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Italia

Scuole estive, che si fa?

Il Ministro dell’Istruzione e del Merito, Giuseppe Valditara, ha firmato il decreto che stanzia 400 milioni di euro per finanziare le scuole estive. Come? Attraverso le attività di inclusione, socialità e potenziamento delle competenze per il periodo di sospensione estiva delle lezioni. Un provvedimento valido sia quello in corso sia il prossimo anno scolastico.

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    Il Ministro dell’Istruzione e del Merito, Giuseppe Valditara, ha firmato il decreto che stanzia 400 milioni di euro per finanziare le scuole estive. Come? Attraverso le attività di inclusione, socialità e potenziamento delle competenze per il periodo di sospensione estiva delle lezioni. Un provvedimento valido sia quello in corso sia il prossimo anno scolastico.

    Ora sono le scuole a doversi muovere

    Le scuole italiane sono circa 8000 una in più una in meno dalla materna alle superiori. I progetti per cui sono stati stanziati i 400 milioni dal Ministero si attivano in base alle proposte delle scuole. I fondi coprirebbero 1,714 milioni di ore aggiuntive di attività per coinvolgere un numero di studenti compresi tra 800 mila e 1,3 milioni. Attualmente sono 7.194.400 gli studenti italiani che seguono un piano di formazione statale dalla scuola materna alle superiori.

    Accordi con comunità locali, terzo settore ed enti pubblici

    Ma ai soldi del Ministero se ne potranno aggiungere altri derivati da precisi accordi che i comprensori scolastici o le singole scuole potranno sottoscrivere con diversi attori. Dagli enti locali alle università, dalle organizzazioni di volontariato e del terzo settore alle associazioni sportive e le stesse famiglie.

    E i docenti chi li paga?

    Naturalmente i docenti dovranno essere remunerati. Ma come? Chi deciderà di aderire su base volontaria ai progetti potrà essere remunerato nei limiti delle risorse disponibili per i moduli didattici attivati. “Le scuole potranno, in aggiunta ai 400 milioni stanziati, utilizzare ulteriori fondi per i progetti estivi, attingendo ai 750 milioni Pnrr del contrasto alla dispersione scolastica”, si legge nel decreto. Decreto che oltre ad arginare la dispersione punta al superamento dei divari territoriali con ulteriori 600 milioni Pnrr per realizzare azioni di potenziamento delle competenze STEM.

    Milioni di famiglie coinvolte

    Naturalmente quello dei periodi estivi è un problema che interessa milioni di famiglie. I tre mesi di pausa scolastica purtroppo non si concilia più con i tempi lavorativi dei genitori . Ciò comporta che molte famiglie in mancanza di valide alternative sul territorio sono costrette a investire parecchi denari. Campi estivi e attività alternative per i ragazzi da metà giugno a metà settembre ce ne sono diverse ma tutte a pagamento.

    Mamme pronte alla battaglia

    Associazioni come WeWorld Onlus e Mamme di Merda, di Sarah Malnerich e Francesca Fiore, chiedono un cambio dell’intero calendario scolastico con il solo stop nei mesi di luglio e agosto. Mesi comunque non coperti dalle ferie per molti genitori a cui aggiungere altre pause durante l’anno scolastico. Inoltre ospitare anche d’estate gli alunni a scuola andrebbe ad alimentare il carico di lavoro degli insegnanti e la naturale stanchezza dei ragazzi cotti già all’inizio di giugno.

    In una recente intervista Greta Nicolini di WeWorld, spiega come la scuola non è certamente un parcheggio, ma è una delle istituzioni fondanti la nostra società, in cui bambini, bambine e adolescenti ricevono un’educazione che non si limita alle nozioni, ma si apre anche a esperienze culturali, sportive, sociali, relazionali. “L’interruzione della scuola per tre mesi, insieme al blocco di tutte le attività extra-scolastiche, per tanti e tante di loro comporta l’assenza di stimoli e relazioni sociali. La partecipazione a centri ricreativi dipende non solo dall’offerta sul territorio, ma anche dalle possibilità socioeconomiche e dal livello di istruzione delle famiglie. Diversi studi dimostrano che mesi di competenze acquisite durante l’anno spesso vanno perduti. E ciò è vero soprattutto per studenti che provengono da famiglie meno abbienti e istruite. Per loro il tempo a scuola è ancora più prezioso”.

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      Italia

      Intelligenza artificiale, truffe reali: deepfake di Giorgia Meloni sui social, la premier clonata promette guadagni facili

      Voci, espressioni e sorrisi perfettamente ricostruiti: nei deepfake la premier assicura guadagni da 30 mila euro al mese con un investimento di 250 euro. Indagini in corso sul fenomeno, già intercettato da agenzie di cybersicurezza internazionali.

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        Giorgia Meloni in studio con Francesco Giorgino, intervistata sul futuro dell’Italia, mentre sponsorizza una piattaforma di trading “garantita dal governo”. Tutto perfetto, realistico, impeccabile. Peccato che sia tutto falso.

