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Italia

Dividendi nascosti e crisi di Prosiebensat: il doppio fronte degli eredi di Silvio Berlusconi

Le holding della famiglia Berlusconi, pilastri del controllo su Fininvest, si chiudono con bilanci in calo e verbali oscurati che lasciano nel mistero il destino dei dividendi. Marina, Pier Silvio, Barbara, Eleonora e Luigi evitano le assemblee, mentre Pier Silvio si trova a fronteggiare una sfida ancora più grande in Germania: Prosiebensat, colosso televisivo di cui Mfe è il maggiore azionista, lotta per ridurre un debito di 1,6 miliardi, ma la mancata vendita di Verivox e una governance instabile complicano ogni strategia. Un doppio fronte che mette alla prova la solidità dell’impero ereditato.

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    Il mistero si infittisce attorno alla gestione della Holding Italiana Seconda e della Holding Italiana Terza, due pilastri della galassia finanziaria di Silvio Berlusconi. Cinque eredi, quattro pagine di verbali secretate e una domanda che aleggia nell’aria: che fine hanno fatto i dividendi? Nel cuore delle recenti assemblee dei soci, presiedute dall’inossidabile Giuseppe Spinelli – noto ai più come “ragionier Spinaus” – i numeri sembrano parlare chiaro, almeno fino a un certo punto.

    Con bilanci approvati e utili rispettivamente di 7,9 e 3,9 milioni di euro, è il momento della verità che si trasforma in un enigma: accantonamento o distribuzione dei profitti? Qui entrano in scena gli “omissis”, quattro dense pagine di nulla che cancellano ogni possibilità di trasparenza. Mentre i cinque fratelli Berlusconi – Marina, Pier Silvio, Barbara, Eleonora e Luigi – si tengono alla larga fisicamente dalle assemblee, affidandosi al loro rappresentante comune Augusto Barbieri, si consolida la sensazione di una partita finanziaria giocata a porte chiuse.

    Se la famiglia si divide le quote con una precisione quasi chirurgica – Marina e Pier Silvio con percentuali maggiori, mentre Barbara, Eleonora e Luigi dividono equamente la parte restante – il quadro economico non appare altrettanto stabile. Il calo degli utili rispetto all’anno precedente non è un dettaglio trascurabile, ma piuttosto un segnale di come i flussi di dividendi da Fininvest si siano ridotti sensibilmente. Una frenata che apre interrogativi non solo sulle strategie delle holding, ma anche su quelle della madre di tutte le battaglie: la sostenibilità della struttura finanziaria complessiva.

    Nel frattempo, Pier Silvio Berlusconi ha ben altro a cui pensare. I riflettori si spostano sulla Germania, dove Prosiebensat – il secondo gruppo televisivo tedesco, di cui Media For Europe (Mfe) è primo azionista – si dibatte tra debiti vertiginosi e piani di ristrutturazione mancati. Un debito di 1,6 miliardi di euro pesa come un macigno sulle prospettive del gruppo, mentre la vendita del portale Moltiply (ex MutuiOnline) sfuma miseramente. La dismissione di asset non strategici, come Verivox, avrebbe dovuto rappresentare una boccata d’ossigeno per le casse di Prosiebensat, ma la trattativa si è arenata sul prezzo e sui rapporti di governance con il socio General Atlantic.

    Con una promessa al mercato di generare oltre mezzo miliardo di euro dalla vendita di attività, la mancata conclusione di questo affare lascia un vuoto che non può essere colmato facilmente. Per Prosiebensat, il 2025 si prospetta come un anno decisivo, segnato da assemblee turbolente, rinnovi di cariche nel supervisory board e il futuro incerto del CEO Bert Habets. Il suo mandato, già messo in discussione, potrebbe non sopravvivere alla prossima tornata decisionale.

    Mentre il panorama tedesco si complica, Mfe osserva e prepara le mosse. Consolidare il controllo su Prosiebensat tramite un’Opa sembra una possibilità concreta, ma le difficoltà strutturali del gruppo richiedono ben più di un semplice cambio di governance. La possibilità di uno scorporo delle attività non televisive, già bocciata in passato, potrebbe riemergere come soluzione per razionalizzare il portafoglio e liberare risorse.

    E Pier Silvio? Tra il rischio di perdere terreno nel mercato tedesco e l’ipotesi di azioni più incisive per riscrivere gli equilibri interni, il numero uno di Mfe si trova a fronteggiare una partita complessa, che non si limita ai conti economici, ma tocca anche la politica e i rapporti con il futuro cancelliere tedesco.

    La gestione delle holding domestiche e la sfida tedesca riflettono un dilemma più ampio per gli eredi Berlusconi: come mantenere il controllo e garantire la sostenibilità di un impero costruito su equilibri sottili e decisioni strategiche spesso audaci? Gli “omissis” nei verbali sono forse il simbolo più eloquente di questa fase: una nebulosa che lascia spazio a congetture e sospetti, ma che, nel silenzio, racconta molto più di quanto vorrebbe nascondere.

