Mistero
Jim Morrison sarebbe vivo e si nasconderebbe a New York. Una docu-serie alimenta la leggenda del frontman dei Doors
Secondo il documentario Before the End su Apple Tv+, The Lizard King avrebbe inscenato la propria morte nel 1971 per sparire nel nulla. Oggi sarebbe un ex manutentore 81enne che si fa chiamare Frank. Il regista Jeff Finn rilancia la teoria: “Ha una cicatrice identica”.

Secondo una nuova docu-serie approdata su Apple Tv+, Jim Morrison non sarebbe affatto morto a Parigi nel 1971. Anzi, oggi sarebbe vivo e vegeto, nascosto sotto falsa identità in una piccola cittadina degli Stati Uniti. È questa la clamorosa ipotesi avanzata dal regista Jeff Finn nel documentario Before the End: Searching for Jim Morrison, che riapre uno dei misteri più affascinanti e controversi della storia del rock. Morrison, frontman dei Doors, The Lizard King, uno degli idoli assoluti della controcultura americana degli anni ’60, sarebbe sfuggito alle grinfie della fama e ai demoni della sua esistenza artefatta inscenando la propria morte. E oggi, secondo Finn, vivrebbe tranquillamente a Syracuse, nello stato di New York, sotto il nome di Frank, lavorando – o meglio, avendo lavorato – come semplice manutentore.
La docu-serie, che si snoda in tre episodi, indaga sulle teorie che circolano da oltre cinquant’anni attorno alla scomparsa dell’artista. Secondo i sostenitori di questa ipotesi, Morrison non avrebbe mai trovato pace tra le braccia del rock e della beat generation, e la sua morte sarebbe stata l’unica via di fuga da un successo che lo stava divorando. Nel documentario, Finn intervista alcune persone che dichiarano di aver incontrato Frank, un anziano che presenta una cicatrice sul naso esattamente nel punto in cui Morrison aveva un neo. Una coincidenza? O la prova regina di un complotto durato più di mezzo secolo? L’idea è suggestiva e alimenta ulteriormente il mito di un personaggio che ha sempre giocato con l’ambiguità e con l’immaginario della morte, sin dai suoi testi più oscuri.
La tesi che Morrison fosse stanco della fama non è nuova: The Doors esplosero nel 1967 e in soli quattro anni Jim Morrison bruciò ogni tappa della parabola del rocker maledetto. Droga, eccessi, incomprensioni con l’industria discografica e un’inquietudine esistenziale sempre più marcata lo portarono a trasferirsi a Parigi, nel tentativo di fuggire da un mondo che lo stava stritolando. È qui che, ufficialmente, il 3 luglio del 1971, Morrison fu trovato morto nella vasca da bagno del suo appartamento. Nessuna autopsia, un referto medico frettoloso e molte incongruenze: questi gli elementi che hanno alimentato per anni teorie alternative sulla sua fine.
Finn, da fan e da documentarista, prova a dare un nuovo tassello a questa narrazione parallela: e se Morrison fosse sopravvissuto davvero e avesse scelto l’anonimato per ritrovare se stesso? Syracuse, cittadina tranquilla e anonima dello stato di New York, sarebbe la nuova tana del leone. A renderla ancora più credibile, la cicatrice e la voce di Frank, che per alcuni testimoni somiglierebbe incredibilmente a quella del cantante dei Doors.
Naturalmente, il documentario non offre prove definitive e rimane in bilico tra il giornalismo investigativo e la suggestione romantica. Ma l’ipotesi si inserisce nel filone di quelle leggende metropolitane che da decenni accompagnano le morti di star della musica e non solo. Il pensiero va immediatamente a Elvis Presley, il cui spirito aleggia ancora su Kalamazoo, cittadina del Michigan che negli anni è diventata meta di avvistamenti e reportage sull’Elvis fantasma. O a Michael Jackson, che secondo alcuni non sarebbe mai morto nel 2009, ma si sarebbe ritirato in incognito a Las Vegas.
Nel caso di Morrison, l’assenza di un’autopsia e le numerose lacune nelle indagini ufficiali lasciano spazio alle teorie più disparate. Pamela Courson, la sua compagna dell’epoca, fu l’unica testimone delle sue ultime ore e il suo racconto – spesso contraddittorio – non ha mai dissipato i dubbi. A rafforzare il mistero, il fatto che la notizia della morte venne diffusa solo dopo il funerale, già avvenuto il 7 luglio, con una cerimonia lampo al cimitero di Père-Lachaise a Parigi.
