Cronaca
Benetton: abbigliamento in rosso, perdite pesanti
Il Cda del gruppo Benetton ha approvato il bilancio con perdite pesanti. Al nuovo Ad Claudio Sforza il compito di rilanciare il Gruppo, ridurre i costi. Il 18 giugno è prevista l’assemblea dei soci.

Il consiglio di amministrazione del gruppo veneto Benetton, presieduto per l’ultima volta da Luciano Benetton, ha approvato il bilancio 2023, chiuso con una perdita di 230 milioni di euro. e ha nominato il nuovo amministratore delegato Claudio Sforza.
Cronistoria di una perdita
Il bilancio 2023 del Benetton Group si è chiuso con 1.098 milioni di euro di ricavi e una perdita netta di 230 milioni di euro, di cui 150 milioni derivanti da svalutazioni. L’ultimo consiglio di amministrazione con Luciano Benetton come presidente e Massimo Renon come amministratore delegato ha visto l’approvazione unanime dei conti. Il prossimo Cda sarà nominato dall’assemblea che si svolgerà il prossimo 18 giugno.
Claudio Sforza, chi è il nuovo amministratore delegato
Claudio Sforza nuovo amministratore delegato del gruppo Benetton, si è laureato in Economia e Commercio all’Università La Sapienza di Roma. Finora ha attraversato una carriera importante significativa in aziende come Ilva, Poste Italiane, Wind e Gamenet. Attualmente manager di Astaldi, Sforza porterà nel gruppo Benetton la sua importante esperienza al gruppo di abbigliamento per guidarne la ristrutturazione e il rilancio.
Una carriera tra aziende private e pubbliche
Sforza ha iniziato la sua carriera in Pfizer, per poi passare a Italcable e Telecom Italia. Dopo l’Opa di Colaninno, ha lavorato in Netscalibur e quindi in Wind, dove ha gestito la divisione business e commerciale. Nel 2003 è diventato direttore finanziario di Poste Italiane e nel 2007 amministratore delegato di Postel. Ha anche guidato Gamenet, quindi è stato cfo di Ilva e di Astaldi.
Da Roma a Treviso
Per guidare il Gruppo il nuovo amministratore delegato si sta già trasferendo da Roma, città dove attualmente vive, a Treviso. In attesa dell’investitura ufficiale il 18 giugno, il manager sta già cercando casa. A lui è stata affidata come prima cosa la gestione dei 150 milioni di euro che la famiglia Benetton ha destinato al rilancio della società. Una cifra che rappresenta solo una prima tranche di un piano più ampio da 260 milioni di euro. Naturalmente non potrà esimersi dall’affrontare un deciso piano di tagli dei costi a cui affiancare un piano di investimenti sui punti vendita e sul prodotto.
Abbigliamento in rosso, c’è un miliardo da recuperare
Negli ultimi cinque anni, il settore dell’abbigliamento del gruppo Benetton ha registrato perdite per 900 milioni di euro. Nonostante questo mercato rappresenti solo il 2% del valore complessivo delle attività della holding (la cassaforte) di famiglia Edizione, le perdite sono significative. Nel 2022, il gruppo aveva registrato un fatturato di 712 milioni di euro e una perdita di 121 milioni di euro.
Con queste perdite ci vuole una spietata resa dei conti
Luciano Benetton ha criticato pesantemente l’attuale dirigenza del gruppo, accusandola di una gestione disastrosa. Come scrive il sito AffariItaliani.it, Patrick Trancu, esperto di crisis management, ha descritto Benetton come “un uomo estremamente solo” spiegando che le accuse fanno parte di una strategia di comunicazione precisa.
E ora che fare?
Il nuovo management avrà il compito di invertire la rotta e rilanciare il gruppo di abbigliamento. L’investimento di 150 milioni di euro rappresenta un primo passo verso la ripresa, ma sarà necessaria una gestione attenta e mirata per riportare l’azienda ai livelli di redditività del passato.
