Mondo
Burke, Sarah, Müller: in Conclave gli ultraconservatori contro Francesco
Dalla comunione ai divorziati al ruolo delle donne nella Chiesa: le battaglie della fronda più tradizionalista, tra accuse, polemiche e una contrapposizione ormai decennale con il pontificato di Francesco. Ma i numeri, oggi, non sono dalla loro parte.
Sono agguerriti ma isolati. Determinati a far sentire la propria voce, ma condannati, come già in passato, a restare ai margini.
Nel Conclave che dovrà eleggere il successore di papa Francesco si affacciano anche loro: i cardinali ultraconservatori, protagonisti per oltre un decennio di una contestazione costante e rumorosa contro le riforme del pontificato di Bergoglio.
Non si tratta di un’opposizione nuova. Fin dal 2013, quando Jorge Mario Bergoglio fu eletto, si delineò una fronda interna, prevalentemente collocata nell’area più tradizionalista del Sacro Collegio. Una fronda che non aveva mai perdonato la rinuncia di Benedetto XVI, considerata un gesto che aprì la strada a un cambiamento temuto e osteggiato. «Sarà un disastro», avrebbe commentato a caldo in Cappella Sistina il cardinale sloveno Franc Rodé, esprimendo un sentimento diffuso tra i nostalgici dell’ortodossia preconciliare.
Da sinodo a sinodo: lo scontro sulle riforme
La battaglia si è inasprita con i Sinodi sulla famiglia del 2014 e del 2015, quando iniziarono a circolare aperture sulle coppie di fatto, sull’accoglienza delle persone omosessuali e sulla possibilità di accesso all’eucaristia per i divorziati risposati.
Una rivoluzione che trovò una sua formalizzazione nell’esortazione apostolica Amoris Laetitia, e che scatenò la reazione più dura degli ultraconservatori: i “dubia” presentati nel 2016 da quattro cardinali – Raymond Leo Burke, Walter Brandmüller, Joachim Meisner e Carlo Caffarra – che, con linguaggio filiale ma tono fermo, chiesero chiarimenti al Papa su aspetti dottrinali fondamentali.
Sempre gli stessi temi, sempre le stesse barricate
Da allora, le occasioni di scontro non sono mancate. L’omosessualità, il celibato sacerdotale, il ruolo delle donne nella Chiesa, il ritorno alla Messa preconciliare: ogni tentativo di riforma, ogni segnale di apertura è stato accolto da una levata di scudi. Con toni che, col passare degli anni, si sono fatti via via più duri.
Tra i protagonisti di questa opposizione permanente c’è il cardinale americano Raymond Leo Burke, 76 anni, sostenitore convinto di Donald Trump e strenuo difensore della liturgia tradizionale. Negli ultimi tempi, il suo rapporto con il Vaticano si è ulteriormente deteriorato: Francesco gli ha tolto il diritto a un alloggio gratuito e alla pensione cardinalizia, segnando così la fine formale di ogni benevolenza istituzionale.
I nuovi volti della fronda
Accanto a Burke, si sono fatti strada altri esponenti del fronte conservatore. Il cardinale guineano Robert Sarah, 79 anni, già prefetto della Congregazione per il Culto Divino, si è distinto per le critiche aperte alla gestione bergogliana del sinodo sull’Amazzonia, soprattutto sul tema dei “viri probati”, cioè l’ipotesi di ordinazione sacerdotale per uomini sposati in zone remote.
Un dissenso culminato nella pubblicazione di un libro – inizialmente presentato come scritto a quattro mani con Benedetto XVI – in difesa del celibato sacerdotale obbligatorio. Un’operazione che suscitò clamore e imbarazzo, anche a causa della successiva smentita da parte dell’entourage del Papa emerito.
Tra i più attivi nel criticare il pontificato c’è anche il cardinale tedesco Gerhard Ludwig Müller, 77 anni, prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede sotto Benedetto XVI e poi confermato da Francesco, salvo essere congedato nel 2017. Da allora, Müller ha moltiplicato interventi e interviste pubbliche, contestando le aperture verso i divorziati, il sinodo dei giovani, il sinodo sull’Amazzonia e l’ipotesi di un maggiore ruolo delle donne nella Chiesa.
Minoranza rumorosa
Nonostante la visibilità mediatica e il peso storico di alcuni protagonisti, gli ultraconservatori restano una minoranza nel Collegio cardinalizio. Non perché i cardinali creati da Francesco siano tutti progressisti – anzi, molti provengono da contesti pastorali molto diversi, spesso lontani da qualunque etichetta ideologica – ma perché l’impronta globale e pastorale impressa da Bergoglio ha reso marginale il tradizionalismo più rigido.