        Tre video deepfake — prodotti con tecniche di intelligenza artificiale e già in circolazione sui social — mostrano la presidente del Consiglio in ambientazioni credibili, con voce e volto ricostruiti in maniera quasi indistinguibile dall’originale. Nelle clip la premier si presta a uno spot fraudolento: «Tutti hanno diritto a ricevere un aiuto fino a 3 mila euro al mese, basta registrarsi e versare 250 euro», afferma sorridendo.

        In un altro filmato, ambientato in una finta intervista al Tg5 con Simona Branchetti, la presidente ribadisce: «Io stessa sono coinvolta in questo progetto e questo mese ho guadagnato 40 mila euro. Basta un piccolo investimento e la registrazione sarà attiva».

        Il dettaglio che inquieta è la precisione: la voce della Meloni è sincronizzata alla perfezione, lo sguardo e i sorrisi sono quelli veri. È l’avanguardia del deepfake, un salto di qualità che rende sempre più difficile distinguere realtà e artificio.

        Dietro, il solito meccanismo: i truffatori inseriscono link che promettono facili guadagni, portando invece a piattaforme che raccolgono dati personali e, passo dopo passo, arrivano fino ai conti correnti degli utenti.

        La Protective Intelligence Network di Singapore, guidata dall’ex poliziotto italiano Angelo Bani, ha intercettato i video e li ha segnalati al Global Anti-Scam Summit di Londra. «In Italia c’è un bombardamento di deepfake contro figure pubbliche, specialmente del governo», ha spiegato. Anche Sensity.ai, società italiana specializzata in cybersicurezza, ha registrato un’impennata di casi.

        Non è la prima volta che i deepfake colpiscono personaggi noti, ma questa è la prima volta che un presidente del Consiglio italiano viene clonato con questa precisione, in un’operazione studiata per sembrare più vera del vero. E il messaggio subliminale è fin troppo chiaro: non si può più credere nemmeno ai propri occhi.

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          Italia

          Torna l’ora solare: nel 2025 il cambio d’orario arriva prima

          Nessuna nuova legge o cambiamento di regole: è il calendario a farci anticipare il ritorno all’ora solare, che porterà giornate più corte e qualche effetto sul nostro equilibrio biologico.

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            Nel 2025 torneremo all’ora solare con un giorno d’anticipo rispetto all’anno scorso. Niente decisioni politiche o nuove direttive europee: si tratta semplicemente di un effetto del calendario. L’ultima domenica di ottobre, infatti, cadrà il 26 ottobre e non il 27, come nel 2024. Un piccolo dettaglio che però segnerà l’arrivo anticipato delle giornate più brevi e delle sere che calano presto, con conseguenze sulla nostra routine quotidiana.

            Il passaggio ufficiale avverrà nella notte tra sabato 25 e domenica 26 ottobre 2025, quando alle 3 del mattino dovremo riportare le lancette dell’orologio indietro di un’ora. Dormiremo dunque sessanta minuti in più, ma le ore di luce pomeridiane diminuiranno sensibilmente.

            Meno sole e più sonnolenza: gli effetti del cambio d’orario

            Il ritorno all’ora solare comporta diversi adattamenti, sia pratici sia fisici. Il sole tramonterà prima, riducendo il tempo a disposizione per le attività all’aperto e anticipando l’illuminazione artificiale nelle case e nelle città. È un passaggio che, per molti, coincide con un calo dell’energia e un aumento della stanchezza.

            Secondo gli esperti, il nostro orologio biologico impiega alcuni giorni per abituarsi ai nuovi ritmi. I disturbi più comuni legati al cambio d’ora sono insonnia temporanea, difficoltà di concentrazione, sonnolenza e sbalzi d’umore. In soggetti particolarmente sensibili, come anziani e bambini, questo mini jet lag può risultare più marcato.

            Il corpo, infatti, si regola sui cicli di luce e buio: quando il tramonto arriva prima, la produzione di melatonina — l’ormone che regola il sonno — tende ad aumentare, generando una sensazione di fatica e rallentamento. Anche per questo, nelle prime settimane, molti segnalano maggiore irritabilità o calo dell’umore.

            Una tradizione che resiste

            Il sistema dell’ora legale e ora solare è ancora in vigore in tutta l’Unione Europea, nonostante da anni si discuta di un’eventuale abolizione. Bruxelles aveva avviato un processo per permettere agli Stati membri di scegliere un’ora fissa, ma la riforma è rimasta sospesa, complice la mancanza di un accordo tra i Paesi.

            Per ora, dunque, continueremo ad alternare i due orari: l’obiettivo dell’ora legale resta quello di risparmiare energia sfruttando meglio la luce naturale durante i mesi primaverili ed estivi, mentre in autunno si torna all’ora solare per riallinearsi al ritmo astronomico naturale.

            Quando tornerà l’ora legale

            Dopo cinque mesi di giornate più corte, dovremo attendere la primavera per rimettere avanti le lancette. L’ora legale tornerà nella notte tra sabato 28 e domenica 29 marzo 2026, quando alle 2 dovremo spostare gli orologi un’ora avanti.

