Italia
L’Amerigo Vespucci rischiò di finire incastrata sotto un ponte (ma fu salvata da un burbero nostromo)
Nel 1987, la leggendaria nave scuola italiana evitò un disastro grazie alla prontezza di Mario Garuti. Un istante di esitazione avrebbe potuto cambiare la storia.

Le immagini della nave scuola messicana Cuauhtémoc, incastrata sotto il ponte di Brooklyn con gli alberi spezzati, hanno fatto il giro del mondo. L’incidente è costato la vita a due marinai. Un errore di calcolo? Un’avaria fatale? La risposta arriverà dai periti, ma il dramma ci ricorda che in mare, a volte, pochi secondi fanno la differenza tra un incidente e un salvataggio miracoloso. Nel manovrare vascelli cosi complessi si verificano momenti in cui, nonostante i calcoli, le previsioni e le programmazioni, l’imprevisto costringe a decisioni veloci. Bastano pochi secondi di esitazione per fare la differenza tra la salvezza e il disastro. Un episodio simile a quello di Brooklyn sfiorò l’Amerigo Vespucci nel 1987, durante una sosta nel porto di Bordeaux, in Francia. Un guasto improvviso, le correnti della Garonna e un ponte pericolosamente basso: tutto sembrava pronto per un disastro degno delle peggiori figuracce internazionali.
La prontezza del nostromo salvo il veliero Vespucci
Ma Mario Garuti, nostromo della Vespucci da 13 anni, non era tipo da farsi prendere dal panico. Burbero e rispettato da tutti e soprattutto dalle decine di allievi e nocchieri, uomo di grande esperienza a cui anche gli ufficiali si rivolgevano con rispetto ebbe un’intuizione fulminea: dare fondo all’ancora immediatamente. Un ordine anticipato di pochi secondi rispetto a quello che sarebbe arrivato dalla plancia, ma sufficiente per fermare la nave prima che fosse troppo tardi. Il ponte non ebbe la meglio sulla Vespucci. Grazie alla prontezza di Garuti, il veliero restò intatto e i giovani ufficiali dell’Accademia Navale impararono una lezione fondamentale: in mare, l’esperienza è spesso più preziosa della tecnologia. “Il mare richiede una lotta continua e nessun attrezzo può sostuire l’uomo“, aveva detto lui a uno dei tanti cronisti saliti a bordo sul Vespucci per raccontare questa nave straordinaria. Il nostromo Garuti se n’è andato nel 2022, all’età di 77 anni ma il suo ricordo vive ancora nei racconti di chi lo ha conosciuto.
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Italia
Salmoni e polemiche: il caso Michela Brambilla e il commercio ittico che fa discutere
La deputata animalista è al centro di un’inchiesta di Report sui suoi legami con un’azienda di commercio di salmoni e gamberetti, Food From the World. Tra sanzioni per mancata tracciabilità e un packaging che porta il marchio della sua azienda vegana, la polemica è servita.

Una deputata nota per le sue battaglie in difesa degli animali, un’azienda che commercia salmoni e gamberetti, una telecamera che svela retroscena inquietanti. La storia che emerge dall’ultima inchiesta di Report su Michela Brambilla ha tutto il sapore di una contraddizione difficile da digerire. L’inchiesta, dal titolo “Salmoni Io-Veg” mostra immagini impressionanti degli allevamenti di salmoni in Scozia. Pesci divorati dai pidocchi, con code mutilate e occhi esplosi, scene che raccontano l’orrore di una filiera spesso nascosta agli occhi del consumatore.
Io veg, e tu? Brambilla!
Ma il vero colpo di scena arriva quando l’inchiesta si sofferma su Food From the World, un’azienda di commercio ittico che, stando alle ricostruzioni di Report, farebbe capo alla Brambilla. Il suo nome non compare direttamente nei documenti, ma l’azienda ha sede nel capannone di Brivio, in provincia di Lecco, dove risiede anche Io-Veg, la società di prodotti vegani della deputata. Dopo una prima indagine di Report, la Ats Brianza ha sanzionato Food From the World per la mancata tracciabilità del prodotto: sulle confezioni di salmone non era presente il bollino che certifica la sede di imballaggio. E così, mentre l’azienda cercava di rimediare, sulle confezioni è apparso un nuovo codice: quello di Io-Veg, l’azienda vegana di Brambilla.