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      Italia

      Salvini scopre i parrucchieri (e ci va alla guerra): la Lega vuole “contingentare” barbieri e saloni stranieri

      Alla Camera la Lega presenta un testo che prevede il “contingentamento progressivo delle autorizzazioni” per acconciatori e parrucchieri. Zinzi e Molinari chiedono al ministero del Made in Italy un piano per ridurre i saloni dove la quota supera la soglia fissata. Obiettivo dichiarato: difendere il settore. Obiettivo percepito: colpire la concorrenza straniera.

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        “Prima i parrucchieri italiani”. Non è ancora uno slogan, ma poco ci manca. La Lega ha depositato alla Camera una proposta di legge che punta a introdurre il “contingentamento progressivo delle autorizzazioni per l’attività di acconciatore, barbiere e parrucchiere”. Tradotto: fissare un tetto massimo alle licenze e, laddove venga superato, ridurre il numero di saloni. Soprattutto quelli gestiti da titolari stranieri, percepiti come troppi e “troppo competitivi” rispetto ai negozi italiani tradizionali.

        La firma è quella del deputato leghista Gianpiero Zinzi, sostenuto dal capogruppo Riccardo Molinari. Un’iniziativa che rievoca vecchi slogan di partito e si inserisce in una battaglia simbolica: proteggere le attività storiche, difendere il “made in Italy” anche quando si parla di tagli di capelli e pieghe. Il testo chiede al ministero del Made in Italy di elaborare un “piano di riduzione” nei territori dove i saloni superano la soglia ritenuta sostenibile.

        La ratio del provvedimento
        Secondo i promotori, l’esplosione di negozi — in particolare nelle grandi città e nelle periferie — avrebbe generato concorrenza sleale, abbassamento dei prezzi e difficoltà per gli esercizi storici a sopravvivere. L’obiettivo dichiarato è preservare qualità, professionalità, tradizione, tutelando chi opera da anni e paga affitti e contributi elevati.

        Ma il sottotesto è evidente: la crescita dei saloni gestiti da imprenditori stranieri, spesso con costi più contenuti e orari molto flessibili, ha cambiato il mercato. E la Lega prova a riportarlo indietro, o almeno a ingabbiarlo.

        Un’idea che divide
        Il mondo dell’impresa osserva. Le associazioni di categoria sottolineano la necessità di combattere l’abusivismo e garantire concorrenza leale, ma molti storcono il naso davanti all’idea di contingentare licenze in un settore commerciale. Alcuni amministratori locali ricordano che norme simili furono abolite anni fa proprio per evitare distorsioni.

        E tra gli addetti ai lavori emerge un interrogativo semplice: davvero chiudere negozi — o impedirne di nuovi — è la risposta al problema della qualità? In un mercato che vive di fidelizzazione e servizio, la legge del cliente resta spesso più forte di quella dello Stato.

        Per ora la battaglia è sul tavolo parlamentare. E mentre in Parlamento si discute di tetti e quote, nei quartieri italiani i parrucchieri continuano a fare quello che sanno fare meglio: tagliare, pettinare, ascoltare. Con phon e forbici, più che con i decreti.

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          Italia

          Addio ai quiz a fortuna: la riforma della patente cambia il modo di diventare automobilisti

          Matteo Salvini annuncia una revisione profonda dell’esame di guida: meno casualità, più competenze reali e attenzione alla sicurezza.

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          patente

            La riforma dell’esame per la patente di guida promette di rivoluzionare il modo in cui gli italiani si preparano a mettersi al volante. L’annuncio è arrivato dal ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti Matteo Salvini, nel corso del forum di Conftrasporto-Confcommercio, dove ha anticipato una svolta destinata a superare un sistema considerato da molti obsoleto e troppo legato al caso.

            “Entro la fine del mio mandato conto di arrivare a un esame aggiornato che non sia la ruota della fortuna”, ha dichiarato il ministro, sintetizzando così la filosofia della riforma: meno casualità nei quiz teorici, più attenzione alle competenze effettive e alle abilità pratiche di guida.

            Tre pilastri per un nuovo modello

            Il progetto di revisione si muove su tre direttrici principali. La prima riguarda l’aggiornamento dei contenuti dell’esame, che dovranno riflettere la mobilità di oggi: auto ibride ed elettriche, sistemi di assistenza alla guida, nuove norme di sicurezza e convivenza tra diversi mezzi su strada.

            La seconda punta a garantire uniformità nelle procedure tra le motorizzazioni di tutto il Paese, eliminando quelle disuguaglianze territoriali che spesso rendono l’ottenimento della patente più complesso in alcune regioni rispetto ad altre.

            Infine, un punto chiave sarà la riduzione della componente casuale nei quiz, per restituire al test teorico il suo vero ruolo: quello di valutare la preparazione del candidato, non la fortuna.

