Italia
Cinema italiani: fine dei giochi. Delle 2.700 sale ne restano meno di mille
Dal dopoguerra a oggi le sale cinematografiche sono passate da simbolo della rinascita a scheletri urbani dimenticati. A Roma ne restano solo 60 operative. L’allarme lanciato dal docente Silvano Curcio riapre il dibattito: “Contro l’agonia del cinema, servono i ‘terzi luoghi’ alla francese: spazi polifunzionali con al centro la cultura”.

Il cinema italiano sta morendo. E non è solo un modo di dire. Lo dicono i numeri: delle 2.700 sale cinematografiche presenti in Italia fino a pochi decenni fa, oggi ne restano meno di mille. A Roma, città simbolo della settima arte, 102 sale sono state chiuse negli ultimi anni. Spente, murate, dimenticate.
A rilanciare l’allarme è Silvano Curcio, architetto e docente alla Sapienza, durante l’assemblea pubblica “Terzi Luoghi – Una città che si-cura”, tenutasi nella Basilica di San Saba. L’evento, organizzato dal Comitato Sos Sale, ha riunito decine di associazioni e realtà civiche impegnate nella difesa delle sale storiche romane, minacciate da una proposta di legge regionale che, denunciano i promotori, potrebbe trasformare i vecchi cinema in centri commerciali, alberghi o parcheggi.
«I dati sono drammatici – ha detto Curcio –. A Roma si è cancellata un’intera geografia culturale. Il cinema non è solo uno spazio, è una memoria collettiva». Una memoria che rischia di scomparire sotto la colata di nuove normative urbanistiche: «A dicembre scorso – racconta l’architetto – ho pubblicato Fantasmi urbani, e lì ho rivelato in anteprima l’esistenza di un progetto di legge regionale approvato in Giunta ad agosto. Me ne parlò un amico che lavora alla Regione: la chiamano ‘Legge Metropolitan’, dal nome dello storico cinema romano di via del Corso».
Una legge che, se approvata, potrebbe sancire la riconversione definitiva di molti spazi un tempo votati alla cultura. Ma Curcio una proposta ce l’ha. Si chiama “terzo luogo”. Un concetto mutuato dalla Francia e dal mondo anglosassone, ma nato in Italia già negli anni Sessanta: «Non dobbiamo dimenticare che l’idea dei centri culturali polifunzionali è nostra. Solo che altrove l’hanno coltivata, noi l’abbiamo lasciata morire».
Il modello francese – già sperimentato con successo nelle periferie di Parigi e Lione – prevede strutture ibride, che ospitano cinema, teatri, biblioteche, sale concerti, spazi per bambini, mense per persone in difficoltà, caffetterie, laboratori creativi. Una cultura “a km zero”, che rivitalizza i quartieri e rimette le persone al centro, restituendo dignità agli spazi dismessi.
Il punto non è solo salvare qualche sala. Il punto è ripensare il ruolo stesso del cinema nella città contemporanea. Non più solo luogo di consumo, ma nodo vitale di una rete culturale diffusa. Una rete che oggi, senza interventi rapidi, rischia di spezzarsi del tutto.
Il caso romano è emblematico. Il cinema Metropolitan è solo il simbolo più evidente di un declino generalizzato. Dalla periferia al centro storico, gli spazi chiusi superano ormai quelli aperti, e molti si avviano verso un destino già scritto: diventare ristoranti, hotel, garage. Un destino che, secondo Curcio, «non è inevitabile, ma è politicamente scelto».
Il Comitato Sos Sale chiede un cambio di rotta. E lo fa puntando proprio sui cittadini: «Ogni quartiere ha almeno una sala chiusa. Non sono solo edifici, sono identità», spiegano gli attivisti. Per questo lanciano un appello a istituzioni e amministrazioni: difendere i cinema significa difendere la città.
Forse la sfida più grande sarà ricostruire l’abitudine collettiva di andare al cinema, nonostante l’onda lunga dello streaming, la pigrizia digitale e la concorrenza di piattaforme sempre più aggressive. Ma la risposta, dice Curcio, non è l’abbandono: «Non possiamo lasciare che lo spazio del cinema diventi un ricordo. Possiamo trasformarlo, ripensarlo, ma deve restare vivo».
E chissà che, tra i fantasmi delle vecchie insegne al neon e le poltrone impolverate, non si trovi ancora posto per una nuova forma di comunità. Magari in silenzio, al buio, mentre si accende un proiettore.
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Italia
Il Conclave senza milanesi: una rottura storica per la Chiesa Ambrosiana
La diocesi più grande d’Europa esclusa dall’elezione del nuovo Papa. Escluse anche Berlino, Parigi, Lisbona, Vienna e Bruxelles.