Un salmone venduto con il marchio di un’azienda vegana?
La domanda sorge spontanea: come può un salmone essere venduto sotto il marchio di un’azienda vegana? La confusione si alimenta, e la polemica è inevitabile. Brambilla ha costruito la sua immagine pubblica sulla lotta per i diritti degli animali e sulla promozione di uno stile di vita cruelty-free. Il collegamento con un’attività che tratta prodotti ittici solleva interrogativi sulla coerenza della sua missione. Alcuni difendono la deputata, ipotizzando che si tratti solo di un contratto commerciale tra due aziende. Altri, invece, criticano aspramente la situazione, definendola un’operazione che rischia di minare la credibilità del movimento animalista.
Intanto in Scozia…
Intanto, in Scozia, il Parlamento sta discutendo su come affrontare la crisi negli allevamenti di salmoni, un settore che sta diventando sempre più problematico a causa delle malattie, dei cambiamenti climatici e delle infestazioni parassitarie. Mentre il dibattito sulla sostenibilità della pesca industriale si accende, la storia della Brambilla aggiunge un elemento di ambiguità che lascia spazio a dubbi e riflessioni. Possiamo sempre fidarci di chi si proclama paladino degli animali?
Italia
Quel missionario diventato Leone XIV sfidò le bombe per restare accanto al popolo peruviano
Da giovane sacerdote agostiniano, Robert Prevost affrontò le minacce di Sendero Luminoso e scelse di non abbandonare la sua comunità in Perù.

Prima di diventare Papa Leone XIV, Robert Prevost era un giovane missionario con lo spirito ribelle e la determinazione di chi non abbandona la propria gente. Arrivato in Perù nel 1985, in uno dei periodi più bui della storia del Paese, affrontò direttamente le minacce del gruppo guerrigliero maoista Sendero Luminoso, che cercò di allontanarlo con intimidazioni e atti di violenza. Ma Prevost non si fece spaventare. Quando una bomba distrusse la porta della chiesa in cui celebrava messa e le autorità ecclesiastiche gli consigliarono di fuggire, decise di rimanere accanto alla sua comunità. La gente correva da lui, lo ascoltava, lo seguiva nei pellegrinaggi, nei giochi, nelle preghiere.
Un sacerdote fuori dagli schemi
Arrivato a Chulucanas, una città ai margini della giungla, Prevost non era il classico sacerdote austero e distante. Portava jeans, parlava uno spagnolo incerto e giocava a basket con i ragazzi. Hector Camacho, che all’epoca era un giovane chierichetto, lo ricorda come un prete capace di coinvolgere tutti: organizzava attività sportive, assumeva allenatori di karate e nuoto, accompagnava i giovani in spiaggia. Ma la sua vera missione era dare speranza alla comunità e guidarla tra le difficoltà. Lottò per proteggere la sua gente dalla violenza e per costruire una comunità fondata sulla solidarietà, resistendo alle pressioni esterne che volevano costringerlo a lasciare il Paese.
La minaccia e la scelta di restare
Durante la sanguinosa guerra tra Sendero Luminoso e il governo, la Chiesa era spesso bersaglio di attacchi. Molti sacerdoti nordamericani furono minacciati di morte e invitati ad abbandonare le loro parrocchie entro 24 ore, altrimenti sarebbero stati uccisi.Eppure, nessuno di loro lasciò il Perù. Prevost e i suoi compagni rimasero, convinti che il loro ruolo fosse troppo importante per abbandonare le persone che si affidavano a loro. Cristobal Mejia, oggi vescovo di Chulucanas descrive il futuro Leone XIV come un uomo studioso, profondo e determinato, sempre pronto a viaggiare nelle zone rurali per portare conforto e aiuto. Nel 2015 ottenne la cittadinanza peruviana, dimostrando ancora una volta il suo legame indissolubile con il Paese.
