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Cronaca

Fumata nera, ancora nessun Papa: il Conclave prosegue tra attese, strategie e preghiere

Anche stamattina da San Pietro è uscita una nuova fumata nera: i cardinali restano riuniti nella Sistina alla ricerca del successore di Francesco. Prossima fumata attesa nel pomeriggio.

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    Niente da fare, ancora. Anche la seconda votazione del Conclave si è chiusa con una fumata nera dal comignolo della Cappella Sistina. Nessun candidato ha raggiunto, nemmeno stavolta, la maggioranza dei due terzi (almeno 86 voti su 128 cardinali elettori) richiesta per essere eletto Papa.

    La fumata ha confermato quello che molti vaticanisti avevano ipotizzato già dopo il primo scrutinio di ieri sera: i giochi sono ancora aperti, le cordate restano fluide, e il nome del nuovo Pontefice non è ancora maturato tra le mura del Conclave.

    Intanto, mentre Piazza San Pietro si riempie lentamente di pellegrini e turisti, il popolo cattolico resta col fiato sospeso. I pronostici continuano a oscillare tra alcuni nomi ricorrenti: il Segretario di Stato Pietro Parolin, il gesuita filippino Tagle, l’africano Ambongo e il conservatore Müller. Ma nel clima di assoluto riserbo imposto dal Conclave, ogni previsione è accompagnata dal beneficio del dubbio.

    Nel frattempo, i cardinali proseguono con il calendario rituale: due votazioni la mattina, due il pomeriggio. Se anche la prossima fumata — prevista intorno alle 18.30 — sarà nera, si continuerà domani, sempre con quattro voti al giorno.

    La sensazione, però, è che qualcosa si stia muovendo. I tempi non sono ancora maturi per un nome condiviso, ma le trattative proseguono — a colpi di schede, silenzi e sguardi — sotto gli affreschi michelangioleschi. In attesa che una nuova fumata, questa volta bianca, annunci al mondo che habemus Papam.

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      “Quanti voti servono per fare un Papa?” – Piccola guida (frizzante) alle maratone cardinalizie nella Cappella Sistina

      Mai una fumata bianca al primo colpo, ma spesso bastano poche votazioni per eleggere il nuovo Pontefice. Un viaggio leggero tra i conclavi più rapidi, quelli infiniti e quelli che hanno fatto la storia del Novecento e oltre.

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        Quante votazioni ci vogliono per eleggere un Papa? Spoiler: sempre più di una. Nemmeno lo Spirito Santo, dicono i più ironici tra i vaticanisti, riesce a farsi ascoltare al primo scrutinio. Però, sebbene la suspense sia garantita a ogni conclave, la verità è che spesso tutto si risolve in meno di una decina di votazioni. Certo, con qualche eccezione. E qualche storia da raccontare.

        Partiamo da Leone XIII, un tipo sveglio. Correva l’anno 1878, e dopo il lunghissimo regno di Pio IX, il suo conclave fu più sprint di una puntata di Don Matteo: tre votazioni e via, Papa fatto. D’altronde, serviva uno che sapesse gestire il post “fine del potere temporale”. Ci riuscì, e in più è passato alla storia per essere il primo Papa immortalato in video. Come dire: un pontificato social ante litteram.

        Pio X, invece, ci mise sette voti. Santo subito, ma al tempo non così scontato da scegliere. Anzi, ci fu persino un veto (pratica abolita subito dopo) che fece slittare tutto. Morale: anche i santi devono saper aspettare.

        Nel 1914, in pieno fermento pre-bellico, arrivò Benedetto XV: dieci votazioni, un Papa pacifista che chiese invano di fermare quella che definì “un’inutile strage”. Troppo avanti per i tempi, forse.

        Il vero maratoneta del conclave fu però Pio XI: nel 1922 servì quattordici scrutini per farlo uscire Papa. Una vera odissea cardinalizia, che produsse però un pontefice che fece la pace con lo Stato italiano (vedi alla voce Patti Lateranensi). Non male, considerato il via crucis iniziale.