Per la prima volta dal 1878, il Conclave che eleggerà il nuovo Papa, e inizierà il prossimo 7 maggio nella Cappella Sistina, non avrà alcun cardinale milanese tra gli elettori. Un evento che segna una rottura storica per la diocesi più grande d’Europa, con i suoi 5 milioni di battezzati. Milano, da sempre protagonista nelle vicende della Chiesa, si ritrova ora senza rappresentanza diretta in un momento cruciale per il futuro del cattolicesimo. Tra le diocesi escluse Milano non è sola. Infatti a non essere rappresentata al prossimo Conclave ci sono anche Berlino, Parigi, Lisbona, Vienna e Bruxelles. Tutte diocesi con una lunga tradizione e un peso storico importante che non avranno cardinali elettori del prossimo Papa.
La Chiesa più inclusiva voluta da Papa Francesco
Secondo gli esperti, questa scelta non è casuale, ma il frutto della visione di Papa Francesco, che ha voluto una Chiesa più inclusiva, dando maggior spazio a realtà meno centrali nel mondo cattolico. Monsignor Luca Bressan, vicario episcopale per la Cultura della Curia di Milano, spiega che Bergoglio ha costruito un collegio cardinalizio diverso, selezionando personalità da aree meno tradizionali, con forti differenze culturali. “Ha invitato i cardinali a conoscere la Chiesa a partire dalle diversità”, dice Bressan. Se in passato il cattolicesimo era dominato dalle diocesi storiche europee, ora Francesco ha ribaltato gli equilibri, dando più peso alle Chiese periferiche.
Milano restata ai margini? No, è presente nei dicasteri vaticani
Nonostante l’assenza nel Conclave, Milano resta centrale nel Vaticano. Nel corso del suo pontificato Papa Francesco ha più volte dimostrato affetto per la Chiesa ambrosiana, accogliendo classi di preti e diaconi milanesi a Casa Santa Marta. Inoltre ha nominato numerosi vescovi ambrosiani per altre diocesi o ruoli chiave nei dicasteri vaticani. Don Enrico Castagna, rettore del Seminario arcivescovile di Venegono, conferma: “Non è un’esclusione, il ruolo di Milano non si definisce solo nel Conclave”. Quindi, più che una perdita di influenza, si tratta di una redistribuzione del potere nella Chiesa.
Le preoccupazioni dei fedeli laici
Se i sacerdoti sembrano accettare il cambiamento, tra i fedeli laici milanesi si percepisce una certa inquietudine. Marco Garzonio, ex presidente della Fondazione Ambrosianeum, teme che Milano possa perdere spazio nella Chiesa universale. “Spero che i valori dell’ambrosianità, dall’accoglienza all’integrazione, trovino comunque voce nel Conclave”, afferma. Anche Giovanni Colombo, ex responsabile dei Giovani dell’Azione Cattolica, non si rassegna: “Guardo il Duomo e mi ripeto: non è possibile che nessun ambrosiano entri in Conclave”. Questa assenza di Milano, Berlino, Parigi e Vienna dal Conclave segna comunque una trasformazione profonda nella struttura del cattolicesimo globale.
La Chiesa di oggi, meno eurocentrica, guarda ai territori emergenti, creando nuovi equilibri. Milano, con la sua millenaria tradizione, potrebbe ritrovarsi a ridefinire il proprio ruolo in un contesto ecclesiale sempre più internazionale e decentralizzato. Ma una cosa è certa: l’ambrosianità e la sua eredità continueranno a influenzare la Chiesa, anche senza cardinali nel Conclave. Il tempo dirà se questa nuova direzione sarà un successo o una perdita per la cattolicità europea.
Italia
AS Roma: sexgate all’amatriciana, Trigoria a luci rosse
Un video rubato, una fuga all’estero e una doppia esclusione: il sexgate di Trigoria si chiude senza colpevoli. Ecco tutti i dettagli sulla vicenda che ha scosso l’ambiente giallorosso, ora archiviata senza conseguenze disciplinari.

A Trigoria, quartier generale dell’AS Roma, è esploso un vero scandalo: un video a contenuto hot, girato nel corso di una relazione privata tra due dipendenti del club, è finito nelle mani sbagliate. A sottrarlo sarebbe stato un giovane calciatore della Primavera, allora minorenne, che con la scusa di una telefonata avrebbe trafugato il filmato dal cellulare della donna. La sua diffusione incontrollata tra i membri dello staff e i compagni di squadra ha scatenato un terremoto interno.
