Cronaca
Lo “scisma” tedesco sul tavolo del Papa: il primo dossier scottante per Leone XIV
Papa Leone XIV eredita la patata bollente lasciata da Francesco: la Chiesa tedesca insiste sul suo percorso di riforma, ma il Vaticano frena. Sul Comitato sinodale è scontro aperto. E ora il nuovo pontefice dovrà trovare un difficile equilibrio tra dottrina e sinodalità

È una delle grane più spinose ereditate da Francesco. E ora, appena insediato, Leone XIV si ritrova sul tavolo il dossier più delicato del cattolicesimo europeo: il cammino sinodale tedesco. Avviato nel 2019 per iniziativa della Conferenza episcopale locale, il percorso ha messo sotto pressione il Vaticano come mai accaduto in epoca recente. Al centro della contesa ci sono richieste che in molte parti del mondo suonano come rivoluzioni: abolizione del celibato obbligatorio per i sacerdoti, ordinazione diaconale per le donne, e soprattutto una nuova apertura dottrinale nei confronti della comunità Lgbtq.
Non si tratta di semplici consultazioni. I promotori del cammino sinodale hanno sempre ribadito il carattere vincolante delle deliberazioni votate all’interno del processo. Un’interpretazione che a Roma, e in particolare tra le mura del Dicastero per la Dottrina della Fede, non è mai andata giù. Perché se c’è una cosa che il Vaticano non può accettare è la messa in discussione dell’unità della Chiesa su questioni dottrinali fondamentali.
Il nodo più attuale è quello del Comitato sinodale, organismo transitorio incaricato di traghettare la Chiesa tedesca verso la creazione di un “Concilio sinodale” nazionale, un’istituzione inedita, che affiancherebbe i vescovi nel governo della Chiesa in Germania, dando un ruolo decisionale anche ai laici. Un’idea mai contemplata dal diritto canonico, che ha fatto scattare l’altolà del Vaticano: in una lettera firmata a febbraio da tre pezzi grossi della Curia romana — il Segretario di Stato Pietro Parolin, il Prefetto della Dottrina della Fede Victor Manuel Fernández e l’allora cardinale Robert Francis Prevost — si chiedeva di sospendere la creazione del Comitato.
Richiesta rimasta inascoltata. Il Comitato si è riunito più volte, come se nulla fosse. E ora Leone XIV, già coinvolto nella questione prima dell’elezione, dovrà mettere ordine in un contesto che rischia di sfuggire di mano.
Per il Papa sudamericano, che ha più volte sottolineato l’importanza della “sinodalità” e del dialogo come metodo, sarà una sfida non da poco: da un lato i fautori del cambiamento, con la Chiesa tedesca in testa; dall’altro i custodi della dottrina, timorosi di derive che potrebbero minare l’universalità del cattolicesimo.
La Germania si muove compatta, o quasi. Monsignor Georg Bätzing, presidente della Conferenza episcopale, ha subito voluto ricordare che Leone XIV ha fatto della sinodalità un punto chiave dei suoi primi interventi. E Reinhard Marx, cardinale di Monaco, già noto per le sue posizioni progressiste, ha aggiunto che lo stesso Prevost — ora Papa — aveva sostenuto forme di partecipazione sinodale nella sua diocesi peruviana.
Un modo per mettere in chiaro che le aspettative sono alte. Ma anche un sottile avvertimento: il nuovo pontificato non potrà limitarsi a frenare, dovrà anche ascoltare.
Eppure, anche nella Chiesa tedesca non mancano le perplessità. Alcuni vescovi — seppur in minoranza — hanno espresso dubbi sull’opportunità di forzare i tempi. E a Roma qualcuno spera che Leone XIV riesca a ricucire senza dover scegliere tra due visioni inconciliabili. Il rischio? Che si arrivi davvero a un “piccolo scisma”.
Per ora, il Papa osserva. Ma il tempo stringe: le prossime riunioni del Comitato sinodale sono già fissate, e ogni decisione tardiva rischia di trasformarsi in una resa dei conti aperta.
