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Da clausura a chef: la svolta gourmet delle suore ribelli di Belorado

Scisma, cioccolato e fornelli: le ex clarisse sfidano il Vaticano aprendo un ristorante e finendo sotto inchiesta per la vendita di lingotti d’oro.

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    La comunità delle Hermanas Clarisas di Belorado, un tempo monache di clausura nel monastero di Santa Chiara a Belorado, nella regione di Castiglia e León, ha deciso di percorrere una strada del tutto inedita. Dopo aver dichiarato il proprio scisma dalla Chiesa cattolica, uscendo dalla giurisdizione del Vaticano e prendendo le distanze dalle posizioni di Papa Francesco, le suore hanno avviato un’attività commerciale piuttosto singolare: l’apertura del primo “Ristorante di Clausura” ad Arriondas, nelle Asturie.

    Dai cioccolattini al Ristorante di Clausura

    Le clarisse di Belorado, già note per la loro produzione di cioccolatini artigianali, hanno annunciato con entusiasmo l’inaugurazione del loro nuovo progetto gastronomico sui social media, ringraziando il supporto della comunità locale. Il ristorante, situato nell’ex Hotel Ribera del Chicu, promette di offrire un mix di cucina tradizionale asturiana e specialità della tradizione clarissa, senza dimenticare i celebri dolci che in passato erano una delle loro principali fonti di sostentamento.

    Suore sfrattate dall’arcivescovo di Burgos

    Tuttavia, l’iniziativa delle suore non è priva di controversie. La decisione di lasciare la Chiesa è avvenuta a seguito di una dura presa di posizione contro il pontificato di Papa Francesco, accusato di aver tradito i principi della fede cattolica. Il loro allontanamento dal Vaticano ha portato anche a un contenzioso con l‘arcivescovado di Burgos, che ha ordinato lo sfratto delle religiose dal monastero di Santa Chiara, sostenendo che l’immobile appartiene alla Chiesa e non alle suore ribelli.

    Un menù pagato con lingotti d’oro

    Parallelamente, le ex monache di clausura sono finite sotto inchiesta per la vendita di lingotti d’oro per un valore di 130.000 euro, denunciata dalla stessa arcidiocesi di Burgos. Secondo le autorità ecclesiastiche, il metallo prezioso rientrava nei beni del monastero e la sua vendita sarebbe stata illecita. La Guardia Civile ha avviato indagini sulla provenienza di tali fondi e su sette fatture di compravendita di oro, effettuate tra luglio e agosto 2020, per un totale di oltre 250.000 euro. Le ex suore si difendono affermando di aver venduto depositi bancari e investimenti per acquistare lingotti d’oro come bene non deprezzabile, poi rivenduto per finanziare il ristorante e l’acquisto di un terreno di 7.000 metri quadrati a Covadonga, sempre nelle Asturie.

    Suore, cucina e affari

    Mentre le indagini proseguono, le ex clarisse, guidate dalla loro ex badessa Laura García de Viedma e dalle sorelle Myryam, Alma e Sion, continuano la loro nuova vita imprenditoriale, attirando l’attenzione sia dei fedeli che dei curiosi. Con un mix di spiritualità alternativa, cucina e affari, la comunità delle ex clarisse di Belorado sta ridefinendo il concetto stesso di clausura, passando dai chiostri del convento alle sale di un ristorante aperto al pubblico.

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      Trump riceve Conor McGregor alla Casa Bianca e scoppia la bufera: “Ha ospitato un condannato per stupro”

      Donald Trump sotto accusa per aver ricevuto alla Casa Bianca Conor McGregor: il lottatore irlandese, condannato per stupro, ha parlato di “governo farsa” e firmato un cappellino ispirato allo slogan di Trump.

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        Donald Trump ci ricasca. Stavolta è la festa di San Patrizio a diventare teatro di uno dei suoi momenti più controversi: il tycoon ha infatti accolto alla Casa Bianca Conor McGregor, celebre campione di arti marziali miste e volto divisivo non solo per le sue imprese sportive. Il fighter irlandese, infatti, è stato condannato a novembre per un caso di stupro, e la sua presenza accanto all’ex presidente Usa ha scatenato un’ondata di critiche e indignazione, tanto negli Stati Uniti quanto in Irlanda.

        Sorridente alla Casa Bianca

        McGregor è stato immortalato sorridente al fianco di Trump, con tanto di firma su un cappellino rosso con la scritta “Make Ireland Great Again”, chiaro omaggio allo slogan trumpiano. Ma oltre alle foto di rito e ai brindisi per la tradizionale ricorrenza irlandese, McGregor ha trovato anche il tempo per lanciare bordate al suo governo: “È un governo farsa, non fa nulla per gli irlandesi, l’immigrazione illegale è a livelli record. Gli americani devono sapere cosa sta succedendo nel mio Paese”, ha dichiarato ai cronisti nella sala stampa della Casa Bianca.