        Ma se parliamo di velocità, nessuno batte Pio XII, alias Eugenio Pacelli: nel 1939 venne eletto alla terza votazione. Un blitz. C’era da affrontare il nazismo, il fascismo, una guerra mondiale in arrivo… meglio non perdere tempo.

        Giovanni XXIII, il Papa buono, quello del Concilio Vaticano II, uscì dalla Sistina all’undicesima. Una scelta che sembrava “di transizione” e si rivelò epocale.

        Poi arrivò Paolo VI, che completò il Concilio: sei votazioni, sufficiente tempo per mettersi d’accordo senza farsi troppi nemici.

        Nel 1978, l’anno dei tre Papi, ci fu Giovanni Paolo I, eletto con quattro votazioni e morto dopo soli 33 giorni. Un dolore per tutti, anche per i cardinali che si rimisero subito al lavoro. Dopo altri otto scrutini, uscì fumo bianco per Karol Wojtyla, il primo Papa polacco della storia. E anche uno dei più amati, lunghi e determinanti.

        Nel 2005, dopo la morte di Giovanni Paolo II, tutti gli occhi erano sulla Cappella Sistina. Ma Joseph Ratzinger non li fece attendere troppo: quattro votazioni, e il mondo aveva Papa Benedetto XVI.

        Ultimo ma non ultimo, Papa Francesco. Dopo il clamoroso colpo di scena delle dimissioni di Ratzinger (evento che nella Chiesa ha il sapore dell’asteroide), Jorge Mario Bergoglio fu eletto al quinto scrutinio. Non il favorito, ma quello che ha messo d’accordo tutti, alla fine.

        Morale della favola? Di solito bastano tra tre e otto votazioni per trovare la famosa “fumata bianca”. Ma a volte servono due giorni, altre una settimana. Dipende dal clima, dai nomi, dalle alleanze e, ovviamente, dalle preghiere.

        Intanto, fuori da San Pietro, si scrutano i camini e si scommette sulla durata del conclave. Perché se i cardinali votano, noi… fumiamo. Ma solo metaforicamente.

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          Il comignolo di San Pietro, simbolo di attesa e di verità

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            Nessuna fumata neanche per la terza votazione di oggi, con – per la verità – poca gente presente sul sagrato. Le porte della Cappella Sistina sono rimaste chiuse, e la piazza, ancora una volta, ha tenuto il fiato. In alto, come sempre, gli occhi si sono alzati verso un oggetto tanto semplice quanto evocativo: il comignolo. Quel cilindro metallico, innestato su una storia secolare, è diventato anche oggi il punto di riferimento di milioni di persone nel mondo. Tutti aspettano un segno. Non uno slogan, non un algoritmo, non una notifica push. Ma un segno vero: fumo bianco o fumo nero. Presenza o ulteriore attesa.

            Emblema antico

            Il comignolo non mente. È un oggetto concreto, costruito dall’uomo, sì, ma non soggetto alla confusione delle parole o alla volatilità delle informazioni digitali. Non può essere hackerato, non elabora modelli probabilistici, non risponde a prompt. Quando emette il suo fumo, è definitivo. Parla senza parlare. Ed è proprio in questo silenzio che risiede tutta la sua forza: comunica attraverso la realtà, non attraverso interpretazioni o illusioni.

            Fede, speranza e… verità

            In un’epoca dominata dall’intelligenza artificiale, che produce risposte sempre più brillanti ma spesso inconsistenti, in un tempo in cui l’accesso alle informazioni non è più garanzia di verità, ma solo di volume, quel tubo grigio sul tetto della Cappella Sistina ci ricorda cosa conta davvero. Non la velocità, non la brillantezza, non la performance. Ma la verità. Una verità che non può essere generata, ma solo cercata. E cercata con fede.