Burke, Sarah e Müller entrano in Conclave con la volontà di orientare il dibattito, di frenare ulteriori aperture, di invocare una restaurazione della disciplina tradizionale. Ma, nella realtà dei numeri, le loro possibilità di determinare l’elezione del nuovo Papa appaiono estremamente limitate.
Un segnale, più che un programma
Il loro peso politico oggi risiede più nella testimonianza di una protesta che nella capacità di incidere realmente sulla scelta del futuro Pontefice. Difficilmente un loro candidato potrà essere eletto. Più probabile, semmai, che il loro dissenso venga assorbito, in parte neutralizzato, da un collegio cardinalizio che – pur non rinnegando la tradizione – sembra orientato a scegliere un successore capace di proseguire, magari con toni diversi, il cammino tracciato negli ultimi dodici anni.
Ma quanto la voglia di una frenata sulle riforme sarà condivisa oltre i confini della fronda più radicale, lo diranno solo le votazioni a porte chiuse. E a quel punto, più che i proclami, parleranno i numeri.
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Mondo
Epstein, pubblicati i file: oltre 1.200 vittime identificate. I democratici accusano: “Documenti censurati”. Ecco le foto!
Dopo mesi di pressioni politiche, il Dipartimento di Giustizia americano ha iniziato a diffondere i documenti segreti sul caso Epstein. Il vice procuratore generale parla di almeno 1.200 vittime identificate, anche se in gran parte anonime. Spuntano foto, contatti, riferimenti e una lunga agenda: materiale che non prova automaticamente reati di terzi, ma riapre interrogativi su anni di abusi e complicità taciute. Intanto i democratici attaccano: “Pubblicazione incompleta e censurata”.
Il caso Epstein torna a scuotere gli Stati Uniti e mezzo mondo. Il Dipartimento di Giustizia ha iniziato a pubblicare parte dei documenti finora segreti legati alle indagini sul finanziere condannato per abusi sessuali e morto in carcere nel 2019. Non tutti gli atti, ma oltre 300.000 pagine: un archivio enorme, atteso da anni, che racconta la rete di vittime, complicità e contatti costruita nel tempo.











Oltre 1.200 vittime, ma molti nomi restano oscurati
Il vice procuratore generale ha confermato che sono state individuate più di 1.200 vittime, anche se la maggior parte dei nomi resta coperta per ragioni di privacy. Tra i materiali pubblicati compaiono elenchi, agende, verbali, corrispondenze e un documento con 254 “massaggiatrici”. Molti dettagli sono censurati, e proprio su queste oscurature i democratici americani hanno già sollevato critiche: “Pubblicazione incompleta, molti documenti fondamentali sono ancora coperti”, accusano.
Agende, foto e contatti dell’élite globale
Dentro il materiale emergono frammenti che riaccendono dubbi e curiosità. Tra le immagini circolate, una in particolare ha attirato l’attenzione: Bill Clinton sorridente in una vasca idromassaggio accanto a una donna il cui volto è stato oscurato per proteggerne la privacy. Non significa automaticamente che l’ex presidente abbia commesso reati, ma alimenta le domande di chi sospetta da sempre la vicinanza tra Epstein e parte dell’élite americana. Nei documenti compaiono anche contatti legati all’universo Trump, inclusi Ivana e Ivanka, senza prove di comportamenti illeciti.
Molti italiani figurano tra gli interlocutori di Epstein: tra i nomi ricordati, Flavio Briatore e Giuseppe Cipriani, accanto a personalità del mondo dello spettacolo, della finanza e della cultura internazionale, da Mick Jagger al premio Nobel per la pace e sopravvissuto all’Olocausto Elie Wiesel. In una fotografia compare anche Michael Jackson. Ancora una volta: nomi e presenze non equivalgono automaticamente a responsabilità penali, ma mostrano quanto fosse penetrante la rete di relazioni di Epstein.
Gli atti sugli abusi: un sistema costruito per anni
Tra i documenti declassificati non ci sono solo foto e nomi. Ci sono ricostruzioni precise che riguardano gli abusi e la tratta sessuale minorile. In più parti si racconta come, tra il 1999 e il 2007, con la partecipazione di Ghislaine Maxwell e altri complici, Epstein abbia abusato di numerose ragazze minorenni, reclutate, intimidite, costrette al silenzio. In alcuni atti viene chiarito come Epstein sapesse perfettamente di commettere reati, e come abbia incentivato alcune vittime a reclutare altre ragazze in cambio di denaro.
Il sito è andato in tilt
Il sito del Dipartimento di Giustizia, intanto, è stato sovraccarico per ore: “Sei in fila”, recitava la schermata di accesso, segno di un interesse globale che non accenna a diminuire.
