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Cronaca

McDonald’s dice addio all’intelligenza artificiale: troppi ordini sbagliati

La sperimentazione di McDonald’s con l’intelligenza artificiale ha mostrato i limiti attuali della tecnologia nel settore della ristorazione rapida. Sebbene l’azienda abbia deciso di sospendere l’uso dell’Automated Order Taker, il futuro dell’automazione nei fast food continua a evolversi, con altri competitor che dimostrano il potenziale di queste soluzioni quando implementate correttamente.

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McDonald's lascia la nuova tecnologia IBM

    Alla fine anche McDonald’s ha abdicato e ha detto addio allAutomated Order Taker.
    Il colosso americano ha deciso di sospendere la sperimentazione del suo sistema di intelligenza artificiale per gli ordini drive-through, Automated Order Taker (AOT), entro la fine di luglio. La tecnologia, sviluppata in collaborazione con IBM e introdotta nel 2021, ha generato troppi errori negli ordini, causando frustrazione tra i clienti e il personale.

    Scarsa precisione e ordini bizzarri

    L’AOT ha mostrato una precisione appena superiore all’80%, con un ordine su cinque sbagliato. Gli errori includevano combinazioni insolite come il bacon sul gelato e centinaia di nuggets non richiesti. La tecnologia inoltre ha faticato a capire dialetti e accenti diversi vista anche la multietnicità dei dipendenti del colosso del fast food, portando a ulteriori fraintendimenti.

    Anche McDonald’s ritorna la passato

    Mason Smoot, che è Chief Restaurant Officer di McDonald’s in tutti gli Stati Uniti, ha dovuto ammettere che dopo un attento esame Mc ha deciso di porre fine alla partnership con IBM per l’AOT. La tecnologia sarà disattivata in tutti i ristoranti che la stanno testando la procedura entro il 26 luglio 2024.

    Il confronto con i competitor

    Ma mentre McDonald’s ha riscontrato difficoltà, altri competitor hanno ottenuto risultati migliori con soluzioni analoghe. Per esempio Wendy’s utilizza Google Cloud per gli ordini drive-through, con una precisione dell’86%. Carl’s Jr. e Taco John’s si affidano a Presto, con una percentuale di ordini corretti fino al 90%.

      Politica

      Aumentano le pensioni minime… di sei euro: giusto il caffè in più ogni tre mesi! Il governo promette grandi riforme ma regala solo spiccioli

      Il governo ha finalmente inviato la legge di Bilancio 2025 alla Camera con due giorni di ritardo, ma emergono particolari che lasciano l’amaro in bocca: le pensioni minime aumentano solo di sei euro. Intanto, il tetto degli stipendi dei dirigenti pubblici potrebbe scendere a 160 mila euro, scatenando la furia di Forza Italia.

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        Chissà se qualcuno stava sognando un lauto aumento della pensione. Un piccolo extra per concedersi qualcosa in più, magari un viaggio, o anche solo una pizza. E invece no. Il sogno finisce qui, con la realtà di un’elemosina da sei euro al mese. Avete capito bene, sei euro. È questa la cifra con cui il governo ha deciso di gratificare i pensionati con l’assegno minimo, portandolo da 615 a 621 euro. Sei euro che fanno il giro dei titoli dei giornali come se ci stessero regalando una Ferrari. Invece, nemmeno il pieno di benzina per una 500.

        Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha firmato la manovra, che è stata inviata alla Camera con due giorni di ritardo rispetto ai grandi proclami del ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti. “Faremo un grande lavoro”, avevano detto. E infatti, ci hanno messo pure due giorni in più per regalarci un aumento che basterà giusto per un cappuccino al bar (se non è in centro a Milano, s’intende).

        Ma la vera chicca arriva con la battaglia che sta per scatenarsi nelle retrovie della politica: Forza Italia è pronta a difendere con le unghie e con i denti i “poveri” manager pubblici, quelli che oggi guadagnano 240 mila euro e che, secondo i nuovi piani, dovrebbero accontentarsi di 160 mila euro. “Solo” 80 mila euro in meno. E poveretti, come potranno mai cavarsela con “solo” 160 mila euro all’anno? Una tragedia moderna.

        Mentre Forza Italia cerca di salvare gli stipendi dorati, il resto del Paese è alle prese con una crescita economica sempre più vicina allo zero. Il Fondo Monetario Internazionale e Confindustria hanno ridotto le stime di crescita per quest’anno allo 0,8%, ma Giorgetti sembra avere altre priorità. Lui tira dritto e sventola l’ennesimo taglio al cuneo fiscale come se fosse la manna dal cielo. Peccato che anche qui la realtà sia ben diversa: nel 2025, un milione e trecentomila lavoratori in più godranno di una nuova detrazione fiscale, ma per molti sarà solo un’altra illusione a termine.