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Cronaca Nera
Antonella Clerici si smarca dai talk sul caso Garlasco: “Non ce la farei a parlarne sempre”, la conduttrice rompe il silenzio
Antonella Clerici interviene sul modo in cui il caso Garlasco viene trattato dalla tv italiana. «Io non ce la farei a parlare sempre della stessa cosa», afferma, lanciando un messaggio chiaro ai talk show che continuano a dedicare intere puntate al delitto. Un commento che riapre il dibattito sui limiti del racconto mediatico della cronaca nera.
Quando Antonella Clerici decide di entrare in un dibattito pubblico, lo fa con la schiettezza che la contraddistingue. Questa volta il tema è il caso Garlasco, tornato al centro dell’informazione televisiva con una frequenza quasi quotidiana. E la conduttrice, con la sua sincerità disarmante, ha preso posizione: «Io non ce la farei a parlare sempre della stessa cosa». Una frase che fotografa un malessere diffuso.
Il peso della cronaca nei palinsesti
La televisione italiana ha sempre avuto un rapporto complesso con la cronaca nera, ma il caso Garlasco ha superato ogni soglia di esposizione. Puntate speciali, approfondimenti, dibattiti infiniti: un’attenzione martellante che, secondo molti spettatori, rischia di trasformare il dolore in intrattenimento. La posizione di Clerici intercetta questa sensibilità e la amplifica.
Una voce fuori dal coro
Abituata a gestire programmi legati alla cucina, all’intrattenimento e alla quotidianità, Antonella rappresenta l’altra faccia della tv: quella che preferisce raccontare la vita, non dissezionare ossessivamente un delitto. La sua presa di distanza non è una critica diretta alle colleghe e ai colleghi dei talk, ma una riflessione personale su un linguaggio televisivo che sente distante.
La reazione del pubblico
Il suo commento è stato accolto con un misto di sollievo e approvazione. Molti spettatori si riconoscono nella fatica emotiva di seguire l’ennesima puntata identica alla precedente. Altri sottolineano come la tv abbia il potere di scegliere cosa raccontare e con quale equilibrio. In mezzo, il solito dibattito social che trasforma ogni frase in un caso.
Una discussione più ampia sulla tv di oggi
L’intervento della Clerici apre un varco su una questione più grande: cosa vuole davvero il pubblico? E soprattutto, cosa dovrebbe offrire la tv generalista nel 2025? La risposta, forse, è nella misura. E nelle parole di una conduttrice che non ha bisogno di forzare la mano per far passare un messaggio semplice e potentissimo.
Cronaca
Ricatto a luci rosse contro un manager vicino a Meloni: cameriere condannato per tentata estorsione dopo un video erotico girato di nascosto
Il dirigente pubblico, figura di fiducia della presidente del Consiglio, è stato minacciato con la diffusione online di un filmato intimo. L’imputato avrebbe agito insieme a un complice armato. La corte riconosce il tentativo di estorsione e respinge l’accusa di possesso di arma da fuoco.
Un manager pubblico di primo piano, vicino a Giorgia Meloni, e un cameriere vent’anni più giovane. Da un incontro casuale in un ristorante di Roma nord nasce una frequentazione che, dopo anni di silenzio, si trasforma in un ricatto violento. È il quadro ricostruito dal tribunale, che ha condannato l’imputato a tre anni e 1.200 euro di multa per tentata estorsione.
La promessa, il ritorno di fiamma e il video nascosto
La relazione risale al 2013, quando i due si conoscono in una trattoria di Anzio. Secondo gli atti, il manager avrebbe accennato alla possibilità di “sistemare economicamente” il giovane amante. Un impegno rimasto nella memoria dell’indagato per oltre un decennio.
Nel 2024 un messaggio riapre i contatti: “Ciao, sei sparito. Come stai?”. Da quel momento i due tornano a frequentarsi. Durante un rapporto, il cameriere registra di nascosto un video hard, considerato dai magistrati la leva per il ricatto.