Una cosa è certa: Leone XIV ha ricevuto in eredità un compito tutt’altro che semplice. Quello di tenere insieme una Chiesa sempre più divisa tra fedeltà alla dottrina e desiderio di riforma. Ma come disse una volta proprio il cardinale Marx: “Il mondo cambia. E la Chiesa non può far finta di nulla”.
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Mondo
Il “metallaro” diventa ambasciatore di Taiwan in Finlandia
Freddy Lim, frontman dei ChthoniC e attivista per i diritti umani, passa dal palco ai negoziati internazionali.

Chissà come mai quando si pensa a un ambasciatore, l’immagine più comune è quella di un diplomatico in giacca e cravatta, impegnato in lunghi discorsi istituzionali. Ma Freddy Lim, nuovo ambasciatore di Taiwan in Finlandia, sta riscrivendo le regole della diplomazia internazionale. Come? Con un passato decisamente fuori dagli schemi. Infatti Lim è stato il frontman di una delle band metal più famose del paese, i ChthoniC. La sua nomina ha sorpreso molti, ma per chi conosce la sua carriera politica e il suo impegno nei diritti umani, il salto dal palco ai tavoli diplomatici sembra quasi naturale. Ex presidente della sezione di Taiwan di Amnesty International, Lim ha trascorso otto anni in Parlamento, diventando il primo musicista heavy metal a ricoprire un mandato politico.
Un ambasciatore con il metal nel sangue
Lim, nato a Taipei nel 1976, ha fondato i ChthoniC nel 1995, creando un sound unico che mescolava strumenti tradizionali asiatici—come l’erhu e le campane tibetane—con l’energia del metal estremo. Ma la sua musica non si è mai limitata al puro intrattenimento. I brani della band affrontano temi di forte impatto sociale e politico, dal massacro degli uiguri alla lotta per l’indipendenza di Taiwan dalla Cina. Ma la sua connessione con la Finlandia va ben oltre la politica. Per decenni, Lim ha suonato in festival metal finlandesi, ha collaborato con l’industria musicale locale e ha persino pubblicato quattro album con la Spinefarm Records, un’etichetta discografica di Helsinki.
Un riff molto diplomatico
Sulla sua pagina Facebook, Lim ha espresso il suo entusiasmo per il nuovo incarico, sottolineando il suo legame con la Finlandia e il desiderio di rafforzare la cooperazione tra i due paesi. “Il mio impegno per i diritti umani, i valori progressisti e la lotta contro l’autoritarismo sono ideali che Taiwan e Finlandia condividono profondamente“, ha scritto. Ora, invece di chitarre distorte e cori epici, Freddy Lim dovrà gestire relazioni diplomatiche e negoziati internazionali. Ma è certo che porterà con sé l’energia e la determinazione che hanno caratterizzato la sua carriera.
Italia
La fabbrica che batte il tempo: la Fonderia Marinelli, in attività da oltre 1000 anni
Da prima delle crociate fino ai giorni nostri, la storica fonderia di campane di Agnone continua a suonare la sua tradizione.

Se pensate che la longevità aziendale sia un fenomeno recente, vi sorprenderà sapere che esiste un’impresa che ha attraversato dieci secoli di storia. Ha sopravvissuto a guerre, rivoluzioni e trasformazioni industriali. Nel cuore del Molise, ad Agnone (provincia di Isernia), si trova la Pontificia Fonderia di Campane Marinelli, la più antica azienda italiana e una delle più longeve al mondo. Fondata nel 1040, questa impresa familiare non ha mai smesso di produrre campane con tecniche medievali tramandate da generazione a generazione. Nel museo della fonderia si trova una campana risalente al 1339, una prova concreta di una storia che ha attraversato i secoli, dal Medioevo ai giorni nostri. Nonostante le innovazioni tecnologiche, il bronzo viene ancora fuso e lavorato con maestria, senza che nessuna macchina moderna riesca a sostituire la sapienza delle mani esperte degli artigiani.
