Italia
Smaltimento rifiuti, la Sicilia è ancora la regione dove si paga di più
Le differenze nei costi della TARSU tra le diverse regioni italiane riflettono in gran parte le variazioni nell’efficienza della gestione dei rifiuti e nelle infrastrutture disponibili. Mentre le regioni del Nord tendono a beneficiare di un sistema più avanzato e sostenibile, il Sud e le isole spesso devono fare i conti con inefficienze che si traducono in tariffe più elevate per i cittadini
In questi giorni stanno arrivando gli avvisi da parte dei comuni per il pagamento della TARSU, ovvero la Tassa per lo Smaltimento dei Rifiuti Solidi Urbani, è una delle voci di spesa che i cittadini italiani devono affrontare ogni anno. Si può estinguere in una rata unica oppure in tre rate già determinate dal comune di residenza con bollettino F24 allegato. Questo tributo, che è stato in parte sostituito dalla TARI (Tassa sui Rifiuti) nel 2014, varia notevolmente tra le diverse regioni italiane. Vediamo come si differenziano i costi della TARSU nelle principali regioni.
Le regioni del nord sono le più efficienti
Lombardia, Piemonte e Veneto da sempre mostrano una gestione più efficiente del servizio di smaltimento dei rifiuti, con costi relativamente contenuti. In Lombardia i costi medi della TARSU sono tra i più bassi. Variano dai 150 ai 250 euro annui per una famiglia di quattro persone. A Milano, in media si resta al di sotto dei 300 euro anche se la gestione dei rifiuti urbani è sempre più sostenibile. Il Piemonte applica tariffe che variano dai 180 ai 270 euro annui. Il capoluogo Torino garantisce tariffe moderate, beneficiando di un sistema di raccolta differenziata ben organizzato che in media è di 250 euro annui. Il Veneto ha dei costi medi che oscillano tra i 160 e i 260 euro, con Venezia che però supera i 300 euro annui a famiglia.
Nel centro Italia un leggero aumento
Nel Centro Italia, i costi della TARSU cambiano e crescono con alcune aree che presentano tariffe più elevate rispetto al Nord. In Toscana per esempio i costi medi sono tra i 200 e i 300 euro annui. Firenze riesce a mantenere le tariffe nella media di 290 euro. Nel Lazio a Roma, i costi possono essere più elevati, con una media che varia dai 250 ai 350 euro. La capitale ha problemi di gestione e smaltimento dei rifiuti. Nelle Marche le tariffe si mantengono tra i 190 e i 280 euro, con una buona performance nella raccolta differenziata che contribuisce a contenere i costi.
Le dolenti note del Sud Italia e delle Isole
Le regioni del Sud Italia e le isole, come Sicilia e Sardegna, hanno costi della TARSU più alti del Paese. La causa molto spesso è l’inefficienze nella gestione dei rifiuti e il minori numero delle infrastrutture disponibili. Napoli per esempio è tra le città con i costi più alti, con tariffe che possono raggiungere i 400 euro annui con problemi cronici nella gestione dei rifiuti. Ma la cifra più alta viene pagata in Sicilia a Palermo e Catania che soffrono di mancanza di impianti. I costi medi dell’isola vanno dai 250 ai 400 euro. Palermo e Catania, in particolare, registrano tariffe più elevate che sfiorano i 500 euro annui per famiglia. Diversa la situazione in Sardegna dove il costo per lo smaltimenti dei rifiuti urbani costi medi annui scendono da 220 e i 340 euro. L’isola deve affrontare la sfida della raccolta nelle aree più remote difficili da raggiungere.
Ma perché questa tassa in Sicilia costa di più
In Sicilia la Tarsu ha cifre maggiori per una serie di motivi che vanno dalla difficoltà a organizzare una raccolta e uno smaltimento efficaci, con conseguenti costi operativi elevati, a una mancanza di pianificazione e una inefficienza amministrativa generalizzata. Inoltre l’Isola soffre della carenza di impianti moderni di trattamento e riciclaggio. Questo significa che una grande quantità di rifiuti deve essere trasportata in altre regioni o gestita in discariche locali, aumentando i costi. Per ridurre questi costi sarebbe necessario un intervento su più fronti. Migliorare l’efficienza gestionale, investire in nuove infrastrutture, aumentare la raccolta differenziata e combattere la corruzione. Passaggi fondamentali per ridurre le tariffe e migliorare il servizio per i cittadini. La cooperazione tra amministrazioni locali, regionali e nazionali è essenziale per affrontare questi problemi in modo efficace e sostenibile.
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Italia
Addio ai quiz a fortuna: la riforma della patente cambia il modo di diventare automobilisti
Matteo Salvini annuncia una revisione profonda dell’esame di guida: meno casualità, più competenze reali e attenzione alla sicurezza.
