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Cannabis, l’erba dei tedeschi è più verde della nostra

Dalla Germania al Portogallo sono sei i paesi europei dove la cannabis è regolamentata. E gli altri? Dopo due anni di dibattito e ripensamenti la Germania finalmente disciplina l’uso della cannabis a scopo ricreativo.

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    Dalla Germania al Portogallo sono sei i paesi europei dove la cannabis è regolamentata. E gli altri? Dopo due anni di dibattito e ripensamenti la Germania ha finalmente disciplina l’uso della cannabis a scopo ricreativo. Scusa? Eh sì per noi italiani sembra fantascienza.

    Sembrava un pesce d’aprile…

    Ma quella tedesca non è proprio una liberalizzazione Si tratta di una regolamentazione in più fasi all’interno di un percorso a tappe. Dal 1° aprile 2024, infatti, ogni cittadino tedesco maggiorenne, può coltivare a casa fino a tre piante di cannabis. E inoltre può portare con sé fino a 25 grammi d’erba e conservarne fino a 50 grammi. E’ stata la prima tappa di quella che il governo tedesco ha definito “una maratona per la tutela della salute e il contrasto della criminalità“. Dal primo luglio inoltre è consentita anche la coltivazione in forma associata. Cioè? Si tratta di cannabis club, diversi dai coffe shop olandesi, ma più vicini a quelli aperti a Barcellona.

    Cannabis solo con i social club

    I cannabis club tedeschi si occupano di coltivare cannabis per tutti gli iscritti. Ogni socio può consumare al massimo 50 grammi al mese, ma se si ha tra i 18 e i 21 anni i grammi sono 30. Anche il Thc, la percentuale di principio attivo è cambiata. Il 15% al massimo per gli over 21, e il 10% per gli under. Ogni club può servire al massimo 500 persone, così da attrezzarsi per coltivare al massimo 25 chili d’erba al mese. Il Governo tedesco ha deciso che tra due anni ci sarà la prima valutazione sull’impatto sociale della nuova normativa. L’obiettivo è quello di limitare il ricorso al mercato illegale degli stupefacenti, e cercare di governare una riduzione del danno.

    Intanto a Malta i consumatori si associano…

    A Malta è operativa da qualche mese la prima “associazione dei consumatori” aperta solo ai residenti dell’isola, con la licenza di coltivare la cannabis, senza fine di lucro e solo per i soci. Il primo club ad aprire sull’isola, la Kdd Society, ha raccolto 150 iscrizioni solo nei primi due giorni. Oltre a disciplinare i cannabis club, le nuove norme hanno previsto anche la cancellazione retroattiva delle condanne inflitte con le leggi proibizioniste in vigore fino al 2021. Anche il Lussemburgo dallo scorso mese di giugno è diventato il secondo paese dell’UE, dopo Malta, a legalizzare la coltivazione e il consumo personale di cannabis per adulti.

    La depenalizzazione in Portogallo

    Nel 2001 il Portogallo aveva depenalizzato l’uso e il possesso di piccole quantità di tutte le droghe per uso personale. Questo significa che se la polizia sorprende qualcuno con una certa quantità di cannabis o altro stupefacente si tenta di dissuadere. Come? Le persone vengono invitate quindi a desistere dalla tossicodipendenza o devono a pagare una multa, ma senza sanzioni penali. La coltivazione e il commercio di cannabis in Portogallo restano comunque illegali, mentre la cannabis a basso contenuto di Thc, la cosiddetta cannabis legale, non è regolamentata per legge, ma molto diffusa.

    E ad Amsterdam a che punto siamo?

    I Paesi Bassi sono sempre stati considerati il paradiso della cannabis. Ma le cose non stanno precisamente così. Il suo uso personale è depenalizzato, quindi non si viene perseguiti penalmente se si possiedono piccole quantità per uso personale. La vendita di cannabis è consentita ma solo nei coffee shop, locali autorizzati dal governo che devono rispettare alcune regole. Tra queste: non vendere più di 5 grammi di cannabis per persona al giorno e non creare disturbo all’ordine pubblico.

