Cronaca
Il Papa non s’ha da fare: fango su Parolin, gossip da sagrestia per farlo fuori
La fake news sull’improvviso collasso di Pietro Parolin durante la Congregazione fa il giro dei social americani e scatena il sospetto: qualcuno trama per azzopparlo prima ancora che entri in Cappella Sistina. Il più solido tra i papabili viene colpito con l’arma più vile. Dietro l’attacco, la longa manus degli ultracattolici d’Oltreoceano o la vendetta tardiva dei becciu-boys?
Altro che Spirito Santo. A tre giorni dall’inizio del Conclave, lo strumento più usato non è l’incenso, ma la calunnia. Il bersaglio, neanche troppo a sorpresa, è Pietro Parolin. E il metodo scelto da chi lo vuole fuori dai giochi fa rimpiangere i Borgia: insinuare che sia malato, che abbia avuto un malore durante la Congregazione, che non sia in grado di reggere il peso di un pontificato. Nessuna prova, nessuna testimonianza. Solo il passaparola degli odiatori, una manciata di account social e qualche sito che puzza d’incenso bruciato da secoli.
La Santa Sede, stavolta, ha fatto quello che raramente fa: ha smentito subito e con fermezza. «Nessun malore, il cardinale sta benissimo». Ma intanto la polvere è già stata alzata. E nel polverone, si sa, qualche voto può perdersi. Il meccanismo è vecchio come la Curia: colpisci il più forte con l’arma più vile, e aspetta che gli altri facciano il resto. Parolin, che ha alle spalle trent’anni di diplomazia, missioni complesse e trattative con mezza Asia, è finito nel tritacarne della disinformazione. Una fake news bastarda, che lo dipinge come un vecchio barcollante pronto a crollare tra un’Ave Maria e un’omelia.
A rilanciare la bufala è CatholicVote.org, il santuario digitale degli ultras conservatori americani. Da lì parte l’eco tossica che rimbalza su Twitter e nei salotti più acidi della cattolicità d’Oltreoceano. Difficile non vederci una manovra orchestrata. In fondo Parolin, con quel suo profilo sobrio e quella capacità di tenere insieme preti e presidenti, è l’ultimo ostacolo tra il partito dell’odio e il soglio pontificio.
Dalla sua ha una biografia inattaccabile: figlio di un ferramenta morto giovane, cresciuto tra oratorio e seminario, missioni in Nigeria e Messico, stratega silenzioso della diplomazia vaticana. Ma non basta. Perché ai fanatici non interessa la competenza, ma la bandiera. E Parolin non si è mai fatto arruolare: troppo diplomatico per i pasdaran americani, troppo lucido per i barricaderi bergogliani. L’uomo perfetto da eliminare.
C’è chi legge l’attacco come una vendetta di retrobottega. Quella dei becciuisti, che non gli hanno mai perdonato l’aver mostrato in aula le lettere con cui Papa Francesco — sì, proprio lui, prima di morire — firmò l’esclusione di Angelo Becciu dal Conclave. Ma qui non si tratta di un regolamento di conti. Qui c’è puzza di golpe.
Il malore inventato è solo l’ultima goccia di veleno iniettata nel corpo della Chiesa a colpi di insinuazioni, campagne anonime, mezze verità. E Parolin non è il primo, né sarà l’ultimo. In queste ore, tra i marmi vaticani, si gioca una partita che con il Vangelo ha poco a che fare. I cardinali si salutano con baci e abbracci, ma poi escono dai corridoi con le lame ben nascoste sotto la tonaca.
C’è da chiedersi cosa penserebbe un parroco qualsiasi, uno di quelli che ogni giorno fa davvero il mestiere del prete, davanti a un conclave che assomiglia sempre più a una riunione di capibastone. E forse Parolin è proprio questo: un parroco con curriculum da statista, l’unico in grado di riportare un po’ di compostezza tra le rovine. Forse per questo lo temono.
Intanto lui tace. Nessun commento, nessuna reazione. Entra e esce dalle Congregazioni come se nulla fosse, col passo fermo di chi ne ha viste tante. Ma sa benissimo che, in Sistina, un voto in meno può decidere tutto. E che un’accusa falsa, se messa in circolo al momento giusto, vale come una condanna. A meno che non ci sia ancora, da qualche parte, un pugno di cardinali disposti a votare secondo coscienza. Ma ormai, più che lo Spirito Santo, ci vorrebbe un miracolo.