            La confusione nemica della ricerca interiore

            L’intelligenza artificiale è un prodigio della tecnica, certo… ma non sa pregare. È addestrata a convincere, non a credere. Può imitare la voce dell’uomo, ma non ne possiede l’anima. E quando, come accade ormai troppo spesso, viene impiegata per dire tutto e il contrario di tutto, per riempire il vuoto con parole e promesse, allora diventa pericolosa. Perché chi è confuso non cerca più. Si accontenta di ciò che gli viene servito. Ma il comignolo insegna il contrario: insegna ad attendere, ad ascoltare, a distinguere.

            Un’attesa non vana

            Finché non sale il fumo bianco, il mondo resta in sospensione. E questa sospensione non è inutile. È lo spazio della fede. È l’attimo sacro in cui si riconosce che la verità non si fabbrica: si riceve. Non si inventa: si scopre. Il prossimo Papa non sarà scelto da un algoritmo. Non sarà generato da una macchina. Sarà frutto di preghiera, di riflessione, di ascolto profondo dello Spirito. E quel comignolo, antico e umile, continuerà a essere il suo araldo. Perché c’è un solo vero compito che conta, nella Chiesa come nel mondo: cercare la verità. E viverla. Anche oggi non è stato eletto il Papa. Ma anche oggi abbiamo avuto una lezione, che ci insegna ad attendere il segno giusto. Non una notizia qualunque. Non una voce artificiale. Ma una chiamata autentica, che viene da Dio.

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              Tagle fa l’assist a Parolin (e si sfila): il Conclave è un Risiko in porpora

              Il cardinale filippino lascia il campo al collega italiano, ma nel frattempo David conquista l’Asia e il gioco delle alleanze riparte da zero.

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                Fumata nera anche stamattina. Niente Papa, almeno per ora. Ma in compenso a ogni giro di votazione si alza il livello di suspence e intrigo da serie TV vaticana. Le prime votazioni, si sa, servono per guardarsi in cagnesco, fare i conti, capire chi può scalare e chi è meglio che si ritiri in buon ordine. E proprio ieri, dicono i beninformati dell’Aldilà del Tevere, è successa una di quelle mosse da manuale di diplomazia clericale.

                Protagonista: Antonio Luis Tagle, cardinalone filippino, un tempo favoritissimo, oggi un po’ in retromarcia. Pare infatti che abbia deciso di mollare il sogno papale per sostenere Pietro Parolin, il nostro Segretario di Stato, con una valigetta piena di voti asiatici e qualche simpatia africana. Una specie di endorsement in formato Oriente Express. Perché? Forse per strategia, forse perché nel frattempo è salito alla ribalta un altro filippino, Pablo Virgilio David, vescovo scomodo e coraggioso, che nelle Filippine ha osato alzare la voce contro il regime Duterte. Uno con la schiena dritta e il profilo giusto per fare breccia nei cuori cardinalizi.

                Morale: Tagle si sfila con eleganza, Parolin incassa, e David prende quota. Ma il bello è che questa mossa potrebbe riscrivere l’intera geografia del Conclave. Perché se l’Asia vira su David, e l’Africa si divide tra sponde diverse, la corsa a Papa si fa ancora più imprevedibile. E mentre Parolin resta il candidato da battere, la sua scalata è tutt’altro che scontata.

                Anche perché sullo sfondo si muovono altri protagonisti. Come Pierbattista Pizzaballa, il patriarca che si è offerto come ostaggio a Gaza (sì, davvero), e ora incarna la linea più radicale della “Chiesa che si sporca le mani”. O Matteo Zuppi, con la sua scorta di simpatia sant’egidiana e il curriculum da diplomatico con i sandali. Poi c’è Jean-Marc Aveline, vescovo di Marsiglia, che piace un po’ a tutti, anche per le sue stoccate contro Macron.

                Nel frattempo, i conservatori sognano con il tedesco Müller (una sorta di Benedetto XVI remix), e ricordano con nostalgia Filoni, il cardinale rimasto a Baghdad sotto le bombe mentre il resto del mondo si dava alla fuga.

                Nel frattempo, il fumo è ancora nero, ma l’umore è vivace. Perché alla fine, il Conclave è un po’ come Sanremo: si parte con i big, ma spesso vince l’outsider.

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