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Italia

Chiara Ferragni paga la multa per il pandoro, tace e spera nell’oblio

Chiara Ferragni, travolta dagli scandali delle uova di Pasqua e del pandoro “Pink Christmas”, decide di pagare senza fare troppe storie. La politica dello struzzo funzionerà per far dimenticare ai fan i suoi pasticci?

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    Dopo essersi professata innocente e aver parlato di un malinteso, l’ex influencer più famosa del mondo, Chiara Ferragni, ha deciso di gettare la spugna. Rinuncia a difendersi e sceglie di pagare la multa di oltre un milione di euro comminata dall’Antitrust per pubblicità ingannevole legata al pandoro “Pink Christmas”. Senza una parola, proprio come aveva fatto con lo scandalo delle uova di Pasqua, sembra sperare che la strategia di nascondere la testa sotto la sabbia faccia dimenticare ai suoi fedeli fan tutti i pasticci e le truffette emerse negli ultimi mesi.

    Il Tar del Lazio ha preso atto della decisione di Ferragni e delle sue società – “Fenice Srl” e “Tbs Crew Srl” – di rinunciare ai ricorsi contro l’Agcm. Il 5 luglio, l’imprenditrice digitale aveva formalmente presentato la rinuncia alla richiesta di annullamento della sanzione.

    Il caso Balocco: una storia diversa

    Nell’udienza di oggi, il Tar ha anche discusso il ricorso amministrativo di Balocco Spa, multata con 420mila euro. A differenza di Ferragni, l’azienda dolciaria piemontese ha ottenuto un rinvio “a data da destinarsi”, proposto dai suoi avvocati.

    Pasqua e la nuova multa: il sequel delle uova di cioccolato

    Non è finita qui: Chiara Ferragni ha trovato un accordo con l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato per la sponsorizzazione delle uova di cioccolato con Giochi Preziosi nelle Pasque del 2021 e 2022. L’Antitrust sospettava che la pubblicità ingannevole facesse credere ai consumatori che parte del ricavato delle vendite andasse in beneficenza, quando in realtà i soldi erano già stati versati prima dell’inizio delle vendite.

    Ferragni pagherà 1,2 milioni di euro all’associazione “I bambini delle fate” e ha preso impegni per le sue società per evitare ulteriori grane. In cambio, l’Antitrust ha deciso di non portare avanti il procedimento.

    La versione di Chiara Ferragni

    Ovviamente, Chiara Ferragni non poteva mancare di comunicare la sua versione dei fatti sui social. Sul sito chiaraferragnibrand, ha spiegato che il pagamento di 1,2 milioni di euro è un “contributo economico volontario, una donazione e non una sanzione”. Ha anche assicurato che le sue società separeranno totalmente le operazioni commerciali dalle attività benefiche, con nuove regolamentazioni interne per il marketing e la comunicazione.

    Riuscirà questa strategia a far dimenticare ai suoi fan i recenti pasticci? Solo il tempo (e qualche altro post sui social) lo dirà.

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      Italia

      Autovelox e Tutor, quando finisce la rilevazione della velocità media?

      La questione della segnalazione dei tratti di rilevazione della velocità media e l’uso di autovelox non omologati sollevano importanti interrogativi sulla trasparenza e la legittimità delle pratiche di controllo della velocità. Una normativa più chiara e lineare, come suggerito da esperti e associazioni di consumatori, potrebbe risolvere molte delle attuali controversie e migliorare la fiducia del pubblico nelle misure di sicurezza stradale.

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      Tutor deve rivelare dove termina il limite di velocità

        Un recente caso giudiziario ha sollevato domande cruciali sull’obbligo di segnalare la fine dei tratti di rilevazione della velocità media con Tutor, alimentando dubbi e preoccupazioni tra automobilisti e motociclisti.