        E mentre i pensionati si ritrovano con i loro sei euro in più, e i manager si preoccupano per il “drastico” calo dei loro stipendi, il Paese è al palo. La manovra, che doveva segnare la grande svolta del governo, sembra invece uno scivolone annunciato. Un cuneo fiscale che non taglia come dovrebbe, pensioni che non crescono davvero e manager che continuano a intascare cifre da capogiro.

        Ma non dimentichiamo il grande spettacolo di Giorgetti, che tra i “gufi” e i “corvacci” che prevedevano il fallimento, riesce comunque a raccontarci che stiamo “migliorando il rating” e abbassando lo spread. Peccato che a chi ha solo sei euro in più in tasca, del rating frega ben poco.

        L’ultima chicca? Il “bonus in busta paga” per i dipendenti verrà trasformato, come ha spiegato lo stesso Giorgetti, in una detrazione fiscale. Non scomparirà di colpo quando si superano i 35 mila euro di reddito, ma inizierà a scendere fino a esaurirsi a 40 mila. Insomma, non si tratta di un bonus, ma di un premio che ti tolgono appena provi a guadagnare di più.

        Intanto, Forza Italia e Noi Moderati alzano le barricate contro il taglio degli stipendi dei manager pubblici. Perché in questo Paese, le priorità sono chiare: proteggere chi guadagna 240 mila euro all’anno, mentre chi sopravvive con una pensione minima può accontentarsi di sei euro. O forse di un caffè amaro.

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          Politica

          “Pederasta”, “vicino ai movimenti LGBTQ+”: esplode la chat di Fratelli d’Italia, tra scandali, omofobia e nuove inchieste di Report

          Un attacco omofobo in chat contro Francesco Spano, il capo di gabinetto del Ministro della Cultura Alessandro Giuli, getta benzina sul fuoco delle polemiche interne a Fratelli d’Italia. Nel frattempo, Report annuncia nuove rivelazioni esplosive su documenti segreti e responsabilità che potrebbero toccare alte cariche del partito. C’è aria di scandalo e di nuove possibili dimissioni.

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            “Pederasta”. “Vicino ai movimenti LGBTQ+”. Parole pesanti come pietre. Sono questi i termini usati da Fabrizio Busnengo, coordinatore di Fratelli d’Italia del IX Municipio di Roma, per descrivere Francesco Spano, il nuovo capo di gabinetto del Ministero della Cultura, in una chat interna del partito. La conversazione tra i membri di “FdI Roma”, ha scatenato il panico e alimentato malumori latenti nel partito di Giorgia Meloni. Un attacco omofobo che ha costretto Busnengo a rassegnare le dimissioni e a essere rimosso dalla chat, ma che lascia emergere divisioni profonde all’interno delle fila del partito.

            Mentre il coordinatore di Roma Marco Perissa si affrettava a ripristinare l’ordine tra i ranghi, le tensioni non accennavano a placarsi. Il motivo? La nomina di Spano, figura progressista già contestata dalla destra per le sue posizioni sui diritti LGBTQ+, ha irritato una parte significativa della base di Fratelli d’Italia. Busnengo, senza troppi peli sulla lingua, ha dichiarato: “Spano ha posizioni ignobili sui temi LGBTQ”. E, come se non bastasse, ha sollevato un polverone che ha avuto ripercussioni a catena, portando alla ribalta altre questioni e mettendo in fibrillazione anche i piani alti del governo.

            Ma se le tensioni interne non bastassero, la situazione si complica ulteriormente con l’annuncio di Sigfrido Ranucci, conduttore di Report, che promette nuovi scottanti retroscena. Dopo aver scosso il governo con il “caso Boccia-Sangiuliano”, Report è pronta a tornare alla carica con nuove rivelazioni che, questa volta, potrebbero travolgere il Ministero della Cultura. “Un nuovo caso Boccia, ma che non riguarda Boccia,” ha dichiarato Ranucci, lasciando tutti con il fiato sospeso. Un caso Boccia “al maschile”, spiega il conduttore. E qui la ciccia per chi come noi ama il gossip diventa tanta…

            L’ombra di Spano e le nuove rivelazioni di Report

            Le chat interne al partito, le dimissioni forzate di Busnengo e le anticipazioni di Report fanno emergere un quadro sempre più fosco. “Non riguarda Boccia, ma è simile per modalità,” ha rivelato Ranucci, e subito gli emissari del governo si sono affrettati a chiedere spiegazioni, con molti a Palazzo Chigi preoccupati di conoscere in anticipo la portata della puntata. Tra email nervose e richieste pressanti alla Rai, l’atmosfera si fa tesa. I documenti che Ranucci promette di mostrare sono descritti come “molto compromettenti”, e coinvolgerebbero “alte cariche di Fratelli d’Italia”, gettando ombre sul ministro della Cultura, Alessandro Giuli.