Ora resta da capire cosa emergerà dai documenti ancora coperti, quali altri materiali verranno pubblicati, e se questa nuova ondata di informazioni potrà portare a nuove indagini, nuovi nomi, nuovi capitoli giudiziari. Per ora, resta un gigantesco archivio che racconta un sistema di violenza, potere e silenzi. E dimostra quanto la storia di Jeffrey Epstein non sia ancora finita.
Mondo
Scommettere sulla guerra e sulle catastrofi: quando il conflitto diventa merce per trader
Piattaforme cripto come Polymarket e app-mappe come PolyGlobe trasformano le crisi globali in previsioni – e lucro. Ma dietro la “previsione” si nascondono opacità, conflitti etici e rischi reali.
Con l’avvento delle criptovalute, piazzare scommesse su eventi globali diventati incomprensibili — guerre, carestie, instabilità economiche — non è mai stato così semplice. Al centro di questo nuovo e controverso panorama c’è – oggi – Polymarket: una piattaforma cripto che consente di puntare su catastrofi, conflitti, elezioni e crisi, trattando il destino delle persone come merce.
Polymarket non è una semplice linea di scommesse sportive: permette di comprare e vendere “contratti di probabilità” su eventi reali, trasformando l’incertezza geopolitica in un prodotto finanziario. Alcuni definiscono questi strumenti “mercati predittivi”, altri li chiamano — senza mezzi termini — casinò digitali.
Perché molti puntano sull’orrore
La logica che spinge un mercato come Polymarket è semplice: il conflitto globale, gli scenari politici instabili, gli eventi catastrofici generano incertezze. Dove c’è incertezza, c’è domanda di “previsioni”. In un mondo che consuma notizie e reazioni in tempo reale, la speculazione sulle conseguenze di guerre, elezioni, crisi economiche diventa una commodity — e un’occasione per scommettere.
Alcuni analisti spiegano che questi mercati possono — almeno in teoria — riflettere “il sentiment collettivo”, offrendo uno specchio in tempo reale delle aspettative globali.
Tuttavia il confine tra previsione e scommessa è labile, e le conseguenze etiche sono tangibili: quando si scommette su morti, distruzioni o esiti tragici, il profitto diventa direttamente collegato al dolore altrui. Critici e avvocati lo definiscono «cynical», immorale.
Dalla mappa al portafoglio: l’ascesa di PolyGlobe
Per seguire questi mercati si è diffusa recentemente un’app — PolyGlobe — pensata per “mappare” le scommesse su eventi globali. In pratica trasforma le probabilità in geo-punti visualizzabili su una mappa: così un conflitto in Ucraina, una crisi in Medio Oriente o una potenziale guerra globale diventa un’opportunità finanziaria navigabile.
Secondo i suoi sviluppatori, l’app fornisce anche dati “open source in tempo reale” (tweet, report, fonti OSINT) per seguire l’evoluzione degli eventi, e un’interfaccia con grafici che ricordano quelli di un listino azionario. Il mercato diventa immediatamente visibile, tracciabile, speculabile.
Ma quanto sono affidabili questi mercati?
Diversi esperti mettono in guardia:
- Il meccanismo di risoluzione dei contratti può essere opaco o arbitrario. Il risultato di una scommessa — su guerre, vittorie politiche o eventi economici — spesso viene deciso da comitati anonimi o token holder crittografici, non da decisioni oggettive. Questo apre a rischi di manipolazione.
- Anche in mercati “trasparenti”, basta una grande puntata iniziale di un professionista per alterare drasticamente le probabilità, creando un consenso artificiale: le probabilità non riflettono più un’opinione collettiva, ma le scelte di pochi.
- Dal punto di vista etico, scommettere su guerra, crisi o disastri significa mettere la propria posta sul destino di vite umane, deprivandolo di qualsiasi rispetto. Trasforma tragedie in grafici e numeri.
Regole, chi decide? Il quadro normativo è in bilico
Fino a poco tempo fa, in molti paesi questi mercati erano in un limbo legale. Commodity Futures Trading Commission (CFTC), autorità americana, considerava Polymarket come una piattaforma di derivati non registrata — e nel 2022 costrinse la società a bloccare gli utenti statunitensi, multandola.
Ma nel 2025 la situazione è cambiata: grazie a una acquisizione e a un nuovo accordo, Polymarket ha ottenuto il via libera per operare nuovamente negli USA come exchange regolamentato.
Questo riporta il dibattito su un terreno controverso: se da un lato si legittima il mercato predittivo, dall’altro si rafforza la critica che identifica in queste piattaforme una forma di gioco d’azzardo legalizzato, con tutte le implicazioni che ne derivano.
Mercato, ma a quale prezzo?