        Un endorsement problematico per Trump, che non è nuovo a ospitate controverse e dichiarazioni sopra le righe. Ma stavolta il tempismo e la figura di McGregor rendono la vicenda ancora più spinosa: accogliere in un evento ufficiale un personaggio condannato per un reato tanto grave non passa certo inosservato.

        McGregor, noto per la sua fama da “bad boy” e per le provocazioni dentro e fuori dal ring, sembra aver trovato nella Casa Bianca trumpiana un palcoscenico su misura. Ma la polemica è servita: già in patria, l’immagine del fighter era finita al centro di una bufera per le sue posizioni estreme su immigrazione e politica, che ora – complice l’invito di Trump – rischiano di fare ancora più rumore.

        Una foto che resterà, ma che rischia di pesare sulla corsa elettorale dell’ex presidente, sempre più deciso a trasformare la sua amministrazione – reale o immaginata – in una replica dorata di Mar-a-Lago.

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          Mondo

          Donald Trump trasforma la Casa Bianca in una Mar-a-Lago bis: oro, quadri e persino la Coppa del Mondo sul tavolo

          Nello Studio Ovale ora spuntano 20 quadri stretti come sardine, cimeli d’oro e persino una riproduzione del trofeo FIFA. E tra i progetti di Trump c’è pure l’idea di asfaltare il Giardino delle Rose per farne un patio “imperiale”.

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            Donald Trump e la sobrietà continuano a viaggiare su binari separati. Da sempre amante dell’opulenza senza freni, l’ex presidente e attuale inquilino della Casa Bianca sembra determinato a trasformare lo Studio Ovale in una succursale della sua celebre (e kitschissima) residenza di Mar-a-Lago. L’ultima “trovata”? Oro a profusione, quadri a valanga e una Coppa del Mondo ben in vista dietro la scrivania.

            Il regno del kitsch

            Il nuovo restyling della Casa Bianca non lascia spazio all’immaginazione: pareti completamente ricoperte da venti ritratti di personaggi storici – da Reagan a Lincoln, passando per Andrew Jackson e Benjamin Franklin – che rischiano di litigare per un centimetro di muro libero. Una scelta che stona con la sobrietà dei predecessori: Biden si era fermato a sei quadri, Obama addirittura a due, lasciando spazio anche all’arte contemporanea.

            Grandeur assoluta

            Trump, invece, va dritto verso la grandeur assoluta: sulla celebre Resolute Desk, accanto ai consueti telefoni rossi e neri, spunta un fermacarte dorato con il suo cognome a caratteri cubitali, nemmeno fosse la firma di un imperatore romano. Non contento, ha fatto sistemare su un tavolo alle sue spalle la riproduzione della Coppa del Mondo FIFA, una scelta non casuale visto che il Mondiale del 2026 si terrà negli Stati Uniti.

            Stile Casamonica

            E non finisce qui. Persino il telecomando del presidente sarebbe stato “rivestito” in oro, in perfetto stile Mar-a-Lago, mentre la First Lady Melania assiste (pare non troppo convinta) alle trasformazioni del marito che, già nel 2016, aveva speso quasi 2 milioni di dollari per personalizzare l’ala Ovest della Casa Bianca.

            Ma l’ultima idea del tycoon lascia davvero a bocca aperta: l’asfaltatura del Giardino delle Rose per realizzare un patio da usare come spazio di rappresentanza. Sì, avete letto bene: uno dei luoghi simbolo della presidenza americana potrebbe essere trasformato in un’area pavimentata degna della corte di Versailles o di una villa di Las Vegas.

            Mentre il mondo osserva con stupore (e qualche risata) questo barocco revival in salsa trumpiana, lo Studio Ovale somiglia sempre più a una sala da tè rococò. Resta solo da capire quale sarà la prossima mossa di Donald “Re Sole” Trump. Un lampadario in cristallo Swarovsky da qualche tonnellata o un tappeto persiano versione XXL?

            Per ora, l’unica certezza è che la sobrietà in Casa Bianca sembra aver fatto le valigie.

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              Trump accusa Biden: “Le sue grazie sono nulle, firmate con una macchina”

              Secondo Trump, le grazie concesse da Biden sarebbero “prive di valore legale” perché firmate con un dispositivo meccanico e non di persona. Nel mirino le protezioni per la commissione sull’assalto a Capitol Hill, Fauci e Hunter Biden. Gli esperti smentiscono: “Firma valida a tutti gli effetti”

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                Donald Trump alza il tiro contro Joe Biden e lo fa con un’accusa che ha dell’incredibile ma che sta infiammando il dibattito politico americano: secondo l’ex presidente, le grazie firmate da Biden sarebbero da considerarsi nulle, perché non firmate fisicamente dal presidente ma con un’“Autopen”, una sorta di firma automatica meccanica che replica fedelmente l’autografo di un mandatario.

                Le grazie non sono valide

                “Nulle, non valide e prive di qualsiasi effetto giuridico”, ha scritto Trump senza mezzi termini su Truth Social, il suo social network, dopo aver lanciato l’accusa anche a bordo dell’Air Force One. È l’ennesimo scontro tra i due sfidanti che si contenderanno la Casa Bianca alle prossime presidenziali.