            Sarà proprio Giuli a essere toccato dalle rivelazioni? Il suo nome è già stato associato a polemiche per la sostituzione del capo di gabinetto Francesco Gilioli con Spano, una mossa che ha sollevato numerose critiche. Ma dietro questa decisione si cela forse qualcosa di più grave? Report si prepara a far emergere una verità che, se confermata, potrebbe portare a nuove dimissioni eccellenti. La domanda è: chi sarà il prossimo a cadere?

            Un clima teso dentro Fratelli d’Italia

            Intanto, Giovanbattista Fazzolari, responsabile della comunicazione del governo, è impegnato a monitorare ogni angolo delle chat interne al partito, cercando di capire se davvero ci siano tracce che colleghino Spano alle nuove inchieste. Il nome di Gilioli, rimosso da Giuli, continua a rimbalzare nelle voci di corridoio: è stato lui a passare documenti riservati a Report? Ranucci nega, ma le voci non si placano. E la tensione cresce di giorno in giorno, con Fratelli d’Italia che appare sempre più spaccato tra la base più conservatrice e l’ala pragmatica che cerca di mantenere il controllo.

            Il vero obiettivo: far fuori Giuli?

            Mentre si cerca di capire chi sarà il bersaglio principale, il nome di Alessandro Giuli torna continuamente in primo piano. Sarà lui a pagare il prezzo più alto? Giuli è nel mirino da tempo, e questa nuova inchiesta potrebbe essere la goccia che farà traboccare il vaso. Il suo rapporto con Francesco Spano è oggetto di molte speculazioni, e l’ombra di un possibile coinvolgimento in documenti segreti o chat compromettenti non lo aiuta di certo a uscire indenne da questo scandalo.

            Le voci parlano di possibili dimissioni, e Giuli appare sempre più isolato. La scelta di nominare Spano, nonostante le polemiche, ha irritato profondamente una parte del partito, e ora si rischia che il malumore interno esploda in modo incontrollabile. I riflettori sono tutti puntati su di lui, e la puntata di Report potrebbe essere il colpo di grazia.

            Le anticipazioni: documenti segreti e chat compromettenti

            Ma cosa ci riserverà realmente la prossima puntata di Report? Ranucci ha fatto sapere che non si tratterà solo di indiscrezioni: ci sono documenti e chat che ipotizzano responsabilità gravi. E, sebbene non abbia fatto nomi, la tensione è palpabile. Le alte cariche di Fratelli d’Italia sanno di essere nel mirino, e il partito si prepara al peggio. Chi sarà travolto da questo nuovo scandalo? Le dimissioni di Busnengo sono state solo il preludio di una tempesta molto più grande?

            Una cosa è certa: le inchieste di Report promettono di svelare un nuovo capitolo di intrighi, giochi di potere e lotte intestine, con il Ministero della Cultura come teatro di questo dramma politico. E mentre il governo cerca di prepararsi al peggio, la base del partito è già in subbuglio.

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              Cronaca

              Giovani e violenza: quattro storie che raccontano il disagio di una generazione. Cos’è successo ai nostri ragazzi?

              Aggressioni brutali, bullismo e omicidi tra adolescenti. Il malessere dei giovani si manifesta in atti di violenza sempre più efferati. Un’analisi approfondita di una generazione perduta, stretta tra crisi economica, isolamento sociale e assenza di punti di riferimento.

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                Lo hanno picchiato selvaggiamente, legato mani e piedi e poi, come se non bastasse, lo hanno gettato in mare, con l’intenzione di lasciarlo morire affogato. Questa è la sorte che è toccata a un giovane di 19 anni, originario del Pakistan, una notte qualunque nella periferia di Santo Spirito, vicino a Bari. Un atto di violenza brutale, privo di qualsiasi giustificazione razionale, un gioco malato orchestrato da un gruppo di adolescenti che si sono trasformati in aguzzini.