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Cronaca Nera
Omicidio Meredith, parla Mignini: «Una nuova pista, un nome mai emerso». E riapre il caso di Amanda Knox e Raffaele Sollecito
Giuliano Mignini rivela di aver trasmesso alla Procura un nome inedito. L’ex magistrato non assolve Knox e Sollecito: «Erano gli unici presenti. Circostanze fortunate per loro». Mentre la nuova pista prende forma, tornano dubbi, ferite e domande su uno dei casi più mediatici della cronaca italiana.
Diciotto anni dopo, il caso Meredith Kercher torna a farsi sentire come un eco che non si spegne mai. A riaccendere la miccia è Giuliano Mignini, il magistrato che coordinò le indagini sull’omicidio della studentessa inglese uccisa a Perugia nel 2007. Una dichiarazione, una suggestione, e il fascicolo rientra nell’immaginario di un Paese che quel delitto non l’ha mai davvero archiviato.
Mignini parla di una nuova informazione arrivata di recente: «Una fonte che ritengo affidabile mi ha fatto il nome di un individuo, mai preso in considerazione prima d’ora. Una persona che potrebbe essere implicata nell’omicidio e che scappò all’estero pochi giorni dopo il delitto». Una frase che pesa, perché arriva da chi quella storia l’ha vissuta dall’interno. E perché, per la prima volta, si cita un potenziale nuovo protagonista.
La Procura di Perugia, per ora, non conferma l’apertura di un nuovo fascicolo. Ma Mignini specifica: «Ci sono elementi che potrebbero far pensare che questa persona abbia un qualche coinvolgimento nella vicenda. Ho segnalato la cosa alla Procura di Perugia». Poi un retroscena: «Se avessi conosciuto certi particolari all’epoca, avrei sicuramente approfondito. Purtroppo, per anni, chi sapeva non ha parlato per paura».
Nel frattempo, la storia resta segnata dalla condanna di Rudy Guede — oggi libero — e dall’assoluzione di Amanda Knox e Raffaele Sollecito dopo un percorso giudiziario infinito. Una conclusione che Mignini non ha mai considerato soddisfacente. «Le circostanze sono state fortunate per loro», osserva. E aggiunge: «Sicuramente Knox e Sollecito pensano di aver “stravinto” ma la realtà è ben diversa. Bastava che l’avvocato Biscotti non chiedesse il rito abbreviato per Guede e la condanna sarebbe stata certa anche per loro».
Non un’accusa esplicita, ma un’ombra che torna. «Sono stati assolti con formula dubitativa», ricorda l’ex pm. «Gli unici presenti sul luogo del delitto erano con certezza conclamata Amanda Knox e quasi certamente Raffaele Sollecito. Il dubbio è su quello che hanno fatto. Hanno partecipato o sono stati solo spettatori?». Una domanda che sembra avere perso i confini del processo per diventare terreno di memoria, convinzioni personali, ferite istituzionali.
Diciotto anni dopo, Meredith Kercher resta al centro di una storia giudiziaria che continua a interrogare più che a rassicurare. E nell’Italia che osserva questi ritorni, c’è una sensazione sospesa: come se il tempo avesse provato a chiudere una porta che qualcuno, ancora oggi, non riesce a sigillare.
Politica
Nuovo amore per Maria Elena Boschi: dopo Berruti arriva l’avvocato Roberto Vaccarella. Prima fuga romantica a New York
Avvistati a Capalbio e pronti per un viaggio insieme negli Stati Uniti, Boschi e Vaccarella sembrano intenzionati a vivere questo nuovo legame lontano dal clamore. Per la deputata di Italia Viva si apre una nuova fase sentimentale: discreta, sorridente e con il passo leggero di chi ricomincia.
Archiviata una storia lunga e mediatica, se ne apre un’altra, più silenziosa ma non per questo meno intensa. Maria Elena Boschi sembra aver ritrovato il sorriso accanto a Roberto Vaccarella, avvocato penalista e fratello di Elena, da anni compagna del presidente del CONI Giovanni Malagò.
Dopo cinque anni con l’attore Giulio Berruti — relazione intensa, raccontata e spesso sotto i riflettori — l’ex ministra di Italia Viva sceglie oggi un passo diverso. Meno esposizione, più vita reale. La notizia è circolata nelle ultime ore dopo le indiscrezioni sui primi avvistamenti a Capalbio, poi confermati da più fonti. Passeggiate, cene riservate, niente ostentazione.