Oggi, grazie al documentario Before the End, l’idea che Jim Morrison sia ancora tra noi torna a serpeggiare. Magari seduto al bancone di un bar di Syracuse, con un nome diverso e una vita normale. Una teoria improbabile, forse. Ma che si sposa perfettamente con la leggenda di un uomo che della fuga dal sistema e del flirt con la morte aveva fatto il proprio manifesto.
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Mistero
Extraterrestre, portami via: il mistero di 3I/ATLAS divide gli scienziati. Si tratta di una sonda aliena?
Il corpo celeste 3I/ATLAS, individuato dai telescopi cileni, ha una traiettoria insolita che incuriosisce la comunità scientifica. Avi Loeb, astrofisico di Harvard, parla di possibile origine artificiale. Ma altri esperti frenano gli entusiasmi: «Nulla che non si possa spiegare con le leggi della natura».

Non capita tutti i giorni di intercettare un viaggiatore cosmico proveniente da lontano. Eppure, all’inizio di luglio, i telescopi Atlas in Cile hanno individuato 3I/ATLAS, un oggetto che arriva da oltre il confine del nostro sistema solare. Solo due prima di lui avevano attraversato il nostro vicinato galattico: ‘Oumuamua nel 2017 e la cometa Borisov nel 2019. Ogni volta, puntuale, si accende il dibattito tra scettici e sognatori.
Questa volta, a far discutere è l’interpretazione di Avi Loeb, astrofisico di Harvard noto per le sue teorie non convenzionali. Secondo lui, 3I/ATLAS non sarebbe un semplice sasso ghiacciato lanciato nello spazio da una stella lontana, ma qualcosa di più intrigante. «La sua traiettoria è sorprendentemente allineata con il piano orbitale dei pianeti», sottolinea, ipotizzando che possa trattarsi di una sorta di sonda interstellare, inviata da una civiltà aliena per osservare i sistemi abitabili.
Immaginarla come un piccolo messaggero cosmico, silenzioso e indifferente alle nostre paure, fa vibrare la fantasia di chi sogna il contatto con altre forme di vita. Ma la scienza, si sa, preferisce la prudenza alle suggestioni. A spegnere i toni fantascientifici è l’astrobiologa Karen Meech, dell’Università delle Hawaii, che invita a leggere i dati senza cedimenti alla narrativa da film: «Si tratta di una cometa interstellare. Non c’è bisogno di evocare sonde aliene per spiegare il suo comportamento».
Gli studi preliminari mostrano che 3I/ATLAS emette gas e polveri come un classico corpo ghiacciato in avvicinamento al Sole. Nessun segnale artificiale, nessuna accelerazione inspiegabile. Eppure, il fascino dell’ipotesi alternativa resiste: in fondo, l’universo è immenso e il passaggio di un viaggiatore cosmico così raro non può che alimentare la curiosità di astronomi e appassionati.
Nei prossimi mesi, i telescopi terrestri e spaziali continueranno a monitorarlo, nella speranza di catturare nuovi dati sulla sua composizione e sui dettagli orbitali. Cometa o sonda aliena, 3I/ATLAS ci ricorda che il cosmo è tutt’altro che silenzioso e che, oltre la bolla del nostro sistema solare, qualcosa — o qualcuno — continua a muoversi.
Mistero
Parte la caccia al galeone con un tesoro da 4 miliardi di dollari!
Indipendentemente dall’esito della ricerca, il fascino e il mistero che circondano la Royal Merchant continueranno a catturare l’immaginazione di persone di tutto il mondo. Che il tesoro venga trovato o meno, la sua storia rimarrà parte integrante del folklore marittimo per sempre.

Un’ancora gigantesca, ripescata per caso davanti alle coste della Cornovaglia, ha riportato alla luce una storia leggendaria: quella dell’El Dorado of the Seas, con un tesoro stivato stimato oltre i 4 miliardi di dollari. Ora, parte la caccia per recuperare questo naufragio storico, con la speranza di riportare alla luce una fortuna sommersa per secoli.
Il naufragio epico
Nel 1641, la Royal Merchant, ribattezzata El Dorado of the Seas, affondò al largo di Lands End, nell’Inghilterra orientale, mentre tornava dal Messico. A bordo trasportava un carico incredibile: 45 tonnellate d’oro, 400 lingotti d’argento messicano e 500.000 “pezzi da otto”.
L’ancora ritrovata
Nel 2019, il peschereccio Spirited Lady tirò su un’ancora enorme, scatenando l’interesse degli esperti che ipotizzano appartenesse alla Royal Merchant. Questo ha dato il via alla nuova ricerca del tesoro secolare.