    Francia più severa

    Sulla cannabis la terra della Rivoluzione e delle recenti Olimpiadi che si sono svolte a Parigi, ha una delle legislazioni più severe d’Europa. L’uso, il possesso, la coltivazione e il commercio di questa sostanza sono illegali e puniti con multe o carcere. Dal 2020 l’uso medico è stata autorizzato ma solo per alcuni pazienti selezionati per un esperimento clinico. Come la Francia si comportano anche Irlanda, Grecia e Finlandia che hanno legislazioni molto simili. Più complessa è la legislazione in Spagna. Il primo cannabis club nacque nel 1991 in Catalogna, oggi sono centinaia, la stragrande maggioranza concentrata a Barcellona. Sarebbero riservati ai residenti, ma in realtà sono aperti anche ai turisti. Proprio come ad Amsterdam.

    Dove è legale aumenta il consumo?

    Secondo l’Agenzia europea per i medicinali e le droghe il Portogallo è il secondo Paese in Europa per consumo regolare, dietro solo alla Spagna. Secondo una indagine dell’Agenzia la cannabis è la sostanza illecita che i giovani iniziano a usare più precocemente, con un’età media di 17 anni. Ma a differenza degli adulti di età compresa tra i 25 e i 44 anni, in Portogallo i più giovani – tra i 15 e i 24 anni – hanno mostrato una diminuzione del consumo.

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      Khaby Lame espulso dagli USA. Invidia o sgarbo? L’influencer Maga rivendica il merito

      Bo Loudon, amico di Barron Trump, afferma di aver orchestrato l’espulsione del tiktoker: “Nessuno è al di sopra della legge”.

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        C’è del clamore mediatico attorno alla recente espulsione dagli Stati Uniti di Khaby Lame. Il popolare tiktoker italo-senegalese, che con il suo stile minimalista ha conquistato oltre 162 milioni di follower, è stato preso di mira. Dietro il provvedimento della sua espulsione c’è un nome sorprendente: Bo Loudon. Il giovane influencer legato alla famiglia Trump, presunto migliore amico di Barron, figlio minore dell’ex presidente è noto per la sua vicinanza ai circoli conservatori americani. Loudon ha rivendicato apertamente di aver avuto un ruolo determinante nell’espulsione. In una serie di post su X, ha dichiarato di aver “preso personalmente provvedimenti” per far sì che il 25enne venisse fermato. Ha lavorato “con i patrioti dell’amministrazione Trump” per ottenere l’arresto del tiktoker all’aeroporto di Las Vegas.

        Loudon vs. Lame. una rivalità tra Tiktoker?

        Secondo le autorità, Lame sarebbe rimasto oltre la scadenza del suo visto temporaneo. Lame è entrato negli USA il 30 aprile per partecipare al Met Gala a New York il 5 maggio. E’ stato fermato dagli agenti dell’US Immigration and Customs Enforcement (ICE) il 6 giugno allo scalo Harry Reid. Gli è stata concessa la “partenza volontaria”, lasciando così il Paese senza ulteriori conseguenze legali. Loudon, da parte sua, esulta per l’operazione: “Nessuno lavora più velocemente dell’amministrazione Trump“, ha scritto, sottolineando il ruolo che lui e Barron Trump avrebbero avuto nel garantire l’applicazione della legge.