        La vicenda del Tribunale di Latina

        Un automobilista multato per aver superato la velocità media di 90 km/h su una strada a Sannino (Latina) ha fatto ricorso, sostenendo che la segnalazione non era adeguata. Il Tribunale di Latina ha annullato la sanzione, ritenendo che la segnalazione generica di “controllo della velocità” non fosse sufficiente a informare gli automobilisti che veniva rilevata la velocità media, come richiesto dall’articolo 142 del Codice della Strada.

        Per la Cassazione non c’è obbligo di segnalare la fine della rilevazione

        La Corte di Cassazione ha però ribaltato questa decisione, accogliendo il ricorso del Comune di Sannino sostenuto dalla Procura generale. La Cassazione ha stabilito che la normativa prevede solo l’obbligo di segnalare l’inizio del tratto controllato da dispositivi di rilevamento della velocità, Tutor, senza ulteriori specificazioni riguardo la fine del tratto.

        Cosa dicono gli esperti. Come ci dobbiamo comportare?

        Fabio Galli, un esperto di Codice della Strada, critica la decisione della Cassazione, sottolineando che la norma parla di “tratti determinati“, implicando che dovrebbero essere chiaramente indicati sia l’inizio che la fine della rilevazione. Suggerisce che una lettura preventiva e chiarificatrice della norma potrebbe essere richiesta al Ministero dell’Interno o attraverso un’istanza presentata da un’associazione di tutela dei consumatori.

        Il mistero degli autovelox sequestrati

        Parallelamente, la questione degli autovelox illegali ha portato a sequestri in tutta Italia, in luoghi come Venezia, Vicenza e Modena. Le apparecchiature in questione non erano omologate correttamente, rendendo illegittime le multe emesse. I consumatori possono fare ricorso se non hanno ancora pagato o se sono entro i termini per impugnare le sanzioni. Il Codacons ha annunciato azioni legali per il danno erariale e per tutelare i diritti dei consumatori, sostenendo che la sicurezza stradale deve essere garantita nel rispetto delle leggi e con strumenti omologati.

        Insomma non riusciamo a venirne fuori serenamente

        La questione della segnalazione dei tratti di rilevazione della velocità media e l’uso di autovelox non omologati sollevano importanti interrogativi sulla trasparenza e la legittimità delle pratiche di controllo della velocità. Una normativa più chiara e lineare, come suggerito da esperti e associazioni di consumatori, potrebbe risolvere molte delle attuali controversie e migliorare la fiducia del pubblico nelle misure di sicurezza stradale.

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          Italia

          Guerra a colpi di forchetta: pastasciutta antifascista contro risotto nero anticomunista

          A Omegna, la tradizionale “pastasciutta antifascista” scatena la reazione dei nostalgici: nasce il “risotto anticomunista”. Una provocazione culinaria che riapre ferite ideologiche. E fa saltare la tregua a tavola.

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            C’è chi serve la memoria con burro e Parmigiano. E chi risponde con il nero di seppia. A Omegna, in Piemonte, il 25 luglio si avvicina e, come ogni anno, torna la “pastasciutta antifascista”, piatto simbolo della fine del regime mussoliniano. Ma quest’anno la Resistenza va di traverso alla destra locale, e qualcuno ha deciso di ribaltare il menù: Luigi Songa, ex Fratelli d’Italia, propone un’alternativa dal retrogusto polemico. Il risotto nero “anticomunista”. Così, quello che doveva essere un pranzo popolare è diventato uno scontro ideologico. Di quelli che fanno rumore anche con le posate.

            Songa non ci sta. A farlo insorgere è l’inserimento dell’evento nel calendario delle attività turistiche del Comune. “Non è cultura, è politica”, tuona. E invece di organizzare un comizio, sfodera la padella. Risultato: un piatto che sa più di provocazione che di tradizione. E che sui social diventa subito meme: tagliatelle liberali, tortellini sovranisti, lasagne identitarie. Benvenuti nell’Italia in cui ogni ricetta è uno schieramento.