La ricerca del tesoro
La Multibeam Services, una società specializzata nel recupero di carichi marittimi con sede in Cornovaglia, ha pianificato una spedizione per il recupero del relitto. Utilizzeranno tecnologie avanzate come sommergibili telecomandati con sonar e telecamere per coprire un’area di 200 miglia quadrate del Canale della Manica.
Investimenti e Costi
La ricerca del tesoro avrà un costo di venti milioni di sterline, ma l’eventuale ritrovamento potrebbe valere miliardi. Multibeam Services assicura di avere il team e la tecnologia necessari per trovare il relitto, con oltre 35 anni di esperienza nel settore.
La concorrenza
Tuttavia, Multibeam non è l’unico interessato al tesoro. Altre società e individui potrebbero essere coinvolti nella caccia, poiché 4 miliardi di dollari sono una tentazione irresistibile per molti.
La tecnologia all’avanguardia
Multibeam utilizzerà sommergibili senza pilota dotati di sonar e telecamere di ultima generazione per esplorare i fondali marini e individuare il relitto. Questa tecnologia ha dimostrato di essere efficace nel trovare relitti precedenti.
Le sfide legali
Ricerche precedenti, come quella condotta dalla Odyssey Marine Exploration nel 2007, si sono scontrate con complicazioni legali riguardanti la proprietà del relitto. Sarà importante affrontare le questioni legali in modo chiaro e trasparente.
Il ritorno della leggenda
Il ritrovamento dell’ancora ha riportato alla ribalta una delle storie più leggendarie dei mari. La caccia al tesoro della Royal Merchant promette di essere un’avventura epica e potrebbe cambiare la fortuna di chiunque riesca a trovarla.
L’attesa
Mentre la Multibeam Services si prepara per la spedizione, il mondo tiene il fiato sospeso nell’attesa di notizie sul recupero del tesoro. Questo potrebbe essere il naufragio più ricco della storia, con enormi implicazioni finanziarie e storiche.
Mistero
Abbattuto l’albero di Robin Hood: condannati a 4 anni i due uomini ubriachi che lo segarono per “divertimento”
Il Sycamore Gap Tree era uno degli alberi più celebri del Regno Unito. I due uomini che lo hanno tagliato hanno agito sotto i fumi dell’alcol, con motosega e vernice spray. La giudice: “Lo hanno fatto per compiacersi, non per caso”.

Quattro anni e tre mesi di carcere per aver tagliato un albero. Ma non un albero qualunque. Era il Sycamore Gap Tree, il leggendario acero secolare affacciato sul Vallo di Adriano, diventato famoso in tutto il mondo grazie al film “Robin Hood, principe dei ladri” con Kevin Costner. Un simbolo della Gran Bretagna, patrimonio dell’Unesco, meta di pellegrinaggio per turisti, cinefili e amanti della natura. Fino a quella notte folle.
Era l’alba del 28 settembre 2023 quando Daniel Michael Graham, operaio di 39 anni, e Adam Carruthers, meccanico 32enne, sotto l’effetto dell’alcol, raggiunsero il sito con una motosega e della vernice spray. Tagliarono l’acero nel punto esatto per farlo crollare più in fretta, approfittando dei venti della tempesta Agnes. Filmavano tutto, ridendo. Il gesto sconvolse il Paese. Lo shock fu immediato. All’inizio fu arrestato un sedicenne, poi rilasciato. Ma le indagini andarono avanti, fino all’arresto dei due veri responsabili, ora condannati.
La giudice Sarah Lambert ha usato parole durissime: “Non è stata una semplice bravata da ubriachi. C’è stata pianificazione. E un certo compiacimento. Lo hanno fatto per sentirsi famosi”. Il danno è stato quantificato in 458mila sterline, ma la perdita è incalcolabile. “Era un santuario per molti”, ha detto Andrew Poad del National Trust. “Apparteneva alla nazione, ai cittadini. Un simile vandalismo è inimmaginabile”.
Nel tentativo di salvare l’albero, gli esperti si sono mobilitati per mesi. Inutilmente. L’acero era troppo danneggiato. “È una scena terribilmente triste”, ha scritto l’autore LJ Ross, che gli aveva dedicato un romanzo. Sui social del pub vicino, il Crown Inn, si leggeva: “Molti nostri clienti venivano per l’albero. Come si può essere così idioti?”.
Domanda legittima, alla quale la giustizia britannica ha risposto con severità. I due vandali ora sconteranno la loro pena in carcere. Ma l’albero di Robin Hood non tornerà più. E con lui, un pezzo del paesaggio e della memoria collettiva.
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