.
Il ricorso, depositato nell’aprile 2018, è stato analizzato per oltre sei anni prima di essere rigettato. La decisione definitiva, comunicata oggi, conferma le condanne già emesse nei vari gradi di giudizio in Italia, consolidando una verità giudiziaria che ha diviso l’opinione pubblica. La notizia è stata resa nota in esclusiva durante l’ultima puntata del programma televisivo “Quarto Grado”, come riportato dal giornalista Giammarco Menga.
Una storia giudiziaria complessa
Sabrina Misseri e Cosima Serrano, rispettivamente cugina e zia di Sarah, si sono sempre proclamate innocenti, sostenendo di non avere alcun coinvolgimento nella morte della ragazza. Tuttavia, la giustizia italiana le ha ritenute responsabili dell’omicidio, avvenuto nella villetta di via Deledda ad Avetrana, ricostruendo una dinamica che le vedeva implicate in un feroce crimine familiare.
Diversa, invece, la posizione di Michele Misseri, marito di Cosima e zio della vittima. L’uomo si è dichiarato unico colpevole, confessando l’omicidio e l’occultamento del corpo in un pozzo. Le sue dichiarazioni, però, sono state giudicate inattendibili dai tribunali, portando alla sua condanna per soppressione di cadavere e inquinamento delle prove, reati per i quali ha scontato una pena di 8 anni. Scarcerato lo scorso febbraio, Misseri è tornato a vivere nella villetta che fu teatro dell’omicidio.
La chiusura del caso a livello europeo
La pronuncia della CEDU rappresenta l’epilogo di una lunga battaglia legale. I giudici di Strasburgo hanno ritenuto infondati i motivi addotti dai legali di Sabrina e Cosima, che lamentavano presunte violazioni dei diritti umani durante il processo italiano. Con questa decisione, l’ergastolo per le due donne diventa definitivo e non più contestabile a livello internazionale.
La vicenda di Sarah Scazzi, segnata da intrighi familiari e colpi di scena, si chiude così con una verità giudiziaria che, per quanto confermata, lascia aperti interrogativi nell’opinione pubblica. Una storia che continua a suscitare riflessioni sul rapporto tra giustizia, verità e spettacolarizzazione mediatica.

Strasburgo conferma l’ergastolo per Sabrina Misseri e Cosima Serrano. La Corte Europea per i diritti dell’uomo (CEDU) ha dichiarato inammissibile il ricorso presentato dai legali delle due donne, entrambe condannate per l’omicidio della quindicenne Sarah Scazzi, avvenuto il 26 agosto 2010 ad Avetrana, in provincia di Taranto.
Il ricorso, depositato nell’aprile 2018, è stato analizzato per oltre sei anni prima di essere rigettato. La decisione definitiva, comunicata oggi, conferma le condanne già emesse nei vari gradi di giudizio in Italia, consolidando una verità giudiziaria che ha diviso l’opinione pubblica. La notizia è stata resa nota in esclusiva durante l’ultima puntata del programma televisivo “Quarto Grado”, come riportato dal giornalista Giammarco Menga.
Una storia giudiziaria complessa
Sabrina Misseri e Cosima Serrano, rispettivamente cugina e zia di Sarah, si sono sempre proclamate innocenti, sostenendo di non avere alcun coinvolgimento nella morte della ragazza. Tuttavia, la giustizia italiana le ha ritenute responsabili dell’omicidio, avvenuto nella villetta di via Deledda ad Avetrana, ricostruendo una dinamica che le vedeva implicate in un feroce crimine familiare.
Diversa, invece, la posizione di Michele Misseri, marito di Cosima e zio della vittima. L’uomo si è dichiarato unico colpevole, confessando l’omicidio e l’occultamento del corpo in un pozzo. Le sue dichiarazioni, però, sono state giudicate inattendibili dai tribunali, portando alla sua condanna per soppressione di cadavere e inquinamento delle prove, reati per i quali ha scontato una pena di 8 anni. Scarcerato lo scorso febbraio, Misseri è tornato a vivere nella villetta che fu teatro dell’omicidio.