A questo si aggiunge un dettaglio che racconta bene l’evoluzione del rapporto: i due sarebbero pronti a partire per New York per la loro prima vacanza a due. Un viaggio simbolico, di quelli che segnano il passaggio da conoscenza promettente a coppia ufficiale. E chi conosce Boschi racconta di una serenità nuova, più matura, più protetta.
La parabola è chiara: dalle copertine alla discrezione, dall’amore cinematografico a una relazione che sembra preferire il passo lento e gli occhi bassi sulle cose piccole. Il resto, al momento, resta fuori dall’inquadratura. Nessun annuncio, nessuna foto insieme, nessuna conferma social.
Per lei è un ritorno a una normalità voluta, dopo anni in cui la vita privata è stata materia di dibattito pubblico. Oggi la narrazione cambia: c’è spazio per un sorriso nelle vie del centro, per un viaggio programmato con calma, per un tempo personale che non chiede applausi.
Se son rose fioriranno, dice il proverbio. Qui, per ora, c’è un bocciolo custodito, e la scelta precisa di lasciarlo crescere senza fretta. In un mondo che corre, Maria Elena Boschi — almeno sul fronte del cuore — sembra aver deciso di fermarsi dove il ritmo è più umano. E di ripartire, stavolta, solo quando sarà il momento.
Politica
“Cerchiamo di non dare notizie sulla villa di Giorgia Meloni”: il messaggio di Ghiglia e il caso privacy che agita Palazzo Chigi
La vicenda nasce dall’interrogazione di Italia Viva sui lavori dell’abitazione della premier. Nei messaggi agli uffici, il componente del Garante Privacy chiedeva se fosse possibile “coprire” alcuni dati. In aula, il governo respinse la richiesta di dettagliare i fornitori per motivi di riservatezza.
Quando un messaggio diventa un caso politico, il confine tra diritto alla privacy e trasparenza pubblica si fa sottile. È il cuore della storia ricostruita da “Report”, che punta i riflettori su Agostino Ghiglia, componente dell’Autorità garante per la Privacy in quota Fratelli d’Italia, e sul suo intervento a tutela della premier Giorgia Meloni.
Il messaggio agli uffici
Il programma di inchiesta riporta una comunicazione interna di Ghiglia, risalente ai primi giorni del 2025, in cui il componente dell’Autorità chiede di approfondire l’interrogazione parlamentare presentata da Francesco Bonifazi e Maria Elena Boschi. Il tema era la villa acquistata dalla presidente del Consiglio per 1,1 milioni di euro nella zona del Torrino, a Roma. Il messaggio è netto: «Cercatemi interrogazione Bonifazi. Approfondiamo se è suo diritto ad avere risposta a tutte le domande, in dettaglio. O se qualcosa si può coprire in termini di protezione dati, al netto della trasparenza e dell’interesse pubblico. Urgente».
Le interrogazioni e la linea del governo
Secondo “Report”, quell’indicazione puntava a verificare se fosse possibile limitare la quantità di informazioni fornite. Una strategia che si riflette poi nella risposta dell’esecutivo: in aula il ministro per i Rapporti con il Parlamento, Luca Ciriani, rifiuta di comunicare l’elenco dei fornitori impegnati nei lavori di ristrutturazione della villa, richiamando la tutela della riservatezza. «Verrebbe meno l’aspettativa di privacy», spiegò.
La cronologia del trasferimento
Il dossier sulla residenza della premier era già emerso mesi prima delle Europee del 2024, quando Meloni lasciò l’abitazione messa a disposizione in comodato dal senatore di Fratelli d’Italia Giovanni Satta per trasferirsi nella nuova casa. L’acquisto, perfezionato nel gennaio 2025 senza mutuo, riguardava una villa “chiavi in mano”, come la stessa premier aveva puntualizzato, chiamandosi fuori da eventuali domande su precedenti abusi edilizi e specificando che ogni responsabilità era prevista nel contratto di compravendita.
Il nodo politico: privacy o opacità?
Il caso apre una riflessione: fino a che punto la riservatezza può legittimare il silenzio della pubblica amministrazione quando si parla di figure istituzionali? Da un lato il diritto alla privacy, dall’altro il principio di trasparenza legato alla gestione della cosa pubblica. Una tensione che torna ciclicamente, soprattutto quando si intrecciano ruoli di governo, interrogazioni parlamentari e controlli istituzionali.
Se per alcuni si tratta di legittima tutela della sicurezza e della privacy di una figura apicale, per altri è un precedente delicato. Nel mezzo, ancora una volta, l’equilibrio sottile che separa ciò che i cittadini hanno il diritto di sapere e ciò che resta nelle stanze dei palazzi romani.
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