La fuga all’estero del responsabile e l’indagine senza esito
Secondo quanto certificato nella risposta ufficiale del ministro dello Sport Andrea Abodi, l’autore della sottrazione sarebbe un ex tesserato straniero, ormai rientrato nel suo Paese d’origine. Nonostante i ripetuti tentativi della procura federale di convocarlo per un interrogatorio, il calciatore non si è mai presentato, rendendo impossibile qualsiasi azione disciplinare. La giustizia sportiva, non avendo accesso ai dispositivi personali dei tesserati, si è trovata costretta a chiudere l’indagine.
Archiviazione e accordo economico
Il sexgate di Trigoria si è quindi concluso senza sanzioni formali. La dipendente coinvolta, in seguito a un accordo di riservatezza e a un compenso superiore ai 300mila euro, ha scelto di non sporgere querela. Questo ha impedito ogni ulteriore indagine penale. Anche la procura generale dello sport ha accolto la richiesta di archiviazione, confermando l’impossibilità di procedere.
La squadra allontana entrambi i dipendenti
La società giallorossa ha deciso di licenziare entrambi i dipendenti apparsi nel video, pur non subendo alcuna accusa di discriminazione di genere. La dipendente, in servizio da oltre dieci anni, è stata allontanata insieme al suo compagno, in un atto definito come “scelta interna nell’ambito dei rapporti di lavoro privati”. Il governo ha chiarito che non vi è stata alcuna ingerenza istituzionale nella decisione.
Silenzi, responsabilità e l’amaro epilogo
Nessuna parola è stata spesa in difesa della vittima, nessuna sanzione è stata comminata ai responsabili della diffusione del video. Una vicenda che lascia l’amaro in bocca, tra responsabilità mancate e un sistema sportivo che, ancora una volta, sembra incapace di proteggere chi subisce.
Italia
Parla la maestra licenziata per OnlyFans: “Il problema non sono i bambini, ma l’ipocrisia degli adulti”
Elena Maraga, ex maestra d’asilo di Treviso, racconta la sua storia dopo il licenziamento per la sua attività su OnlyFans. In un’Italia ancora ancorata alla sessuofobia e all’ipocrisia, la sua vicenda solleva interrogativi profondi su lavoro, libertà personale e dignità. Ecco la sua testimonianza completa, ottimizzata per la SEO.

29 anni, è laureata in Scienze dell’Educazione e, fino a poco tempo fa, lavorava come maestra d’asilo in una scuola parrocchiale di Varago, vicino Treviso. Ma la sua vita è cambiata radicalmente dopo la scoperta, da parte della scuola, del suo profilo su OnlyFans. “Non mi sono mai spinta nella pornografia”, chiarisce, “eppure sono stata licenziata con l’accusa di comportamento inappropriato”. A scatenare il caso, la denuncia della compagna del padre di un suo alunno, che – ironia della sorte – era anche un suo abbonato.
OnlyFans e la libertà di scelta: “Ognuno si arrangia come può”
Elena non si nasconde: “Sono un’esibizionista, mi piace mostrare il mio corpo. Ma la vera domanda è: è più dignitoso accettare 1.200 euro al mese o trovare un modo alternativo per vivere?”. La giovane spiega come il suo secondo lavoro le abbia permesso di pensare a un futuro diverso, indipendente. “Faccio body building, curo il mio corpo e la Rete paga per vederlo. In un mese, su OnlyFans, si può guadagnare anche dieci volte tanto lo stipendio da insegnante”.
La condanna sociale
“Mostrarsi in intimo online non rende meno capaci di educare un bambino”, afferma Elena. “Il problema non è la tutela dei minori, ma la sessuofobia e l’ipocrisia degli adulti. In spiaggia si vedono cose ben peggiori. La società ama giudicare ciò che in privato consuma di nascosto”.
Reazioni e solitudine: “Licenziata senza essere ascoltata”
Maraga denuncia la freddezza con cui è stata allontanata dalla scuola: “Il parroco e le colleghe non mi hanno mai chiesto di spiegare. Sono spariti tutti per paura”. I genitori, profondamente cattolici, l’hanno scoperto dai media: “Temono che un giorno possa vergognarmi, ma non mi hanno mai chiesto di smettere”.
“Chi si adatta non deve vergognarsi”
Per Elena il vero scandalo è un Paese dove si sopravvive a stento col proprio lavoro. “La dignità perduta non appartiene a chi mostra una coscia, ma a chi è costretto a farlo perché non riesce più a pagarsi un affitto. Non tutti scelgono OnlyFans, ma ognuno cerca la propria via”.
Il futuro? “Sogno la Spagna, lontano dalla gogna”
Licenziata e senza fondi per sostenere una battaglia legale, oggi Elena sta seguendo un corso per diventare personal trainer. “Sogno di trasferirmi in Spagna, dove posso vivere senza essere giudicata ogni giorno”. E lancia un monito: “Temo un’Italia dove si accetta la censura e la discriminazione, anziché difendere il diritto alla libertà personale”.
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