Italia
Benvenuti in Italia, dove i concerti trap finiscono… in galera!
Quando il palco diventa una cabina telefonica… carceraria. Durante un’esibizione a Catania, infatti, il trapper Baby Gang mostra al pubblico una videochiamata con Niko Pandetta, attualmente detenuto a Nuoro. L’episodio, degno di una commedia all’italiana, ha scatenato un’indagine delle forze dell’ordine. Ma com’è possibile telefonare liberamente dal carcere? E perché certi “idoli” piacciono tanto ai giovanissimi?

One Day Music Festival 2025, Plaia di Catania, 20.000 persone in delirio. Sul palco, Baby Gang (solo il nome è già tutto un programma) – all’anagrafe Zaccaria Mouhib, già noto alle cronache giudiziarie – improvvisa una “telefonata” con il cantante Niko Pandetta. Niente di male, direte voi? Peccato che Pandetta si trovi in carcere a Nuoro, condannato per spaccio ed evasione.
Un duetto in videochiamata
Il risultato? Una videochiamata degna dei migliori film di Totò e Peppino, con tanto di applausi e urla da stadio: “Voglio un ca**o di casino per Niko Pandetta!” urla Baby Gang, prima di intonare il brano Italiano insieme al suo amico recluso.
Musica, manette e marketing: il nuovo trio delle meraviglie
Nel Paese in cui si bloccano i concerti per una bestemmia ma si applaude una videochiamata con un detenuto, l’assurdo diventa normalità. Le forze dell’ordine ora cercano di capire se il collegamento sia stato in diretta – il che sarebbe molto più grave – o solo una “replica registrata”. In entrambi i casi, qualcosa non torna. Anzi, qualcosa non funziona da tempo.
Già noto alle forze dell’ordine
Baby Gang, dal canto suo, non è nuovo ai guai con la giustizia. A marzo è stata confermata la sua condanna per una sparatoria a Milano. Due anni e nove mesi per una notte da “action movie” in zona corso Como, con due feriti. Eppure, resta una delle icone più seguite della scena trap italiana.
C’è poco da ridere
Mentre i due trapper fanno ascolti da milioni e muovono folle di giovanissimi, resta un interrogativo scomodo: com’è possibile che un detenuto comunichi con l’esterno in questo modo? Ma, soprattutto: com’è possibile che a nessuno sembri più sorprendente?!? Forse, in questa barzelletta chiamata Italia, i veri prigionieri sono cultura, legalità e buon senso, murati vivi sotto strati di beat, dissing e applausi facili. E ogni palco diventa il sipario perfetto per una tragicommedia che ormai fa ridere solo chi non l’ha capita.
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Italia
Meloni pronta a incontrare il professore del post shock che si è pentito
Dopo le polemiche e il tentato suicidio, il docente Stefano Addeo potrebbe avere un faccia a faccia con la premier. Da Palazzo Chigi arriva un’apertura.

Potrebbe davvero avvenire l’incontro tra Giorgia Meloni e Stefano Addeo, il professore di Marigliano finito al centro di una bufera mediatica per un post social in cui augurava la morte alla figlia della premier. Un gesto che ha scatenato indignazione trasversale e che lo stesso docente ha definito “stupido, scritto d’impulso”, chiedendo pubblicamente perdono. Travolto dalle polemiche e sospeso in via cautelare dalla scuola, Addeo ha anche tentato il suicidio. In un appello accorato, ha chiesto di poter parlare direttamente con la presidente del Consiglio: “Non cerco indulgenza, ma sento il bisogno umano di essere ascoltato”.
Un incontro che sa da fare…
Ora, da Palazzo Chigi arriva una prima apertura: “Sì, sembra che questo incontro si farà. Ma non fatemi dire altro”, ha dichiarato una fonte vicina alla premier. Nel frattempo, il professore ha ribadito le sue scuse in un’intervista al quotidiano Roma, spiegando di aver scritto il post in un momento di forte turbamento emotivo, dopo aver visto un servizio sulla guerra a Gaza. “Mi sono svegliato e ho detto: Madonna mia, cosa ho scritto. L’ho cancellato subito”, ha raccontato.
Un momento di confronto tra Meloni e il professore
Nonostante il pentimento, il governo considera il gesto incompatibile con il ruolo di educatore, e le polemiche non si placano. Il deputato di Fratelli d’Italia Alessandro Urzì ha dichiarato che Addeo “si è dimostrato inadeguato per la seconda volta”, criticando la sua scelta di legare le scuse a una rivendicazione politica. Anche il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha espresso solidarietà a Meloni e alla figlia Ginevra, telefonando personalmente alla premier per manifestare la sua vicinanza. Meloni, in un post su X, ha parlato di “odio ideologico” e di un “clima malato” che travalica ogni limite: “Esistono confini che non devono essere superati mai”.
Italia
Spionaggio illegittimo, telefoni sorvegliati: si allarga l’inchiesta sui giornalisti intercettati
L’indagine delle Procure di Roma e Napoli coinvolge Dagospia, Fanpage e Mediterranea. Si cercano tracce del software israeliano Graphite o di altri spyware governativi. Renzi: “Se si spiano i giornalisti, non è più democrazia”