            Il “bonus patente” per i futuri professionisti

            Accanto alla riforma dell’esame, il governo ha confermato la prosecuzione e il potenziamento del “bonus patente”, un incentivo economico già introdotto per favorire l’accesso alle patenti professionali (C, D, CE e CQC). La misura, rivolta soprattutto ai giovani tra i 18 e i 35 anni, consente di coprire fino all’80% dei costi di formazione e di ottenere le qualifiche necessarie per lavorare nel settore dei trasporti, oggi gravemente colpito dalla mancanza di autisti qualificati.

            Le associazioni di categoria hanno accolto positivamente l’annuncio, definendo la riforma un passo indispensabile verso la modernizzazione del sistema. Tuttavia, chiedono chiarezza sui tempi e sulle risorse disponibili, sottolineando che la transizione richiederà investimenti per aggiornare le autoscuole e formare nuovi istruttori.

            Guardando all’Europa

            Il governo italiano, spiegano fonti del Mit, sta studiando i modelli già adottati in altri Paesi europei. In Germania, ad esempio, il percorso formativo include test di percezione del rischio e prove su strada più articolate, mentre nel Regno Unito la valutazione delle competenze si concentra anche sul comportamento del conducente in situazioni di traffico reale.

            Resta da capire quale approccio sarà scelto per l’Italia: un sistema ispirato ai modelli esteri o un format originale, calibrato sulle peculiarità della mobilità nazionale, dove l’elevato numero di motocicli, microcar e mezzi elettrici leggeri impone nuove regole di convivenza.

            Una sfida di equilibrio

            La vera sfida, sottolineano gli esperti del settore, sarà trovare un equilibrio tra rigore e accessibilità. L’obiettivo è migliorare la sicurezza stradale senza rendere più difficile o costoso ottenere la patente, specialmente per i giovani e per chi cerca nuove opportunità di lavoro.

            Il ministero ha promesso tempi brevi per la definizione dei dettagli tecnici della riforma e una sperimentazione graduale già nel 2026, ma resta da chiarire la portata delle modifiche e i finanziamenti necessari per accompagnare la transizione.

            Se le promesse saranno mantenute, la nuova patente “senza fortuna” segnerà l’inizio di una stagione di maggiore responsabilità e preparazione alla guida. Un cambiamento che, nelle intenzioni del governo, mira non solo a formare automobilisti più consapevoli, ma anche a costruire un sistema più giusto, trasparente e vicino alle esigenze della mobilità moderna.

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              Italia

              Intelligenza artificiale, truffe reali: deepfake di Giorgia Meloni sui social, la premier clonata promette guadagni facili

              Voci, espressioni e sorrisi perfettamente ricostruiti: nei deepfake la premier assicura guadagni da 30 mila euro al mese con un investimento di 250 euro. Indagini in corso sul fenomeno, già intercettato da agenzie di cybersicurezza internazionali.

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                Giorgia Meloni in studio con Francesco Giorgino, intervistata sul futuro dell’Italia, mentre sponsorizza una piattaforma di trading “garantita dal governo”. Tutto perfetto, realistico, impeccabile. Peccato che sia tutto falso.

                Tre video deepfake — prodotti con tecniche di intelligenza artificiale e già in circolazione sui social — mostrano la presidente del Consiglio in ambientazioni credibili, con voce e volto ricostruiti in maniera quasi indistinguibile dall’originale. Nelle clip la premier si presta a uno spot fraudolento: «Tutti hanno diritto a ricevere un aiuto fino a 3 mila euro al mese, basta registrarsi e versare 250 euro», afferma sorridendo.

                In un altro filmato, ambientato in una finta intervista al Tg5 con Simona Branchetti, la presidente ribadisce: «Io stessa sono coinvolta in questo progetto e questo mese ho guadagnato 40 mila euro. Basta un piccolo investimento e la registrazione sarà attiva».

                Il dettaglio che inquieta è la precisione: la voce della Meloni è sincronizzata alla perfezione, lo sguardo e i sorrisi sono quelli veri. È l’avanguardia del deepfake, un salto di qualità che rende sempre più difficile distinguere realtà e artificio.

                Dietro, il solito meccanismo: i truffatori inseriscono link che promettono facili guadagni, portando invece a piattaforme che raccolgono dati personali e, passo dopo passo, arrivano fino ai conti correnti degli utenti.

                La Protective Intelligence Network di Singapore, guidata dall’ex poliziotto italiano Angelo Bani, ha intercettato i video e li ha segnalati al Global Anti-Scam Summit di Londra. «In Italia c’è un bombardamento di deepfake contro figure pubbliche, specialmente del governo», ha spiegato. Anche Sensity.ai, società italiana specializzata in cybersicurezza, ha registrato un’impennata di casi.

                Non è la prima volta che i deepfake colpiscono personaggi noti, ma questa è la prima volta che un presidente del Consiglio italiano viene clonato con questa precisione, in un’operazione studiata per sembrare più vera del vero. E il messaggio subliminale è fin troppo chiaro: non si può più credere nemmeno ai propri occhi.

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