Mondo
Caos alla corte di Trump e Musk: i Miller in bilico, tra le tensioni politiche e i rumors di una liaison
Lei braccio destro di Musk, lui stratega del presidente: ora la frattura tra i due egomani mette in crisi un matrimonio e accende i sospetti.

Stephen e Katie Miller: una coppia che sembrava perfetta, simbolo del potere nell’era trumpiana. Lui, consigliere fedelissimo di Donald Trump e architetto delle politiche più dure in tema di immigrazione, secondo solo a Susie Wiles nella cerchia ristretta del presidente. Lei, portavoce di Mike Pence durante il primo mandato di Trump, poi consulente di giganti come Apple sotto Biden e, di recente, figura chiave del Doge, il “ministero dell’Efficienza” creato ad hoc per gestire i rapporti con Elon Musk.
Un equilibrio costruito negli anni, cementato anche dal matrimonio celebrato nel 2020 con tanto di benedizione di Trump, presente a Washington solo per loro. Ma oggi questo equilibrio rischia di spezzarsi sotto i colpi di due personalità che più egomani non si può: The Donald e Musk, impegnati in un duello senza esclusione di colpi che infiamma la politica e trascina dentro anche i Miller.
Negli ultimi giorni, Katie si è ritrovata al centro del fuoco incrociato. Da un lato, la fiducia e la gratitudine verso Musk, di cui è una delle collaboratrici più stimate a SpaceX e, secondo i più maliziosi, anche la possibile nuova fiamma. Dall’altro, le pressioni che arrivano da Washington, dove l’essere stipendiata dall’ex alleato di Trump suona come un tradimento. La scelta è complicata: restare in Texas, nel cuore dell’impero spaziale di Musk, o tornare nella capitale per salvare la fedeltà politica e la credibilità del marito?
Intanto, la frattura tra Musk e Trump è ormai esplosa in pieno. Il presidente ha ordinato l’arresto di chiunque indossi una mascherina a Los Angeles durante le proteste anti-immigrazione e ha minacciato la revoca di appalti miliardari alle aziende di Musk. Musk ha replicato con la sua solita ironia e un post criptico su X, accusando Trump di essere nei file di Epstein. Una bomba che ha fatto tremare anche il matrimonio dei Miller, visto che Elon ha smesso di seguire Stephen sui social e i due, un tempo amici, ora nemmeno si parlano.
Il paragone con un’altra coppia famosa della politica americana viene spontaneo: Kellyanne e George Conway. Lei portavoce di Trump, lui avvocato liberal che arrivò a definire l’ex presidente “mentalmente instabile”. Anche lì, tra smentite e drammi familiari, alla fine arrivò il divorzio.
Sulla tenuta del matrimonio dei Miller oggi si scommette addirittura online. Il sito Gambling 911 permette di puntare sul futuro di questa strana coppia e sul prossimo soprannome che Trump userà per denigrare Musk. E tra le puntate più gettonate c’è anche la domanda più scottante: sarà davvero Katie la nuova musa di Musk? Nell’America dei pettegolezzi e dei complotti, nulla è impossibile.
INSTAGRAM.COM/LACITYMAG
Mondo
Trump umiliato da un giudice: la Guardia Nazionale deve tornare alla California
Gavin Newsom vince in tribunale: Trump ha superato i limiti costituzionali nel dispiegare la Guardia Nazionale. Il presidente dovrà restituire il controllo delle truppe allo Stato. La Casa Bianca grida all’abuso giudiziario, ma il danno politico è fatto.

Un altro schiaffone per Donald Trump. Non dalle urne, non dai democratici, ma direttamente da una corte federale. Il giudice Charles Breyer, togato di lungo corso a San Francisco, ha deciso che l’ex presidente ha agito in violazione della Costituzione quando ha ordinato il dispiegamento della Guardia Nazionale in California.
In particolare a Los Angeles, dove ha inviato le truppe per presidiare edifici federali e reprimere le proteste, scavalcando il governo statale.
La sentenza – 36 pagine fitte e giuridicamente inappellabili – è una vittoria fragorosa per Gavin Newsom, governatore democratico della California, che aveva citato in giudizio l’ex presidente all’inizio della settimana.