Lo scandalo sulle intercettazioni illegittime si allarga ogni giorno di più. Dopo la scoperta che il direttore di Fanpage, Francesco Cancellato, è stato spiato per oltre cinque mesi tramite il software spia Graphite, le Procure di Roma e Napoli hanno deciso di estendere le verifiche ad almeno altri sei cellulari. L’ombra del monitoraggio illegale tocca testate giornalistiche di primo piano come Fanpage e Dagospia, ma anche organizzazioni civiche e sociali.
Il sospetto è che sui dispositivi siano stati installati spyware in grado di trasformare un telefono in una videocamera e un microfono sempre attivi. Tra i coinvolti, oltre a Cancellato, ci sono anche il fondatore di Dagospia Roberto D’Agostino, i giornalisti Eva Vlaardingerbroek e Ciro Pellegrino, e tre attivisti della Ong Mediterranea Saving Humans: Luca Casarini, Giuseppe Caccia e don Mattia Ferrara.
I pubblici ministeri hanno disposto accertamenti tecnici irripetibili per stabilire se i dispositivi contengano tracce di Graphite, un software sviluppato dalla società israeliana Paragon, teoricamente destinato all’uso esclusivo da parte di enti governativi. Ma è proprio questo a sollevare interrogativi: chi avrebbe potuto utilizzarlo in Italia, e con quale autorizzazione?
L’indagine – che per ora resta formalmente contro ignoti – si concentra su reati come accesso abusivo a sistema informatico, intercettazione e installazione illecita di strumenti di spionaggio. Le accuse sono pesanti, anche perché riguardano giornalisti e attivisti civili, soggetti che godono di una tutela speciale nelle democrazie occidentali.
A sottolineare la gravità della situazione è stato anche Matteo Renzi. “Se davvero sono stati spiati i giornalisti di Dagospia, Fanpage e altri, siamo davanti a una svolta clamorosa. Io non condivido sempre le loro idee, ma se il governo italiano continua a far finta di nulla. Siamo in presenza di un fatto gravissimo”, ha dichiarato. “Nelle democrazie non si spiano i giornalisti. Se si spiano i direttori delle testate giornalistiche, non è più democrazia. Tutti zitti anche stavolta? #ItalianWatergate”.
Nel procedimento sono coinvolti anche l’Ordine dei Giornalisti e la Federazione Nazionale della Stampa Italiana, che potranno nominare propri consulenti tecnici. L’attenzione è massima: l’indagine potrebbe scoperchiare un sistema di sorveglianza ben più vasto di quanto si immaginasse. E intanto, la libertà di stampa italiana si ritrova con un’altra ferita aperta.
Italia
In bilico tra spie, gaffe e sospetti: Pisani sempre più isolato dopo l’affaire Giambruno
Dagli attriti tra Digos e squadra mobile ai misteri irrisolti sull’auto dell’ex compagno della premier, passando per un ricettatore mai davvero identificato: il numero uno della Polizia è finito in un cono d’ombra. Gli ambienti di governo parlano ormai apertamente di un possibile avvicendamento. Anche l’intelligence prende le distanze.

Fino a pochi mesi fa sembrava l’uomo giusto al posto giusto. Oggi, invece, Vittorio Pisani, capo della Polizia, si muove su un terreno che ogni giorno diventa più scivoloso. L’affaire legato all’auto di Andrea Giambruno, con due uomini sospetti a trafficare nei pressi della vettura dell’ex compagno della premier, ha aperto una crepa che non si è più richiusa. E che, anzi, si è allargata fino a diventare una voragine nella fiducia tra Pisani e i vertici istituzionali.
A Palazzo Chigi il gelo è evidente. Le rassicurazioni iniziali hanno lasciato spazio a un sospetto costante e a una crescente insofferenza per la gestione dell’intera vicenda. Anche al Viminale, formalmente responsabile della nomina, si è raffreddata la stima nei confronti del superpoliziotto che un tempo sgominava i Casalesi. E persino Matteo Salvini, che lo aveva sostenuto con forza per il ruolo oggi ricoperto, ha smesso di fare scudo. Nessuno, ormai, è pronto a scommettere sulla sua permanenza.
La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stata la confusione investigativa. L’intervento iniziale della Digos – come da prassi – è stato presto affiancato, o meglio sovrastato, dalla squadra mobile di Roma, subentrata con il benestare degli alti ranghi del Dipartimento di pubblica sicurezza. Da lì è partita una catena di equivoci, smentite, attribuzioni vaghe, riconoscimenti mancati e versioni contraddittorie che non hanno fatto altro che peggiorare il quadro.
Uno dei due uomini visti vicino all’auto sarebbe stato identificato come agente dell’intelligence interna, ma poi scagionato sulla base dei dati delle celle telefoniche e dei pedaggi autostradali. L’altro? Un ricettatore di auto, forse. O forse no. Nessuna conferma solida. Solo l’ammissione di un «equivoco» e la sensazione, ancora oggi, che qualcosa non sia stato raccontato per intero.
A far salire la pressione su Pisani non è solo il caso Giambruno. Anche altri episodi hanno contribuito a minarne l’autorevolezza. Come la richiesta, a pochi giorni dalla nomina, del riconoscimento dello status di vittima del dovere per un infortunio risalente a quasi trent’anni fa. O la concessione del medesimo beneficio al suocero, con una relazione firmata proprio da lui. Vicende legittime, forse, ma mal digerite in un momento di forti tensioni interne.
E mentre il rapporto con alcune figure centrali dell’apparato – come l’ex dirigente dell’intelligence Giuseppe Del Deo – solleva più di una perplessità, si affaccia l’ipotesi di una “via d’uscita elegante”: un passaggio alla direzione dell’Agenzia per la cybersicurezza nazionale. Una mossa che eviterebbe il trauma politico di un terzo cambio al vertice della Polizia in poco più di due anni. Ma che certificherebbe, di fatto, la fine anticipata dell’era Pisani.
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