L’incontro all’Eur e la pistola in auto
Il filmato non basta: l’imputato coinvolge un complice, figura già conosciuta dal dirigente pubblico. Quando i tre si incontrano all’Eur, il complice sale sulla macchina della vittima, estrae una pistola e sostiene di appartenere a un gruppo criminale. La minaccia è esplicita: pagare, oppure vedere il video diffuso online.
Nei giorni successivi partono messaggi e nuove pressioni. Il manager propone 50mila euro, ma l’imputato respinge l’offerta: “Con il costo della vita non si compra neanche una casa”.
La denuncia, il processo e la condanna
La richiesta finale è di 300mila euro da inviare tramite bonifico. Prima che il pagamento avvenga, il dirigente decide di denunciare tutto. Le indagini portano al processo: il complice, giudicato con rito abbreviato, è già stato condannato. Ora arriva anche la sentenza per il cameriere: tre anni per tentata estorsione, nessuna responsabilità invece per l’arma utilizzata nell’agguato.
Cronaca Nera
Caso Garlasco, la perita smonta le certezze sul DNA: “Dati non affidabili”, compatibilità con Sempio ma con fortissime criticità scientifiche
Nella relazione di 93 pagine la perita mette in fila limiti metodologici, contaminazioni, assenza di un database locale e profili genetici troppo degradati per conclusioni nette. Restano solo due compatibilità “moderate”, mentre sugli altri reperti sono presenti solo DNA di Chiara e Stasi.
La perizia sul DNA sotto le unghie di Chiara Poggi, attesa per mesi, non chiude il cerchio. Al contrario, apre un fronte di incertezze che la stessa esperta, Denise Albani, mette nero su bianco: le tracce genetiche estratte nel 2014 dall’allora perito De Stefano “non sono consolidate né affidabili dal punto di vista scientifico”.
Materiale parziale, misto, degradato e mai sottoposto a verifica successiva. Su questo, la genetista non lascia margini di interpretazione. E tuttavia, applicando modelli biostatistici, arriva a una compatibilità della linea maschile di Andrea Sempio con due tracce rinvenute su due dita della vittima: un “supporto da moderatamente forte a forte” per una, “moderato” per l’altra.
Ma la stessa Albani avverte: non è possibile rispondere a domande fondamentali come “come, quando e perché” quel materiale genetico sia stato depositato. Un limite che, in un processo, pesa come un macigno.
Analisi biostatistiche tra limiti e assenze nei database
La relazione spiega perché le valutazioni statistiche non possano essere considerate definitive: manca un database della popolazione locale, condizione ideale per stimare la frequenza reale di un dato profilo genetico.
Per questo, la perita ha dovuto utilizzare gruppi molto più ampi: la metapopolazione europea e quella mondiale. Scelte obbligate, ma che possono produrre risultati “sottostimati” e comunque non riferibili con precisione al contesto di Garlasco.
Non stupisce che sia la difesa di Sempio sia i consulenti della famiglia Poggi continuino a parlare di dati “non scientifici” e “non utilizzabili” in sede processuale. La battaglia tra esperti è solo all’inizio.
Sugli altri reperti resta solo il DNA di Chiara e Stasi
L’incidente probatorio conferma inoltre che sugli altri reperti non emergono elementi nuovi. Le sessanta impronte rinvenute nella villetta non restituiscono profili utili, e sugli oggetti recuperati in pattumiera compaiono esclusivamente il DNA di Chiara e quello di Stasi.
Sul tappetino del bagno, ancora una volta, solo materiale genetico della studentessa e del padre. Nessuna traccia collegabile ad Andrea Sempio. Persino l’“ignoto 3”, per un periodo considerato possibile svolta, si rivela frutto di contaminazione autoptica.
Un risultato che non chiude nulla
La perita ricorda che gli aplotipi analizzati non sono identificativi e non permettono attribuzioni personali. La compatibilità con Sempio riguarda l’intera linea patrilineare: tutti i parenti maschi condividono quel profilo.
Alla domanda decisiva — basterà questo per incriminarlo? — oggi la risposta è no. Non con questi dati, non con queste criticità, non con tracce così fragili.
L’inchiesta prosegue, ma la scienza, per ora, non indica una verità univoca.
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