Un atto che sembrava solo politico, e invece ha trovato pieno accoglimento in tribunale. Breyer ha scritto nero su bianco che Trump ha oltrepassato i limiti del suo potere e violato il decimo emendamento, quello che garantisce agli Stati l’autonomia su tutto ciò che non è espressamente demandato al governo federale.
La sentenza è destinata a far rumore. Anche perché Trump, da comandante in capo, ha sempre rivendicato il diritto assoluto di impiegare la Guardia Nazionale come strumento d’ordine pubblico, anche contro il parere degli Stati. L’amministrazione ha già annunciato ricorso, parlando di “straordinaria intrusione nei poteri presidenziali”.
Il Dipartimento di Giustizia ha chiesto la sospensione della sentenza, sostenendo che il presidente ha il diritto, quando lo ritiene necessario, di mobilitare le truppe statali per proteggere i funzionari e gli edifici federali.
Ma il danno d’immagine è fatto. L’ex presidente si ritrova ancora una volta nell’angolo, accusato di autoritarismo, di scavalcare la democrazia locale per piegarla a fini di propaganda. Gavin Newsom lo ha scritto chiaramente su X: “Un tribunale ha confermato ciò che tutti sappiamo: l’esercito non appartiene alle strade delle nostre città. Trump deve porre fine all’inutile militarizzazione di Los Angeles. Se non lo farà, confermerà le sue tendenze autoritarie”.
Il caso politico è tutt’altro che chiuso. Trump continua a riproporsi come uomo forte, deciso, pronto a usare ogni leva del potere per mostrare muscoli e disciplina, anche se in violazione delle regole. Ma il giudice Breyer gli ha ricordato che negli Stati Uniti il potere ha un limite, e quel limite si chiama Costituzione.
Newsom, da parte sua, cavalca l’onda della vittoria: non è più solo il governatore glamour della California progressista, ma il volto di una resistenza istituzionale all’ex presidente. La sua stoccata finale: “Se Trump vuole usare i soldati, lo faccia nelle fiction di Hollywood, non nella realtà democratica americana”.
E stavolta, il giudice lo ha detto chiaro: quel potere non gli appartiene.
Mondo
Ecco chi sono i leader iraniani uccisi nell’attacco: dal capo dei pasdaran agli scienziati della bomba
Colpiti Salami, Bagheri, Shamkhani, Jafari e due scienziati nucleari. Ma i raid hanno devastato anche quartieri residenziali. E tra le vittime ci sono civili, donne, bambini. E forse pure mia nonna.

È partito come un attacco chirurgico ai siti nucleari, è finito come una decapitazione politica. Nell’operazione “Rising Lion”, Israele ha colpito dritto al cuore del potere iraniano. Non solo centrifughe e missili, ma nomi e volti che rappresentavano il pugno di ferro del regime.
Il più noto: Hossein Salami, comandante dei pasdaran, l’uomo che ad aprile aveva lanciato 300 droni su Israele e minacciato “l’inferno”. Ce l’ha trovato, dentro una palazzina ridotta in macerie. A capo della Guardia rivoluzionaria dal 2019, Salami era il simbolo del potere militare duro e puro, quello che non arretra, non media, non si scusa.
Ucciso anche Mohammad Hossein Bagheri, capo di Stato maggiore dell’esercito, teorico della riorganizzazione bellica del regime. Dal 2016 controllava le forze armate, dal 2022 era sotto sanzioni USA e Canada per la repressione interna. Al suo posto ora c’è Mousavi, ma il colpo è pesantissimo.
Ma la lista è lunga: Ali Shamkhani, consigliere personale della Guida suprema Khamenei. Mohammad Ali Jafari, ex capo dei pasdaran durante le operazioni in Siria e in Iraq. E poi due scienziati: Tehranchi, fisico teorico e stratega nucleare, e Abbasi, ex direttore dell’agenzia atomica.
I luoghi colpiti? Tutti: il sito di Natanz, scavato 50 metri sotto terra; l’Organizzazione per le industrie aerospaziali in piazza Nobonyad; il quartiere di Lazivan (presunto sito nucleare mai verificato); il distretto di Amir Abad e la società Pars Garna, legata alla costruzione di bunker per arricchire uranio.
Ma c’è anche l’altra faccia della guerra: i civili morti. Perché i missili hanno colpito anche quartieri abitati, distruggendo case, scuole, vite. Le stime parlano di decine di vittime non militari.
Il regime iraniano è in silenzio apparente. Ma la risposta potrebbe arrivare. E non sarà gentile.
