Cronaca
Ha 45 anni, viene da Kiev e guida una diocesi a Melbourne: chi è il cardinale più giovane del Conclave
Ucraino, cresciuto tra i monasteri e la Siberia, approdato in Australia dopo un lungo percorso tra Russia e Stati Uniti: Mykola Bychok è il più giovane membro del Conclave. Papa Francesco lo ha creato cardinale nel suo ultimo Concistoro, e lui ha promesso di essere un porporato “accessibile”, ma fermo nel denunciare la guerra come “genocidio russo”.

Ha 45 anni e arriva da un mondo attraversato dalla guerra. Ma oggi è a Roma, chiamato a partecipare a uno degli eventi più solenni della cristianità: l’elezione del nuovo Papa. Mykola Bychok, arcivescovo dell’eparchia cattolica ucraina di Melbourne, è il cardinale più giovane del Conclave. Appartenente alla Chiesa greco-cattolica ucraina, di rito bizantino, è stato creato cardinale il 7 dicembre 2024, nell’ultimo Concistoro convocato da Papa Francesco prima della sua morte.
Nato a Ternopil, nell’Ucraina occidentale, Bychok ha percorso un cammino rapido e coerente dentro le gerarchie della Chiesa. Redentorista, ha preso i voti nel 1998 e si è formato presso l’Istituto superiore di spiritualità intitolato a Mykolay Charnetsky, beato e martire dei gulag sovietici. Dopo l’ordinazione diaconale nel 2004 e quella sacerdotale l’anno successivo, ha prestato servizio a Prokopyevsk, in Siberia, prima di tornare in patria e poi approdare negli Stati Uniti, nel New Jersey.
Nel 2020, in piena pandemia, è stato nominato vescovo dell’eparchia dei Santi Pietro e Paolo di Melbourne, sede della comunità ucraina greco-cattolica in Australia. Un incarico che ha saputo interpretare con spirito pastorale moderno, mettendo insieme rigore spirituale, attenzione sociale e denuncia politica. Sì, perché Bychok non ha mai nascosto la sua posizione sul conflitto che devasta la sua terra: ha definito più volte la guerra russa in Ucraina “un genocidio”, una ferita profonda che ha portato con sé ovunque sia stato chiamato a servire.
Intervistato il giorno dopo la sua nomina da cardinale dall’emittente pubblica australiana ABC, ha dichiarato con disarmante sincerità: “Non avrei mai immaginato di diventare cardinale a questa età”. E ha aggiunto che vuole essere un porporato accessibile, vicino ai fedeli, “capace di ascoltare”. Parole che oggi risuonano con forza, mentre si prepara a partecipare al Conclave che darà un successore a Francesco.
La sua è una figura anomala, anche geograficamente. Ucraino, ma votante per il prossimo Pontefice come capo di una diocesi oceanica. Un porporato giovane, con la mente aperta sul mondo e lo sguardo segnato da una tragedia storica ancora in corso. La sua esperienza nelle comunità diasporiche – dalla Russia alla costa est americana, fino all’Australia – lo rende anche un simbolo della Chiesa globale che Francesco ha voluto modellare in questi anni.
Nel Collegio cardinalizio, oggi composto da oltre 240 porporati, Bychok rappresenta un’eccezione non solo per l’età, ma per l’orizzonte culturale e biografico. Con i suoi 45 anni, è l’opposto di figure come l’italiano Angelo Acerbi e l’argentino Esteban Estanislao Karlic, entrambi 99enni e ormai esclusi dal Conclave per raggiunti limiti di età. Tra gli aventi diritto al voto, il più anziano sarà invece Carlos Osoro Sierra, 79 anni, già arcivescovo di Madrid.
Ma se i numeri raccontano la statistica, le storie personali raccontano il volto della Chiesa di domani. E quella di Bychok è la storia di un uomo che ha attraversato le frontiere, le lingue e le guerre senza mai perdere la fede. Forse è anche per questo che Francesco lo ha voluto tra i suoi ultimi cardinali: perché il futuro della Chiesa passa anche per chi sa pregare con il cuore spezzato ma le mani ancora salde.