La riforma dell’esame per la patente di guida promette di rivoluzionare il modo in cui gli italiani si preparano a mettersi al volante. L’annuncio è arrivato dal ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti Matteo Salvini, nel corso del forum di Conftrasporto-Confcommercio, dove ha anticipato una svolta destinata a superare un sistema considerato da molti obsoleto e troppo legato al caso.
“Entro la fine del mio mandato conto di arrivare a un esame aggiornato che non sia la ruota della fortuna”, ha dichiarato il ministro, sintetizzando così la filosofia della riforma: meno casualità nei quiz teorici, più attenzione alle competenze effettive e alle abilità pratiche di guida.
Tre pilastri per un nuovo modello
Il progetto di revisione si muove su tre direttrici principali. La prima riguarda l’aggiornamento dei contenuti dell’esame, che dovranno riflettere la mobilità di oggi: auto ibride ed elettriche, sistemi di assistenza alla guida, nuove norme di sicurezza e convivenza tra diversi mezzi su strada.
La seconda punta a garantire uniformità nelle procedure tra le motorizzazioni di tutto il Paese, eliminando quelle disuguaglianze territoriali che spesso rendono l’ottenimento della patente più complesso in alcune regioni rispetto ad altre.
Infine, un punto chiave sarà la riduzione della componente casuale nei quiz, per restituire al test teorico il suo vero ruolo: quello di valutare la preparazione del candidato, non la fortuna.
Il “bonus patente” per i futuri professionisti
Accanto alla riforma dell’esame, il governo ha confermato la prosecuzione e il potenziamento del “bonus patente”, un incentivo economico già introdotto per favorire l’accesso alle patenti professionali (C, D, CE e CQC). La misura, rivolta soprattutto ai giovani tra i 18 e i 35 anni, consente di coprire fino all’80% dei costi di formazione e di ottenere le qualifiche necessarie per lavorare nel settore dei trasporti, oggi gravemente colpito dalla mancanza di autisti qualificati.
Le associazioni di categoria hanno accolto positivamente l’annuncio, definendo la riforma un passo indispensabile verso la modernizzazione del sistema. Tuttavia, chiedono chiarezza sui tempi e sulle risorse disponibili, sottolineando che la transizione richiederà investimenti per aggiornare le autoscuole e formare nuovi istruttori.
Guardando all’Europa
Il governo italiano, spiegano fonti del Mit, sta studiando i modelli già adottati in altri Paesi europei. In Germania, ad esempio, il percorso formativo include test di percezione del rischio e prove su strada più articolate, mentre nel Regno Unito la valutazione delle competenze si concentra anche sul comportamento del conducente in situazioni di traffico reale.
Resta da capire quale approccio sarà scelto per l’Italia: un sistema ispirato ai modelli esteri o un format originale, calibrato sulle peculiarità della mobilità nazionale, dove l’elevato numero di motocicli, microcar e mezzi elettrici leggeri impone nuove regole di convivenza.
Una sfida di equilibrio
La vera sfida, sottolineano gli esperti del settore, sarà trovare un equilibrio tra rigore e accessibilità. L’obiettivo è migliorare la sicurezza stradale senza rendere più difficile o costoso ottenere la patente, specialmente per i giovani e per chi cerca nuove opportunità di lavoro.
Il ministero ha promesso tempi brevi per la definizione dei dettagli tecnici della riforma e una sperimentazione graduale già nel 2026, ma resta da chiarire la portata delle modifiche e i finanziamenti necessari per accompagnare la transizione.
Se le promesse saranno mantenute, la nuova patente “senza fortuna” segnerà l’inizio di una stagione di maggiore responsabilità e preparazione alla guida. Un cambiamento che, nelle intenzioni del governo, mira non solo a formare automobilisti più consapevoli, ma anche a costruire un sistema più giusto, trasparente e vicino alle esigenze della mobilità moderna.
Italia
Intelligenza artificiale, truffe reali: deepfake di Giorgia Meloni sui social, la premier clonata promette guadagni facili
Voci, espressioni e sorrisi perfettamente ricostruiti: nei deepfake la premier assicura guadagni da 30 mila euro al mese con un investimento di 250 euro. Indagini in corso sul fenomeno, già intercettato da agenzie di cybersicurezza internazionali.
Giorgia Meloni in studio con Francesco Giorgino, intervistata sul futuro dell’Italia, mentre sponsorizza una piattaforma di trading “garantita dal governo”. Tutto perfetto, realistico, impeccabile. Peccato che sia tutto falso.
Tre video deepfake — prodotti con tecniche di intelligenza artificiale e già in circolazione sui social — mostrano la presidente del Consiglio in ambientazioni credibili, con voce e volto ricostruiti in maniera quasi indistinguibile dall’originale. Nelle clip la premier si presta a uno spot fraudolento: «Tutti hanno diritto a ricevere un aiuto fino a 3 mila euro al mese, basta registrarsi e versare 250 euro», afferma sorridendo.