Mondo
Migranti italiani a rischio deportazione a Guantanamo? Tajani rassicura: «Li riprendiamo, non finiranno a Cuba»
Il ministro degli Esteri Tajani interviene sul caso: «Siamo pronti a rimpatriarli, non finiranno a Guantanamo». Intanto la Casa Bianca smentisce le indiscrezioni del Washington Post

Il caso dei due italiani irregolari negli Stati Uniti, che secondo indiscrezioni rischierebbero la deportazione nel famigerato carcere di Guantanamo, sta agitando la politica italiana. A lanciare l’allarme è stato un articolo del Washington Post che parla di circa 9.000 migranti in attesa di espulsione verso la base americana a Cuba. Tra loro, sostiene la testata Usa, ci sarebbero anche cittadini europei, italiani inclusi.
Un’ipotesi che ha subito provocato reazioni. Secondo fonti parlamentari, uno dei due italiani sarebbe già stato rimpatriato nei giorni scorsi. Il secondo, invece, sarebbe in procinto di essere espulso e riportato in Italia. Ma la notizia dell’eventuale trasferimento a Guantanamo è stata bollata come «fake news» dalla portavoce della Casa Bianca, Karoline Leavitt. «Non c’è nessun piano per portare cittadini europei a Guantanamo», ha dichiarato.
A rassicurare ulteriormente ci ha pensato il ministro degli Esteri Antonio Tajani. Intervenuto a “Italia Europa” del Tg2, Tajani ha spiegato: «Domani avrò una telefonata con il segretario di stato americano Marco Rubio e affronterò anche questa questione, ma le nostre ambasciate e i nostri consolati negli Stati Uniti sono al lavoro, quindi direi che possiamo essere relativamente tranquilli».
Il ministro ha ricordato che l’Italia aveva già espresso la disponibilità a riprendere i propri cittadini irregolari. «Quando venne inviato il questionario qualche tempo fa, abbiamo fatto sapere agli Usa che eravamo pronti a rimpatriare i connazionali, garantendo loro tutti i diritti e l’assistenza consolare. Non ci sono quindi motivi per cui finiscano a Guantanamo».
Secondo le informazioni preliminari del Dipartimento per la Sicurezza nazionale americano, la struttura militare cubana verrebbe utilizzata come estrema soluzione solo per i migranti irregolari provenienti da Paesi che rifiutano il rimpatrio. Un’eventualità che non riguarderebbe dunque i cittadini italiani.
La vicenda, comunque, resta delicata. Anche perché la sola ipotesi di un trasferimento a Guantanamo – simbolo delle detenzioni extragiudiziali post 11 settembre – suscita comprensibili timori. Dal Viminale e dalla Farnesina assicurano massima vigilanza e dialogo continuo con Washington.
Intanto, l’attenzione resta alta. Il destino dei due italiani coinvolti sembra ormai segnato: il rimpatrio, e non un volo verso la base militare più discussa al mondo. Ma il caso, anche se ridimensionato, alimenta la riflessione sulle politiche migratorie internazionali e sulle scelte spesso drastiche di gestione dei flussi. In un contesto, quello delle relazioni tra Italia e Usa, che appare solido e collaborativo, ma che non smette di sollevare interrogativi.
-
Gossip1 anno fa
Elisabetta Canalis, che Sex bomb! è suo il primo topless del 2024 (GALLERY SENZA CENSURA!)
-
Cronaca Nera11 mesi fa
Bossetti è innocente? Ecco tutti i lati deboli dell’accusa
-
Sex and La City1 anno fa
Dick Rating: che voto mi dai se te lo posto?
-
Speciale Olimpiadi 202411 mesi fa
Fact checking su Imane Khelif, la pugile al centro delle polemiche. Davvero è trans?
-
Speciale Grande Fratello9 mesi fa
Helena Prestes, chi è la concorrente vip del Grande Fratello? Età, carriera, vita privata e curiosità
-
Gossip1 anno fa
È crisi tra Stefano Rosso e Francesca Chillemi? Colpa di Can?
-
Speciale Grande Fratello9 mesi fa
Shaila del Grande Fratello: balzi da “Gatta” nei programmi Mediaset
-
Gossip11 mesi fa
La De Filippi beccata con lui: la strana coppia a cavallo si rilassa in vacanza