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Politica
Onorevoli morosi: i parlamentari che non pagano le quote e fanno piangere le casse dei partiti (ma non mollano la poltrona)
Sono eletti, ma non pagano. Siedono in Aula, ma latitano alla cassa. In tutti i partiti abbondano i morosi delle quote, quelli che dovrebbero versare contributi e invece fanno gli gnorri. Mentre i tesorieri impazziscono e i bilanci piangono, spunta la minaccia dell’incandidabilità. Ma qualcuno pensa davvero che funzionerà?

Pagano le bollette, forse. Versano il mutuo, magari. Ma quando si tratta di pagare le quote al partito, gli onorevoli si eclissano come fossero a un vertice Nato… ma senza invito. Benvenuti nel meraviglioso mondo degli “onorevoli morosi”: categoria trasversale, bipartisan, e sorprendentemente creativa nel trovare scuse per evitare di saldare i conti con il proprio partito.
Il caso più emblematico è quello del Movimento 5 Stelle, che ha scoperto di avere un buco di 2,8 milioni di euro in quote non versate da parlamentari e consiglieri regionali. E per non farsi mancare nulla, ci sono altri 1,4 milioni mai restituiti in indennità di fine mandato. A quel punto il tesoriere Claudio Cominardi ha detto basta: “O paghi o resti fuori dai giochi”. Tradotto: niente più candidature né incarichi per chi fa lo gnorri alla cassa.
Il risultato? Il partito ha chiuso comunque il bilancio 2024 con un avanzo di oltre due milioni. Magia? No, solo una buona gestione e qualche recupero forzato. Altro che “uno vale uno”: qui vale chi versa.
Ma non pensiate che i grillini siano un’eccezione. Il vizietto del “non pago, tanto chi se ne accorge” colpisce un po’ ovunque. Nel Partito democratico, il buco da morosità è di 441 mila euro, anche se in leggero calo rispetto all’anno scorso grazie ad azioni legali. Insomma: se non vuoi versare spontaneamente, ti citano. Con affetto, si intende. E nonostante tutto, al Nazareno si brinda: avanzo da 650 mila euro, anche grazie al 2×1000 (oltre 10 milioni). Unico problema? L’affitto: 502 mila euro per la sede. Perché sì, la politica costa. Soprattutto se vuoi farla con il parquet.
Il partito con il miglior comportamento? Sinistra italiana, che vede lievitare i contributi da 204 a 281 mila euro in un anno. Unico caso virtuoso. Forse perché, senza grandi mecenati, lì le quote sono come il pane: o le hai, o resti a digiuno.
E il centrodestra? Beh… Fratelli d’Italia, che lascia i versamenti alla volontà degli eletti, ha perso 1,2 milioni. La Lega ne ha lasciati sul campo 700 mila. Risultato: entrambi in rosso, e con i bilanci da rianimare. Tanto che anche loro stanno meditando il modello 5 Stelle: “paghi o fuori”.
In casa Forza Italia, invece, le cose vanno (relativamente) meglio. Il buco c’è – 307 mila euro di disavanzo – ma a tappare le falle ci hanno pensato 128 imprenditori con un cuore grande come una donazione: oltre 1,5 milioni versati. Altro che fundraising: questo è il Superenalotto.
E intanto, mentre i tesorieri fanno i conti con Excel e tachipirina, i parlamentari si dividono in tre categorie:
– quelli che pagano senza fiatare,
– quelli che rimandano “alla prossima settimana” da sei mesi,
– e quelli che proprio spariscono, rispondendo alle PEC con gif di gattini.
L’idea dell’incandidabilità per chi non versa? Bellissima. Ma un po’ come il gelato in spiaggia: parte bene, poi si squaglia.
Perché diciamolo: in politica tutti promettono, ma alla cassa arrivano in pochi. Soprattutto se devono mettere mano al portafogli e non al microfono.
Mistero
Dracula sepolto a Napoli? Decifrata l’iscrizione sulla tomba misteriosa che riaccende la leggenda
Secondo una nuova ipotesi, Vlad l’Impalatore – ispiratore del Dracula letterario – non sarebbe morto in battaglia ma portato a Napoli dalla figlia e sepolto in una tomba nobiliare. La recente decifrazione di un’antica iscrizione potrebbe confermare tutto.