                Ha usato l’autopen?

                Trump punta il dito in particolare contro la data del 20 gennaio scorso, quando secondo il tycoon, durante le ultime ore della sua presidenza, Biden avrebbe concesso una serie di grazie utilizzando l’Autopen senza neppure esserne pienamente consapevole.

                Non sapeva cosa faceva?

                “Biden non ha firmato nulla e, cosa ancora più grave, non ne era nemmeno a conoscenza”, ha accusato Trump, insinuando che la firma sarebbe stata apposta all’insaputa del presidente o comunque delegata a qualcun altro del suo staff. Un attacco durissimo, che mette nel mirino la legittimità di una delle prerogative costituzionali più potenti riconosciute al presidente degli Stati Uniti: quella della grazia.

                Porterà il caso in tribunale

                L’ex presidente ha già annunciato che porterà la questione di fronte ai tribunali e che un giudice dovrà esprimersi sulla validità di queste decisioni. Nel mirino di Trump ci sono soprattutto le misure di protezione preventiva che Biden avrebbe esteso ai membri della commissione parlamentare che indagava sull’assalto a Capitol Hill del 6 gennaio 2021.

                Trump vuole annullare tutto

                Tra i destinatari spiccano i nomi di Liz Cheney e Adam Kinzinger, due dei pochi repubblicani che hanno apertamente sfidato Trump, pagando la loro scelta con l’uscita dal Congresso. Grazie a quei provvedimenti firmati (o, secondo Trump, solo “siglati” da un’autopenna), Cheney e Kinzinger sarebbero protetti da eventuali future azioni legali, soprattutto se Trump dovesse tornare a guidare il Dipartimento di Giustizia.

                Hanno agito alle sue spalle

                Il sospetto di Trump è alimentato da un report della Heritage Foundation, think tank conservatore che da anni influenza l’agenda dei repubblicani e che avrebbe individuato l’uso dell’Autopen nelle grazie firmate a gennaio. “Non solo Biden non era informato, ma qualcuno ha agito alle sue spalle per proteggere amici e alleati,” ha tuonato Trump nel suo post, cavalcando la linea dell’uomo solo contro il “deep state”.

                C’è anche il figlio di Biden

                Ma i dubbi di Trump non si limitano ai parlamentari scomodi: tra i graziati figurano anche l’ex capo di Stato Maggiore Mark Milley, l’immunologo Anthony Fauci – entrambi nel mirino dell’ex presidente – e, notizia che fa ancora più rumore, lo stesso Hunter Biden, figlio del presidente, coinvolto in vicende giudiziarie legate alle sue attività finanziarie e al possesso di armi.

                Gli esperti lo smentiscono

                Nonostante l’enfasi polemica di Trump, diversi esperti di diritto costituzionale si sono affrettati a ridimensionare la questione, bollando come infondata la pretesa di invalidare le grazie in base allo strumento usato per firmarle.

                La grazie è valida

                “Finché un presidente decide di concedere la grazia, l’uso dell’Autopen è considerato valido e riconosciuto a livello istituzionale”, ha spiegato Jeffrey Crouch, docente di diritto alla American University e autore di numerosi studi sulla clemenza presidenziale. Il dispositivo, infatti, è stato già impiegato in passato da altri inquilini della Casa Bianca, compresi Barack Obama e George W. Bush, per firmare atti ufficiali e perfino leggi, in particolari situazioni di emergenza o in assenza fisica del presidente.

                Tuttavia, Trump sembra intenzionato a spingersi oltre la prassi consolidata e ad aprire un nuovo fronte di scontro in campagna elettorale, dove la strategia è chiara: delegittimare il più possibile l’avversario, anche su atti simbolici come le grazie presidenziali. “Se fosse vero che Biden non ha mai apposto realmente la sua firma, quelle grazie sarebbero prive di valore”, ha ribadito l’ex presidente ai suoi sostenitori, pur sapendo che la questione ha scarse probabilità di arrivare in tribunale.

                Sul piano politico, l’affondo rientra perfettamente nella narrativa trumpiana di un Biden presentato come debole, distratto e in balia di consiglieri e funzionari più o meno occulti. Mentre i democratici replicano sottolineando l’inconsistenza giuridica delle accuse, la Casa Bianca non ha ancora commentato ufficialmente, ma secondo fonti vicine all’amministrazione, l’uso dell’Autopen sarebbe stato autorizzato dallo stesso Biden, come previsto dal protocollo in vigore per la Presidenza degli Stati Uniti.

                Intanto, negli Stati Uniti, il tema è già diventato uno dei cavalli di battaglia della destra mediatica, pronta a rilanciare il dubbio sull’autenticità delle decisioni prese dall’amministrazione Biden. E con l’avvicinarsi delle elezioni, l’Autopen rischia di trasformarsi nell’ennesimo simbolo della guerra senza esclusione di colpi tra i due eterni rivali.

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