In un altro filmato, ambientato in una finta intervista al Tg5 con Simona Branchetti, la presidente ribadisce: «Io stessa sono coinvolta in questo progetto e questo mese ho guadagnato 40 mila euro. Basta un piccolo investimento e la registrazione sarà attiva».
Il dettaglio che inquieta è la precisione: la voce della Meloni è sincronizzata alla perfezione, lo sguardo e i sorrisi sono quelli veri. È l’avanguardia del deepfake, un salto di qualità che rende sempre più difficile distinguere realtà e artificio.
Dietro, il solito meccanismo: i truffatori inseriscono link che promettono facili guadagni, portando invece a piattaforme che raccolgono dati personali e, passo dopo passo, arrivano fino ai conti correnti degli utenti.
La Protective Intelligence Network di Singapore, guidata dall’ex poliziotto italiano Angelo Bani, ha intercettato i video e li ha segnalati al Global Anti-Scam Summit di Londra. «In Italia c’è un bombardamento di deepfake contro figure pubbliche, specialmente del governo», ha spiegato. Anche Sensity.ai, società italiana specializzata in cybersicurezza, ha registrato un’impennata di casi.
Non è la prima volta che i deepfake colpiscono personaggi noti, ma questa è la prima volta che un presidente del Consiglio italiano viene clonato con questa precisione, in un’operazione studiata per sembrare più vera del vero. E il messaggio subliminale è fin troppo chiaro: non si può più credere nemmeno ai propri occhi.
Italia
Torna l’ora solare: nel 2025 il cambio d’orario arriva prima
Nessuna nuova legge o cambiamento di regole: è il calendario a farci anticipare il ritorno all’ora solare, che porterà giornate più corte e qualche effetto sul nostro equilibrio biologico.
Nel 2025 torneremo all’ora solare con un giorno d’anticipo rispetto all’anno scorso. Niente decisioni politiche o nuove direttive europee: si tratta semplicemente di un effetto del calendario. L’ultima domenica di ottobre, infatti, cadrà il 26 ottobre e non il 27, come nel 2024. Un piccolo dettaglio che però segnerà l’arrivo anticipato delle giornate più brevi e delle sere che calano presto, con conseguenze sulla nostra routine quotidiana.
Il passaggio ufficiale avverrà nella notte tra sabato 25 e domenica 26 ottobre 2025, quando alle 3 del mattino dovremo riportare le lancette dell’orologio indietro di un’ora. Dormiremo dunque sessanta minuti in più, ma le ore di luce pomeridiane diminuiranno sensibilmente.
Meno sole e più sonnolenza: gli effetti del cambio d’orario
Il ritorno all’ora solare comporta diversi adattamenti, sia pratici sia fisici. Il sole tramonterà prima, riducendo il tempo a disposizione per le attività all’aperto e anticipando l’illuminazione artificiale nelle case e nelle città. È un passaggio che, per molti, coincide con un calo dell’energia e un aumento della stanchezza.
Secondo gli esperti, il nostro orologio biologico impiega alcuni giorni per abituarsi ai nuovi ritmi. I disturbi più comuni legati al cambio d’ora sono insonnia temporanea, difficoltà di concentrazione, sonnolenza e sbalzi d’umore. In soggetti particolarmente sensibili, come anziani e bambini, questo mini jet lag può risultare più marcato.
Il corpo, infatti, si regola sui cicli di luce e buio: quando il tramonto arriva prima, la produzione di melatonina — l’ormone che regola il sonno — tende ad aumentare, generando una sensazione di fatica e rallentamento. Anche per questo, nelle prime settimane, molti segnalano maggiore irritabilità o calo dell’umore.
Una tradizione che resiste
Il sistema dell’ora legale e ora solare è ancora in vigore in tutta l’Unione Europea, nonostante da anni si discuta di un’eventuale abolizione. Bruxelles aveva avviato un processo per permettere agli Stati membri di scegliere un’ora fissa, ma la riforma è rimasta sospesa, complice la mancanza di un accordo tra i Paesi.
Per ora, dunque, continueremo ad alternare i due orari: l’obiettivo dell’ora legale resta quello di risparmiare energia sfruttando meglio la luce naturale durante i mesi primaverili ed estivi, mentre in autunno si torna all’ora solare per riallinearsi al ritmo astronomico naturale.
Quando tornerà l’ora legale
Dopo cinque mesi di giornate più corte, dovremo attendere la primavera per rimettere avanti le lancette. L’ora legale tornerà nella notte tra sabato 28 e domenica 29 marzo 2026, quando alle 2 dovremo spostare gli orologi un’ora avanti.
Nel frattempo, ci aspetta un inverno scandito da tramonti anticipati ma anche da mattine più luminose: un piccolo conforto per chi ama iniziare la giornata con la luce del sole.
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