            Nel frattempo, ci aspetta un inverno scandito da tramonti anticipati ma anche da mattine più luminose: un piccolo conforto per chi ama iniziare la giornata con la luce del sole.

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              Italia

              Quando tifare diventa tragedia: l’ombra della violenza tra sport e premeditazione

              Dopo l’agguato costato la vita a Raffaele Marianella, autista del pullman dei tifosi del Pistoia Basket 2000, ecco perché l’escalation della violenza calcistica e cestistica richiede un esame profondo delle radici del fenomeno.

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                Domenica 19 ottobre 2025 la strada statale 79 che collega Rieti a Terni ha fatto da scena a una tragedia dallo spessore incredibile. Un pullman che trasportava tifosi del Pistoia Basket 2000 è stato «teso d’assalto» da un gruppo di ultras della Sebastiani Rieti: due mattoni hanno sfondato il parabrezza, uno di questi colpendo mortalmente Raffaele Marianella, 65 anni, autista seduto accanto al conducente.

                L’episodio ha riacceso un allarme che da tempo permanenza: perché il tifo può trasformarsi in violenza estrema? E chi organizza queste azioni cosa rischia realmente?

                La spirale della violenza nello sport

                Il legame tra sport e identità è forte: la squadra diventa estensione della comunità, della città, delle proprie radici. Tuttavia, quando questa passione si trasforma in antagonismo esasperato, il tifo può scivolare in odio attivo. Nel caso del pullman del Pistoia, fonti investigative ricostruiscono che «il mezzo è stato seguito per chilometri» prima di essere attaccato da tifosi nascosti oltre il guard-rail.

                Si tratta quindi non di un gesto spontaneo, ma – secondo le autorità – di una azione premeditata. Questo sposta l’interpretazione da semplice vandalismo a un’aggressione pianificata, con vittima innocente. Il coinvolgimento di tifosi organizzati, la scelta del target (il bus ospite), il momento e il luogo indicano dinamiche che vanno al di là della rivalità sportiva.

                Perché nasce la “violenza ultras”?

                Dal punto di vista psicologico, diversi fattori contribuiscono:

                • Il senso di appartenenza: l’ultra vive la squadra come “noi” e l’avversario come “la minaccia”.
                • La performance virile e l’adrenalina del gruppo: atti estremi generano notorietà interna al movimento ultras.
                • L’escalation simbolica: la vittoria non basta più, si ricercano gesti che entrino nella memoria collettiva.
                • La pianificazione come rituale: quando l’azione è attentamente preparata, assume valenza di rito iniziatico per chi vi partecipa.

                Nel contesto dello sport, questi elementi si sommano e in alcuni casi sfuggono al controllo. L’autobus, innocuo spettatore dell’evento, diventa bersaglio.

                I rischi legali per chi organizza gli agguati

                Dal punto di vista strettamente giuridico, un’azione come quella contro il pullman comporta conseguenze gravi per gli autori. Il lancio di mattoni contro un veicolo in movimento, con vittime e spettatori a bordo, può configurarsi come:

                • Omicidio volontario o preterintenzionale (art. 575 e 584 c.p.), se il fatto comporta la morte.
                • Associazione per delinquere o gruppo armato, se vi è contesto organizzato.
                • Lesioni gravissime e danneggiamento aggravato.
                • Evento con finalità terroristica o di intimidazione collettiva, se collegato a tifoseria e violenza ultras.

                Nel caso specifico di Rieti-Pistoia, è emersa la circostanza che l’autobus fosse già scortato dalla polizia, ma l’agguato sarebbe avvenuto dopo la fine della scorta. Gli inquirenti della Digos e della Squadra Mobile stanno ascoltando decine di testimoni. Finora non risultano fermi.

                La punibilità è elevata, ma l’individuazione dei singoli colpevoli può rivelarsi complessa: ambiente notturno, mobilità dei veicoli, anonimato degli ultras.

                Vale la pena rischiare?

                Perché qualcuno accetta di entrare in queste dinamiche così rischiose? Oltre alla motivazione ideologica o ludica, c’è un mercato della violenza che fornisce status all’interno del gruppo. Un gesto eclatante può elevare il singolo da semplice tifoso a “eroe” di curva. Ma il prezzo è altissimo: vite umane messe a rischio, vite distrutte, carriere sportive rovinate, processi penali, stigma sociale.

                Il caso Marianella scuote l’intero sport italiano: non è più solo rivalità, è omicidio di Stato in trasferta. Le società, le istituzioni e le tifoserie sane dovranno assumersi l’impegno di separare la passione dalla violenza e di prendere contromisure concrete.

                Tifare non dovrebbe mai significare mettere a rischio vite. Il dramma del pullman del Pistoia è la prova di quanto la ferocia ultras possa travalicare lo sport e trasformarsi in crimine. Dietro un mattone lanciato c’è una catena di decisioni: pianificazione, gruppo, obiettivo. A pagare sono innocenti. E chi agisce sa bene cosa rischia. Per lo sport, per la civiltà, per la vita.

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