            Ma attenzione: la pastasciutta antifascista non nasce ieri. È il gesto dei fratelli Cervi, nel 1943, per celebrare la caduta di Mussolini. Da allora si ripete in oltre 300 piazze, e ogni anno trova nuovi estimatori. Ma anche nuovi nemici. Come il deputato Urzì (FdI), che in Trentino si è indignato: “Pure in vacanza ti servono l’antifascismo nel piatto!”. C’è chi brontola per le multe ai volontari, chi per i patrocini negati. Ma la sostanza non cambia: la pastasciutta divide.

            A Omegna, il sindaco ha già scelto da che parte stare: “Io ci sarò. È un gesto simbolico. E se fa discutere, meglio: almeno ricorda chi ci ha permesso oggi di parlare, anche di risotti polemici”. Intanto Songa rincara: “Il prossimo 28 aprile cucino la pasta in bianco per Mussolini”. E no, non è satira: è propaganda spadellata.

            Morale? Nessuna. Solo che in Italia persino un piatto di maccheroni può diventare un atto politico. E che, nel dubbio, la libertà si difende anche a tavola. Con la forchetta ben affilata.

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              Italia

              Urbano Cairo prepara il colpaccio: via Report dalla Rai, Ranucci verso La7. E il Corriere molla Meloni

              Sigfrido Ranucci verso La7, dopo mesi di silenzi forzati e bastoni tra le ruote in Rai. Il suo arrivo è il fiore all’occhiello della campagna acquisti dell’editore, che nel frattempo prepara anche il restyling del Corriere della Sera: basta centrismo molle, via ai giornalisti d’assalto. Perché il melonismo, in edicola e in prima serata, non buca più.

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                Siete pronti? Via. È partita la campagna acquisti più rovente dell’estate. Non parliamo del calciomercato, ma della corsa di Urbano Cairo a sinistra. L’editore di La7 (e del Corriere della Sera) ha deciso che il melonismo non vende e si prepara a fare spazio in palinsesto – e in redazione – a firme e volti che Giorgia non vorrebbe nemmeno al cenone di Natale.

                Obiettivo numero uno: Sigfrido Ranucci. La Rai lo considera un corpo estraneo, un parente scomodo da evitare alle cene istituzionali. Tagli di puntate, slittamenti, commissariamenti, provvedimenti disciplinari: in Viale Mazzini stanno facendo di tutto per farlo stancare. E lui, da par suo, si guarda intorno. E guarda proprio verso La7. L’idea è già scritta sulla lavagna di Cairo: prima serata del lunedì, un nuovo nome (perché il brand Report è della Rai), e una seconda serata sperimentale – tipo Report-Lab – dove coltivare giovani segugi dell’inchiesta.

                A contorno, libri editi da Solferino, un piano social che sfrutti la macchina da sei milioni di follower che Ranucci e i suoi si sono costruiti in anni di servizio pubblico. Cairo non conferma, ma ammicca. E quando gli chiedono di Report, si limita a dire: “È un programma di qualità”. Tradotto: sto apparecchiando la tavola, vediamo se Ranucci si siede.

                E non è finita. Perché mentre sogna di portare l’uomo delle inchieste a La7, Urbanetto pensa anche al lifting del Corriere della Sera. Basta editoriali soft sul governo, basta moderatismo sussurrato. Il centrodestra ha già i suoi giornaletti da battaglia (Libero, Il Giornale, La Verità). Il Corriere deve tornare a graffiare. E allora ecco l’operazione restyling: direttore in uscita (Luciano Fontana), Sarzanini in pole, e voci di nuovi innesti dalla sinistra investigativa: Valeria Pacelli, Giacomo Salvini, Simone Canettieri.

                Il messaggio è chiaro: chi copia il melonismo non vince. E se perfino Cairo lo ha capito, forse è già tardi per chi sperava di cavalcare la stagione sovranista. Il vento è cambiato, e l’editore di La7 – come sempre – fiuta da che parte conviene schierarsi.

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