        Dal comitato elettorale a poliziotto

        L’influencer di Palm Beach, nonostante la giovane età, è stato reclutato ufficiosamente nel team elettorale di Donald Trump. Il suo compito è quello di intercettare il voto della Generazione Z e il cosiddetto “bro vote”, ovvero il consenso dei giovani uomini americani. Ma dietro questo attivismo politico, alcuni vedono anche un velato sentimento di invidia. Lame è una star internazionale, mentre Loudon, pur vicino ai circoli di potere, resta una figura controversa e di nicchia. Il sospetto che questa espulsione sia stata motivata più da personalismi che da una reale emergenza legale è stato sollevato da diversi osservatori, soprattutto in un momento in cui Trump è alla ricerca di consensi tra i giovani. E Lame che fa? Risponderà? Forse sceglierà il silenzio e un’espressione sarcastica per dire tutto senza dire nulla.

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          Mondo

          “Mi sono alzato tra le fiamme e ho cominciato a correre”: il racconto dell’unico sopravvissuto alla strage di Ahmedabad

          “Non so come sia possibile, ma sono uscito vivo da lì”. Si chiama Vishwash Kumar Ramesh, ha 40 anni, la cittadinanza britannica e una famiglia a Londra. È l’unico sopravvissuto al disastro del Boeing Air India precipitato ad Ahmedabad. Il volo, diretto nel Regno Unito, si è schiantato poco dopo il decollo, provocando 240 morti. Il suo racconto, tra dolore e incredulità, arriva da un letto d’ospedale, dove è ricoverato con ustioni al volto, al petto e agli arti.

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            Vishwash non riesce a darsi una spiegazione, e forse non la troverà mai. Il boato, le fiamme, il buio, poi il silenzio. “Si è capito che qualcosa non andava a pochissimi secondi dal decollo”, ha raccontato. Prima un forte rumore, poi lo scoppio, un tonfo improvviso. E in un attimo, tutto intorno a lui è stato fuoco. Non c’è stato il tempo per gridare. Né per pensare.

            Era seduto al posto 11A, accanto al portellone di emergenza. Forse è stato questo a salvarlo. Quando ha riaperto gli occhi, era ancora vivo. Ustionato, confuso, ma vivo. “Mi sono alzato tra le fiamme e ho cominciato a correre, tra lamiere e corpi senza vita, cercando disperatamente un’uscita”. In tasca aveva ancora la carta d’imbarco. L’ha mostrata ai soccorritori come se fosse un talismano, una prova fisica di un passaggio rimasto inspiegabilmente aperto tra la vita e la morte.

            Nelle sue parole, spezzate dalla fatica e dal dolore, c’è un’immagine che torna più volte: quella dei passeggeri davanti a lui. Un’hostess, una coppia di anziani, e suo fratello Ajay. “Sono morti tutti davanti ai miei occhi”, ha detto. Il fratello, 45 anni, era accanto a lui. Viaggiavano insieme, di ritorno da una breve visita ai parenti. Avevano preso quel volo per tornare a casa, in Gran Bretagna, dove vivono da vent’anni. Uno solo è sopravvissuto.

            Il racconto prosegue come un sogno spezzato. “Mi muovevo quasi senza capire. C’erano pezzi dell’aereo ovunque, fumo, odore di carburante. A un certo punto ho visto qualcuno venirmi incontro. Poi l’ambulanza”. L’aereo, carico di cherosene per il lungo viaggio, ha preso fuoco subito dopo l’impatto con un edificio nei pressi dell’aeroporto. Era un ostello per studenti di medicina: tra le vittime, almeno cinque giovani che dormivano nelle stanze investite dalle lamiere.

            Vishwash ha provato a ricostruire quei secondi prima dello schianto. Secondo lui, qualcosa è andato storto appena dopo il decollo. “Sembrava che l’aereo si fosse fermato a mezz’aria. Poi ho visto accendersi luci verdi e bianche. I piloti hanno cercato di riprendere quota, ma non c’è stato niente da fare. È andato giù di colpo, a tutta velocità”. Quando l’aereo si è inclinato, il caos ha preso il sopravvento. I passeggeri si sono stretti ai sedili, molti hanno urlato. Lui ha stretto la cintura, poi il resto è venuto da sé.