Le altre eccellenze italiane
Se la Fonderia Marinelli è la più antica, l’Italia vanta altre imprese che hanno saputo conservare la propria identità e il proprio saper fare nel tempo. Tra le eccellenze italiane, spicca la Barone Ricasoli, fondata nel 1141. Nel cuore della Toscana, questa azienda vinicola è legata al Castello di Brolio, e ha attraversato quasi nove secoli di produzione, mantenendo sempre una posizione di rilievo nel settore del Chianti. Nel mondo del vetro artistico, invece, il primato va alla Barovier & Toso, attiva dal 1295 a Murano. Questa storica vetreria ha creato alcune delle murrine più pregiate e riconoscibili, con pezzi esposti nei musei di tutto il mondo. Altre realtà di lunga data includono la gioielleria Torrini, fondata nel 1369 a Firenze, e la Marchesi Antinori, che opera nel settore vinicolo dal 1385, con una tradizione familiare che si è tramandata per 26 generazioni.
Italia
Fiuto di cane, fiuto di “mazzetta”: quando a Sorrento scodinzola la giustizia
Altro che investigatori segreti o agenti sotto copertura: il vero protagonista del blitz anti-corruzione a Sorrento è stato Gringo, un pastore tedesco addestrato a fiutare banconote. I “cash dog”, eroi a quattro zampe della Guardia di Finanza, hanno fiutato più soldi nascosti di quanto la politica locale ne abbia mai dichiarati. Una storia che sa di farsa italiana, dove il migliore amico dell’uomo si rivela anche il peggiore incubo del corrotto.

In una trama degna di un film grottesco, il sindaco di Sorrento, Massimo Coppola, è stato arrestato durante un blitz della Guardia di Finanza che ha portato alla luce 285 mila euro in contanti. Nascosti ovunque: nelle case, nei tavoli da biliardo, persino tra le mura domestiche del cosiddetto “Lello il sensitivo”, definito dagli inquirenti come l’intermediario occulto del Primo cittadino. A mettere la parola “fiutato” sulla questione è stato Gringo, un cash dog che ha individuato mazzette occultate meglio di un contabile svizzero.
Chi sono i “cash dog”?
No, non si tratta di una nuova criptovaluta. I cash dog sono unità cinofile addestrate a rilevare l’odore delle banconote. Non il profumo del potere, ma quello della carta stampata (meglio se non dichiarata). Usati dalla Guardia di Finanza nei casi di evasione fiscale, riciclaggio e corruzione, questi cani sono il peggior nemico delle bustarelle. Il loro addestramento parte da cuccioli e si basa su un sistema di gioco, fiducia e premi. Nessun metodo coercitivo: la motivazione è tutto. Fino ad oggi conoscevamo i quattrozampe antidroga, da oggi alla ribalta ci sono anche i cani che fiutano la cartamoneta.
Dal tavolo da biliardo ai milioni di Bergamo
Il caso di Gringo non è isolato. Nel 2022, Grisby, un Malinois, scoprì in provincia di Bergamo un caveau con oltre 2,5 milioni di euro in contanti, orologi di lusso, gioielli e lingotti. Un bottino degno di un supervillain, sgamato da un cane con il naso fino. Eppure, in Italia, queste unità lavorano nel silenzio, lontano dai riflettori, e restituiscono alla giustizia quello che l’uomo tenta disperatamente di nascondere.
Riconoscono l’odore della cellulosa
Oggi si preferisce addestrare anche meticci, non solo Pastori Tedeschi o Labrador: il talento per il fiuto delle mazzette non guarda il pedigree. Darin, un meticcio della Guardia di Finanza di Barletta, è tra i più operativi nel team antidroga e antivaluta. La regola è semplice: se c’è odore di soldi, loro lo trovano. Anche sotto terra.
Il vero problema? Non sono i cani, ma chi li rende necessari
Il lato amaro della vicenda è che i cash dog stanno diventando indispensabili. Non per hobby, ma per necessità. La corruzione continua a infestare la pubblica amministrazione italiana come umidità nei muri di una casa mal costruita. Se servono cani per sniffare i soldi di un sindaco, forse la domanda non è “quanto sono bravi i cash dog?”, ma piuttosto “quanto siamo messi male?”.
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