La chiusura del caso a livello europeo
La pronuncia della CEDU rappresenta l’epilogo di una lunga battaglia legale. I giudici di Strasburgo hanno ritenuto infondati i motivi addotti dai legali di Sabrina e Cosima, che lamentavano presunte violazioni dei diritti umani durante il processo italiano. Con questa decisione, l’ergastolo per le due donne diventa definitivo e non più contestabile a livello internazionale.
La vicenda di Sarah Scazzi, segnata da intrighi familiari e colpi di scena, si chiude così con una verità giudiziaria che, per quanto confermata, lascia aperti interrogativi nell’opinione pubblica. Una storia che continua a suscitare riflessioni sul rapporto tra giustizia, verità e spettacolarizzazione mediatica.
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Cronaca Nera
Assalto in chiesa con pistola a salve: tentativo di rapina durante la funzione religiosa
La pistola era finta, la paura no. A Sant’Anastasia, in provincia di Napoli, questa mattina si è vissuto un incubo tra i banchi della cappella del complesso delle suore domenicane: un uomo mascherato ha fatto irruzione durante la messa delle prime ore del giorno, armato e deciso a rapinare i presenti.

È successo ieri mattina tra le 7 e le 8, quando il silenzio della preghiera è stato interrotto da urla e terrore. L’uomo – il volto nascosto da un passamontagna, la mano stretta attorno a una pistola – ha fatto irruzione all’interno della cappella dove si stava celebrando la funzione religiosa. Senza dire una parola ha puntato l’arma addosso ai fedeli, ordinando loro di consegnare denaro e oggetti di valore. Qualcuno ha provato a calmare gli animi, qualcun altro si è immobilizzato, paralizzato dalla paura. Poi lo sparo. Secco, improvviso. Il colpo, si scoprirà poco dopo, era a salve. Ma in quel momento nessuno poteva saperlo.
L’eco dello sparo ha scatenato il panico. Alcuni si sono buttati a terra, altri hanno urlato, le suore si sono strette in preghiera. Il rapinatore ha atteso qualche istante, forse per valutare la reazione, forse per convincersi che non ne valeva la pena. Poi, senza portare via nulla, ha fatto dietrofront ed è fuggito a piedi, scomparendo per le strade del paese prima che qualcuno potesse bloccarlo.
Sull’episodio indagano ora i carabinieri, che hanno acquisito le immagini delle telecamere presenti nella zona. Al momento non risultano feriti, ma lo shock tra i presenti è profondo. “Sembrava una scena da film – ha raccontato una delle sorelle – ma era tutto vero. Non avevamo mai vissuto una cosa simile. Qui si viene per pregare, non per morire”.
In attesa che l’uomo venga identificato e arrestato, resta una domanda amara: se persino la sacralità di una chiesa al mattino non basta più a fermare un’arma – vera o finta che sia – allora, davvero, non c’è più religione.
Cronaca Nera
Garlasco, la nuova perizia della difesa Stasi: “Sull’impronta 33 c’è sangue, è di Sempio”
Secondo la relazione firmata da Ghizzoni, Linarello e Ricci, la famosa impronta 33 sarebbe compatibile con il palmo di Andrea Sempio e conterrebbe tracce di sudore misto a sangue. Una ricostruzione che riaccende lo scontro con i periti della famiglia Poggi e con quelli dello stesso Sempio, e che potrebbe cambiare gli equilibri dell’indagine.

Torna al centro del caso Garlasco l’impronta numero 33, la stessa che secondo i consulenti della Procura sarebbe compatibile con il palmo di Andrea Sempio. Ma la novità, ora, è un’ulteriore perizia depositata dalla difesa di Alberto Stasi che rilancia: quella traccia sarebbe intrisa di sangue misto a sudore.
È quanto sostengono Oscar Ghizzoni, Pasquale Linarello e Ugo Ricci, i consulenti nominati dagli avvocati Giada Bocellari e Antonio De Rensis, legali di Stasi. Nella loro relazione, la 33 viene definita un’impronta “frutto di un contatto palmare intenso”, ovvero esercitato con forza sul muro durante un movimento anomalo, “non compatibile con una semplice discesa delle scale”. A rafforzare la tesi, ci sarebbero “accumuli più scuri” e un alone compatibile con materiale biologico.