Mercati come Polymarket e strumenti come PolyGlobe rappresentano un’innovazione tecnologica e finanziaria: prevedere eventi, speculare sull’incertezza, raccogliere informazioni. Ma trasformare guerra, crisi e tragedie umane in scommesse e token traduce la sofferenza collettiva in profitto individuale. La promessa di “trasparenza” e “intelligenza collettiva” — per quanto seducente — non cancella il fatto che dietro ogni dato, ogni probabilità, ci siano vite reali.
E anche se oggi queste piattaforme possono essere regolamentate in alcuni paesi, il dibattito etico resta. Perché certi mercati sono costruiti non su desideri o sogni, bensì su paura, morti e disperazione. In definitiva: un “mercato predittivo” può forse anticipare eventi, ma non rende giustizia al valore della vita.
Mondo
Nicolas Sarkozy, bagno di folla a Parigi per il libro sul carcere e ora parte il tour in Francia con Carla Bruni sempre al suo fianco
Migliaia di persone in fila a Parigi per Nicolas Sarkozy e il suo nuovo libro Diario di un prigioniero, in cui racconta le tre settimane trascorse nel carcere di La Santé. Dopo il successo del firmacopie, parte il tour francese. Al suo fianco, come sempre, Carla Bruni, accolta da applausi e attenzioni nella capitale.
Altro che ritiro silenzioso. Nicolas Sarkozy torna al centro della scena pubblica con un bagno di folla che ha sorpreso anche i più scettici. A Parigi, il firmacopie del suo nuovo libro Diario di un prigioniero (Le Journal d’un prisonnier) si è trasformato in un evento di massa: migliaia di fan, una coda interminabile e un clima da grande ritorno, più vicino a una tournée rock che a una presentazione letteraria.
Il libro e le tre settimane a La Santé
Nel volume Sarkozy racconta in prima persona le tre settimane trascorse nel carcere parigino di La Santé. Un diario asciutto e personale, costruito sul racconto della quotidianità dietro le sbarre, delle riflessioni notturne, del tempo che si dilata e del peso simbolico di una detenzione vissuta da ex presidente della Repubblica.
Il titolo non lascia spazio a interpretazioni: Diario di un prigioniero è una scelta diretta, quasi provocatoria. Sarkozy non cerca scorciatoie narrative, ma mette al centro l’esperienza personale, trasformandola in racconto politico ed esistenziale insieme. Una formula che, a giudicare dalla risposta del pubblico, funziona eccome.
Parigi in fila per Sarkozy
Il firmacopie parigino ha avuto toni da evento popolare. File che si allungavano per ore, lettori di ogni età, curiosi e sostenitori accorsi per stringere la mano all’ex capo dell’Eliseo e farsi autografare una copia. Scene che raccontano un personaggio che, nonostante le vicende giudiziarie e il tempo passato, continua a catalizzare attenzione e consenso emotivo.
Non solo politica, ma anche una forte componente umana. Molti fan hanno raccontato di sentirsi toccati dal racconto della prigionia, di riconoscere nel libro una fragilità che raramente si associa a un leader di quel calibro. Sarkozy, dal canto suo, si è mostrato disponibile, sorridente, visibilmente coinvolto dall’accoglienza.
Il tour in Francia e la coppia Sarkozy-Bruni
Dopo Parigi, ora parte il tour in tutta la Francia. Presentazioni, incontri con i lettori, nuove tappe che porteranno l’ex presidente a confrontarsi con un pubblico ancora ampio e curioso. Al suo fianco, come sempre, Carla Bruni.
La moglie lo accompagna in ogni appuntamento e a Parigi è stata, come prevedibile, osannata. Elegante, discreta ma centralissima nell’immaginario collettivo, Bruni resta una figura capace di attirare attenzione quasi quanto il marito. La coppia continua a funzionare anche sul piano mediatico: lui protagonista del racconto politico-personale, lei icona di stile e presenza rassicurante.
Tra racconto personale e ritorno pubblico
Il successo del libro e l’accoglienza parigina segnano un passaggio chiaro. Sarkozy non parla più solo da ex presidente, ma da uomo che ha attraversato una fase dura e ha deciso di raccontarla senza filtri. Una scelta che divide, ma che certamente non lascia indifferenti.
Il tour francese diventa così molto più di una semplice promozione editoriale. È un ritorno nello spazio pubblico, un confronto diretto con i lettori e, inevitabilmente, con l’opinione pubblica. Tra applausi, curiosità e discussioni, Diario di un prigioniero si impone come uno dei casi editoriali più chiacchierati del momento.
E mentre le file continuano ad allungarsi e le tappe del tour si moltiplicano, una cosa appare evidente: Nicolas Sarkozy, nel bene e nel male, resta un personaggio capace di riempire piazze, librerie e conversazioni. Con Carla Bruni sempre al suo fianco, a ricordare che anche questa storia è, prima di tutto, una storia di coppia sotto i riflettori.
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