Un pastore che odorava di pecora
Il suo impatto sulla comunità è stato così forte che ancora oggi viene descritto come “un pastore che ha odore di pecora”. Un’espressione usata per indicare un leader spirituale che non si è mai distanziato dal suo popolo. Il sacerdote Oscar Antonio Murillo Villanueva racconta che Prevost non rimase mai in silenzio davanti alle ingiustizie. Denunciò i massacri, le inondazioni e l’inerzia dei governi, schierandosi sempre dalla parte dei più deboli. Camacho, il chierichetto che ha vissuto quei momenti al suo fianco, racconta che quando sua madre morì, Prevost rimase incredibilmente calmo, accettando il dolore con fede e serenità.
Fu lo stesso Camacho a chiedere il permesso di dare a sua figlia il nome della madre di Prevost, e il futuro Papa accettò con gioia, diventandone anche il padrino. Mildred Camacho, oggi 29enne e madre di famiglia, conserva ancora le lettere ricevute da lui, dove le raccontava dei suoi viaggi e delle sue missioni. “Mi ha sempre chiesto di tenerlo nelle mie preghiere, così come lui teneva noi nelle sue”, dice mostrando le foto che le inviava.
Italia
Suore in fuga nella battaglia del convento: accuse di gestione sospetta
A Vittorio Veneto, un gruppo di suore ha lasciato il monastero di San Giacomo di Veglia denunciando l’intestazione improvvisa dei conti del convento e un clima di ostilità. Il Vaticano commissaria la struttura, tra polemiche e tensioni.

Nel cuore del monastero di San Giacomo di Veglia, a Vittorio Veneto, si è consumata una vicenda che sembra uscita da una telenovelas. E invece è una storia reale fatta di tensioni, accuse reciproche e una fuga notturna di un gruppo di suore.Tutto ha avuto inizio con una lettera inviata due anni fa a Papa Francesco da quattro suore, che denunciavano presunti maltrattamenti e comportamenti non consoni all’interno della comunità. Dopo diverse ispezioni e indagini, il Vaticano ha deciso di commissariare il convento e di sostituire la badessa Aline Pereira Ghammachi, 41 anni, con una figura più anziana.
Situazione degenerata
Alcune suore hanno denunciato la sparizione di fondi, sostenendo che i nuovi incaricati avrebbero intestato a loro stessi i conti bancari e postali del monastero, per un ammontare di oltre 200mila euro, privandole di qualsiasi controllo sulle risorse della comunità. “Ci hanno esautorato completamente. Spariti i contanti che suor Aline aveva nella sua cella”, hanno dichiarato due delle undici suore fuggite di notte, raccontando di un clima sempre più ostile che le ha costrette a lasciare il convento senza soldi e senza una destinazione certa.
Il convento e le suore fuggitive
Le suore parlano di accanimento contro la loro comunità, che prima si autogestiva secondo lo spirito benedettino, e ora è stata stravolta dall’intervento del Vaticano. Secondo la loro versione, l’abate Lepori avrebbe spezzato l’armonia e imposto nuove regole che hanno portato alla rottura definitiva. Risultato? Una fuga organizzata come un’uscita di prigionieri. Le suore infatti hanno portato di nascosto i bagagli fuori dal convento, allontanandosi alle prime luci del giorno e passando dai carabinieri per notificare l’accaduto. “Siamo scappate senza nemmeno i soldi per la spesa”, raccontano. E aggungono che molte delle attività che facevano parte del convento—come l’orto gestito da ragazzi disabili—sono già state sospese.
Quale futuro per il monastero?
Secondo le suore fuggite, la comunità rimasta nel convento è composta perlopiù da anziane, che faticheranno a gestire tutte le attività senza aiuti esterni. Ritengono che la chiusura sia solo questione di tempo, visto che la nuova badessa ha deciso di allontanare i collaboratori esterni. E soprattutto di ridimensionare, se non annullare, la vita del monastero. E così mentre le gerarchie vaticane difendono la decisione del commissariamento, le suore fuggite continuano a denunciare quanto accaduto, parlando di una realtà distrutta e di un sistema di controllo imposto che ha cancellato lo spirito originale della comunità.
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