Non potendo più analizzare l’intonaco originale (asportato e trattato nel 2007 dal Ris), i tre esperti hanno ricreato in laboratorio le condizioni dell’epoca. Hanno spalmato sangue e sudore su muri simili, trattandoli con gli stessi reagenti: ninidrina, Combur e Obti test. Secondo i consulenti, la ninidrina avrebbe “inibito ogni reazione positiva”, mascherando la presenza del sangue. Ma i risultati fotografici sarebbero compatibili con quanto visto sul muro della villetta Poggi.
Conclusione: quell’impronta, per la difesa Stasi, sarebbe di Andrea Sempio, e sarebbe stata lasciata con una mano non pulita. Un risultato opposto a quello raggiunto dai consulenti della famiglia Poggi, che parlavano di “appoggio veloce” e nessuna traccia ematica, e da quelli dello stesso Sempio, che riducono la validità dell’impronta a sole cinque minuzie.
L’avvocata Angela Taccia, che difende Sempio insieme a Massimo Lovati, replica serena: “È solo una consulenza di parte. Nulla è stato accertato. Restiamo fiduciosi”.
Ma la battaglia sulla 33 è tutt’altro che finita. Anche se il gip ha escluso la traccia dall’incidente probatorio, gli inquirenti hanno ora sul tavolo un nuovo elemento. E quella macchia sul muro potrebbe ancora dire molto.
Cronaca Nera
Allarme serial killer: a Montecatini spuntano nuove ossa. Quante donne ha ucciso Vasile Frumuzache?
Frammenti di ossa e indumenti femminili sono stati rinvenuti nei pressi del casolare di Vasile Frumuzache, in provincia di Pistoia. L’uomo ha ammesso l’omicidio di Denisa Maria Paun e Ana Maria Andrei, ma nega altre uccisioni. Gli inquirenti sospettano l’esistenza di una terza vittima e di un possibile complice. Intanto Frumuzache è stato trasferito in una struttura protetta dopo un’aggressione subita in carcere.

Potrebbe esserci una terza vittima. E forse anche un complice. È quanto ipotizzano gli investigatori che indagano su Vasile Frumuzache, 32 anni, noto come il “killer delle escort”, reo confesso di due omicidi: quelli di Denisa Maria Paun e Ana Maria Andrei, uccise tra Pistoia e Prato.
Ma i nuovi elementi trovati nei pressi della sua abitazione a Montecatini Terme potrebbero allargare ulteriormente il quadro. In un campo vicino al casolare in cui viveva l’uomo, sono stati scoperti frammenti di ossa umane e slip femminili. Gli esami del DNA hanno escluso che appartengano a Denisa o Ana Maria. Il che apre uno scenario inquietante: chi è la donna a cui appartenevano quei resti?
Le indagini, condotte parallelamente dalle procure di Pistoia e Prato, si avviano verso la conclusione ma restano molti punti oscuri. Frumuzache ha confessato il primo omicidio e poi, in un secondo interrogatorio, anche il secondo. Ma ha sempre negato di aver ucciso altre donne.
Gli inquirenti, tuttavia, non gli credono del tutto. Ritengono possibile che non abbia agito da solo e che qualcuno lo abbia aiutato a occultare i cadaveri. L’obiettivo è ora dare un nome ai resti ritrovati, mentre si verifica la compatibilità con denunce di scomparse recenti nel Centro Italia.
Dopo l’arresto, Frumuzache è stato rinchiuso nel carcere di Prato. Ma è rimasto lì poco: l’ex fidanzato di una delle due vittime lo ha aggredito in cella, gettandogli olio bollente sul volto. L’uomo ha riportato ustioni di primo e secondo grado. Per questo motivo è stato trasferito in una struttura protetta.
Attraverso il suo avvocato, Diego Capano, Frumuzache ha rinunciato al Riesame e resta in custodia cautelare. Ma il sospetto che il suo elenco di vittime non si fermi a due, non fa dormire sonni tranquilli agli inquirenti. E forse nemmeno a chi lo ha conosciuto davvero.
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