            Dall’ospedale civile di Asarwa, dove è ricoverato, Vishwash ha parlato con un cronista del quotidiano Hindustan Times, ma anche con i giornalisti di NDTV. Ha raccontato tutto, senza cercare un senso. “La morte di mio fratello spezzerà il cuore alla nostra famiglia. Io ringrazio gli dei per il miracolo che mi ha salvato, ma porterò per sempre nel cuore questa tragedia”.

            Il posto 11A, accanto alla porta d’emergenza, è diventato un simbolo. Lo citano i medici, i cronisti, i soccorritori. È lì che sedeva l’unico sopravvissuto di un volo che non doveva finire così. È lì che, tra fumo, fuoco e lamiere, si è aperto un varco impossibile tra la fine e la vita.

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              Trump umiliato da un giudice: la Guardia Nazionale deve tornare alla California

              Gavin Newsom vince in tribunale: Trump ha superato i limiti costituzionali nel dispiegare la Guardia Nazionale. Il presidente dovrà restituire il controllo delle truppe allo Stato. La Casa Bianca grida all’abuso giudiziario, ma il danno politico è fatto.

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                Un altro schiaffone per Donald Trump. Non dalle urne, non dai democratici, ma direttamente da una corte federale. Il giudice Charles Breyer, togato di lungo corso a San Francisco, ha deciso che l’ex presidente ha agito in violazione della Costituzione quando ha ordinato il dispiegamento della Guardia Nazionale in California.

                In particolare a Los Angeles, dove ha inviato le truppe per presidiare edifici federali e reprimere le proteste, scavalcando il governo statale.

                La sentenza – 36 pagine fitte e giuridicamente inappellabili – è una vittoria fragorosa per Gavin Newsom, governatore democratico della California, che aveva citato in giudizio l’ex presidente all’inizio della settimana.

                Un atto che sembrava solo politico, e invece ha trovato pieno accoglimento in tribunale. Breyer ha scritto nero su bianco che Trump ha oltrepassato i limiti del suo potere e violato il decimo emendamento, quello che garantisce agli Stati l’autonomia su tutto ciò che non è espressamente demandato al governo federale.

                La sentenza è destinata a far rumore. Anche perché Trump, da comandante in capo, ha sempre rivendicato il diritto assoluto di impiegare la Guardia Nazionale come strumento d’ordine pubblico, anche contro il parere degli Stati. L’amministrazione ha già annunciato ricorso, parlando di “straordinaria intrusione nei poteri presidenziali”.

                Il Dipartimento di Giustizia ha chiesto la sospensione della sentenza, sostenendo che il presidente ha il diritto, quando lo ritiene necessario, di mobilitare le truppe statali per proteggere i funzionari e gli edifici federali.

                Ma il danno d’immagine è fatto. L’ex presidente si ritrova ancora una volta nell’angolo, accusato di autoritarismo, di scavalcare la democrazia locale per piegarla a fini di propaganda. Gavin Newsom lo ha scritto chiaramente su X: “Un tribunale ha confermato ciò che tutti sappiamo: l’esercito non appartiene alle strade delle nostre città. Trump deve porre fine all’inutile militarizzazione di Los Angeles. Se non lo farà, confermerà le sue tendenze autoritarie”.

                Il caso politico è tutt’altro che chiuso. Trump continua a riproporsi come uomo forte, deciso, pronto a usare ogni leva del potere per mostrare muscoli e disciplina, anche se in violazione delle regole. Ma il giudice Breyer gli ha ricordato che negli Stati Uniti il potere ha un limite, e quel limite si chiama Costituzione.

                Newsom, da parte sua, cavalca l’onda della vittoria: non è più solo il governatore glamour della California progressista, ma il volto di una resistenza istituzionale all’ex presidente. La sua stoccata finale: “Se Trump vuole usare i soldati, lo faccia nelle fiction di Hollywood, non nella realtà democratica americana”.

                E stavolta, il giudice lo ha detto chiaro: quel potere non gli appartiene.

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