                La scorsa settimana, Leonardo, 15 anni, si è tolto la vita perché non riusciva più a sopportare il peso degli insulti e delle vessazioni dei suoi compagni di scuola. Per mesi aveva cercato di resistere, aveva parlato con un professore, cercando un alleato, ma non era cambiato nulla. Ora la madre e il padre invocano giustizia: “I giovani oggi sono sempre più disumani e noi dobbiamo fare da scudo alle fragilità dei più sensibili”.

                Un altro scenario, altrettanto inquietante, si è verificato a Ferentino, nel Lazio, dove una banale lite tra due studenti è degenerata in un tentato omicidio. Il pretesto? Futili motivi, una discussione come tante, che però è finita nel sangue. Un ragazzo di 16 anni è stato colpito all’addome con un coltello da un coetaneo, proprio fuori dai cancelli della scuola.

                Ma il caso più sconvolgente è quello accaduto in Lombardia, a Paderno Dugnano: Riccardo, un ragazzo di 17 anni, ha sterminato la sua famiglia, uccidendo i genitori e il fratello minore. “Volevo liberarmi da questo disagio”, ha confessato agli inquirenti.

                Quattro episodi apparentemente scollegati, che hanno però in comune un denominatore inquietante: la violenza giovanile, sempre più efferata e sempre più frequente. Non si tratta di casi isolati, ma di sintomi di un malessere che affonda le radici in una società che non sembra più in grado di prendersi cura dei suoi giovani.

                Gli effetti della pandemia da Covid-19 sono ormai sotto gli occhi di tutti. Isolamento sociale, scuole chiuse, assenza di punti di riferimento e un futuro incerto hanno lasciato segni profondi nelle nuove generazioni. Secondo le statistiche del Viminale, i reati commessi dai minori sono in aumento: omicidi, percosse, rapine e aggressioni sono cresciuti esponenzialmente. Rispetto al 2019, i tentati omicidi sono aumentati del 65%, mentre le rapine in strada sono quasi raddoppiate (+91,2%).

                Tuttavia, attribuire tutta la colpa alla pandemia sarebbe riduttivo. Come sottolinea Marzio Barbagli, uno dei più noti sociologi italiani, non è solo la rabbia ad alimentare questi episodi di violenza. Spesso dietro questi atti c’è una disperazione profonda, alimentata da una crisi economica che colpisce soprattutto i più giovani. “Si rapina per denaro, non solo per sfogare la frustrazione”, spiega Barbagli, ricordando che molti adolescenti si trovano in condizioni di marginalità sociale. La mancanza di prospettive lavorative, l’abbandono scolastico e la difficoltà di inserirsi in un contesto che li riconosca come parte attiva della società li porta a compiere gesti estremi.

                Un altro aspetto preoccupante è la violenza di gruppo, che spesso caratterizza i reati commessi da giovani. Le baby gang sono diventate protagoniste di episodi di vandalismo, rapine e aggressioni. Secondo un dossier di Transcrime, il centro di ricerca interuniversitario su criminalità e innovazione dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, queste gang sono composte principalmente da ragazzi italiani tra i 15 e i 17 anni, e si concentrano in particolari aree del Paese, come la Puglia, l’Emilia-Romagna, il Trentino e alcune città del Sud come Salerno e Messina.

                Le risse di gruppo, gli atti di vandalismo e le aggressioni a coetanei sono ormai all’ordine del giorno. Le motivazioni sono spesso banali, ma l’escalation di violenza è spaventosa. Di fronte a questo scenario, la società e le istituzioni sembrano ancora impreparate a offrire una risposta adeguata. Come ha sottolineato il capo della polizia, Lamberto Giannini, c’è bisogno di un impegno collettivo per creare spazi di aggregazione e punti di riferimento per i giovani. Le scuole, le famiglie e le istituzioni devono lavorare insieme per prevenire l’isolamento e offrire alternative sane a chi si sente emarginato o senza speranza.

                Tuttavia, il problema non è solo di natura sociale, ma coinvolge anche un aspetto più profondo: la gestione delle emozioni e la capacità di affrontare le difficoltà senza ricorrere alla violenza.

                Il ruolo delle famiglie è cruciale. Molti genitori faticano a riconoscere i segnali di disagio nei propri figli, spesso attribuendo comportamenti aggressivi a una fase passeggera dell’adolescenza. Ma come dimostrano i casi più estremi, ignorare questi segnali può avere conseguenze devastanti. È necessario che le famiglie, con il supporto di educatori e professionisti della salute mentale, diventino più consapevoli e pronte a intervenire prima che la situazione degeneri.

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