Dracula potrebbe essere morto a Napoli. Non è il plot di un film, ma una teoria che da anni incuriosisce studiosi, turisti e appassionati di misteri storici. Al centro di tutto, una tomba nel complesso monumentale di Santa Maria la Nova, a due passi dal cuore antico della città. E ora, una svolta clamorosa: la decifrazione di un’iscrizione funebre finora rimasta oscura rilancia la possibilità che sia davvero la sepoltura di Vlad III di Valacchia, il famigerato Impalatore passato alla leggenda come Dracula.
Ad anticiparlo è Giuseppe Reale, direttore del complesso, che dalla Romania fa sapere che un gruppo di studiosi ha interpretato la scritta come un elogio funebre dedicato proprio al principe valacco vissuto tra il 1431 e il 1477. Secondo la teoria, Vlad non sarebbe morto in battaglia, ma catturato dai turchi e poi liberato dalla figlia Maria Balsa, rifugiatasi a Napoli dopo essere stata adottata da una nobile famiglia locale.
Alla sua morte, Vlad sarebbe stato tumulato nella cappella Turbolo, nella tomba del suocero della figlia. La tomba, decorata con simboli egizi, draghi e iconografie non riconducibili alla tradizione locale, era già al centro di speculazioni fin dal 2014. Ora, però, la decifrazione dell’epigrafe – datata attorno al Cinquecento – dà nuova linfa alla leggenda.
Napoli, del resto, è abituata a ospitare l’impossibile: santi che fanno miracoli, sangue che si scioglie, teschi che parlano. E ora anche un Dracula… in trasferta definitiva. Non resta che attendere conferme, ma intanto il fascino resta intatto. Perché forse l’Impalatore non è mai tornato in Transilvania. Ha solo cambiato castello.
Storie vere
Clausura a luci rosse: suora beccata online, la badessa la richiama e finisce rimossa
Una suora sorpresa su siti erotici, una badessa che invita alla castità, una lettera anonima al Vaticano e dodici religiose in fuga. A Vittorio Veneto le suore di clausura si sono divise tra obbedienza e ribellione, tra convento e villa segreta. Ma il convento, ora, non è più lo stesso.

C’era una volta un convento silenzioso, raccolto tra le colline venete, dove dodici monache di clausura vivevano nella quiete, tra litanie e rosari. Fino a quando il diavolo — o forse solo la connessione internet — non ci mise la coda. E a Vittorio Veneto scoppiò il finimondo tra le suore.
A raccontare l’ultima novena della discordia è una delle religiose fuggite: «Una delle consorelle era stata scoperta dalla badessa Aline su siti erotici. L’aveva invitata con delicatezza a rispettare il voto di castità. Ma da lì — guarda un po’ — è partita la lettera anonima al Papa», spiega oggi, con voce non proprio da confessionale.
La famosa missiva, indirizzata a Papa Francesco e firmata da quattro sorelle, accusava suor Aline di autoritarismo e gestione dispotica. Peccato che, secondo la versione delle “fuggiasche”, la questione sarebbe iniziata per tutt’altri motivi. Ovvero, per la voglia repressa di una sorella un po’ troppo curiosa.
Suor Aline, per molti un punto di riferimento spirituale e disciplinare, è stata rimossa dal Vaticano dopo l’esplosione del caso. Al suo posto è arrivata suor Martha Driscoll. Ma a quel punto, il clima dentro il convento era già da apocalisse: tensioni, ispezioni, sguardi storti nei corridoi e, dicono, pure qualche porta sbattuta più forte del dovuto.
Così, dodici suore hanno preso il velo (metaforicamente) e se ne sono andate. Ora vivono in una villa segreta, donata da un benefattore devoto e, immaginiamo, discretamente incuriosito. Temono “ritorsioni”, dicono. Non si sa da chi, ma si sa che preferiscono mantenere l’anonimato, anche se ormai — nel paese — il convento è diventato la nuova telenovela del dopomessa.
«Invece di affrontare le criticità, è stata rimossa la badessa. E tutti i soldi sono rimasti nel monastero», raccontano. Le suore in fuga vivono oggi con uno stipendio, una pensione e qualche offerta della comunità. Ma la vera eredità, quella che arde tra incensi e pettegolezzi, è un convento spaccato in due.
Una sola certezza rimane: anche tra le mura della clausura, le passioni umane battono più forte del silenzio. E dove non arrivano gli spiriti santi, arriva la fibra ottica.
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