Mondo
Il Cremlino ci casca con tutte le scarpe: smascherata la bufala delle firme contro Mattarella
Il governo russo esulta per una petizione contro il presidente della Repubblica, ma scopre troppo tardi che tra i firmatari ci sono Ciolanka Sbilenka, Galina Cocilova, l’eroe del porno Gabriel Pontello e Vagina Quasinova. L’iniziativa è un gigantesco scherzo

Maria Zakharova, la portavoce del ministero degli Esteri russo, non stava più nella pelle. Spuntava trionfante in un video su Telegram, commossa e soddisfatta, mentre riceveva con le dovute cerimonie la “storica” petizione di diecimila italiani che non condividono il pensiero del presidente Mattarella.
Tutto molto bello, tutto molto enfatico. Peccato che il governo russo sia stato truffato come un turista sprovveduto sulla metro di Roma. Altro che popolo italiano in rivolta contro Mattarella: tra le firme depositate spuntavano Ciolanka Sbilenka, Vagina Quasinova e Galina Kocilova, ossia le protagoniste indiscusse di vecchie barzellette elementari. Insieme al famoso super eroe a luci rosse Gabriel Pontello in arte Supersex, re dei fotoromanzi porno degli anni 80. E così, mentre la Zakharova e la propaganda del Cremlino si crogiolavano nell’illusione di avere tra le mani la prova schiacciante del sostegno italiano alla guerra di Putin, gli italiani si sganasciavano dal ridere.





Facciamoci una domanda: come diavolo è possibile che nessuno, né Lorusso né il governo russo, abbia controllato il contenuto della petizione prima di sventolarla come un trofeo? La risposta è più semplice di quanto sembri.
Lorusso, nel suo fervore filoputiniano, era troppo impegnato a fare l’inchino al Cremlino per accorgersi della fregatura. Con una smania di compiacere l’amato leader russo degna di un vassallo medievale, ha raccolto le firme in tutta fretta, sperando di poter presentare a Mosca un bel pacchetto confezionato con fiocchetto patriottico. Ma in Italia il dissenso verso Mattarella, almeno su questo tema, non è poi così diffuso, e per arrivare a diecimila firme qualcuno ha pensato bene di gonfiare la lista con nomi che gridano “presa per il culo” da chilometri di distanza.
Ed ecco il capolavoro. Ciolanka Sbilenka, ballerina dal passo incerto, Vagina Quasinova, “celebre” professionista della notte moscovita, e Galina Kocilova, chef di improbabili manicaretti russi, sono finite nella lista di “veri italiani indignati con Mattarella”. E nessuno, né Lorusso né il Cremlino, ha avuto il buon senso di dare un’occhiata prima di sventolare la lista come un certificato di fedeltà all’impero di Putin.
Se non fosse una faccenda seria, sarebbe da applausi. Il Cremlino ha inscenato una farsa diplomatica su una truffa da osteria. Prima la Zakharova ha condiviso il video solenne della consegna delle firme, poi la propaganda russa ha amplificato il tutto con titoli enfatici sui giornali di regime, convinti di aver trovato la prova che l’Italia è stufa di Mattarella e pronta a inginocchiarsi a Mosca.
Peccato che nel giro di poche ore la bufala sia stata svelata, rendendo il tutto un perfetto esempio di disinformazione che si ritorce contro chi la diffonde.
Quando Lorusso si è reso conto di aver presentato al Cremlino una lista tarocca, ha immediatamente oscurato i nomi dei firmatari, sperando che il disastro si spegnesse da solo. Ma nell’era dei social, dove gli screenshot sono più veloci della luce, il danno era già fatto. Gli italiani hanno inondato la rete di meme, trasformando il patetico tentativo di delegittimare Mattarella in uno spettacolo degno di Amici Miei.
Vincenzo Lorusso è ora l’uomo del momento, ma per le ragioni sbagliate. Non solo ha dimostrato una deferenza imbarazzante verso il Cremlino, ma si è lasciato fregare con la stessa ingenuità con cui un nonno firma una petizione per “salvare i panda rosa volanti”. Una doppia figuraccia: da un lato il servilismo, dall’altro la clamorosa incapacità di verificare le fonti.
Mentre la Zakharova si godeva il suo momento di gloria, senza sapere di essere appena diventata la protagonista involontaria di un’epica supercazzola, Lorusso tentava disperatamente di mettere una toppa. Troppo tardi. La sua petizione è ormai diventata una delle più grandi bufale mai rifilate alla propaganda russa.
Se la vicenda fosse stata orchestrata da qualche geniale burattinaio dell’intelligence italiana, ci sarebbe da stappare lo champagne. Ma la realtà è ancora più divertente: gli italiani, spontaneamente, hanno preso in giro Putin e i suoi leccapiedi senza nemmeno fare troppi sforzi.
E mentre la Zakharova si diletta a raccontare fiabe ai russi sull’”Italia che si ribella a Mattarella”, noi possiamo goderci il fatto che per una volta la bufala l’hanno bevuta loro.
In conclusione, mentre a Mosca tentano di rimettere insieme i cocci di questa disastrosa operazione di propaganda, Ciolanka Sbilenka, Vagina Quasinova & C ringraziano sentitamente per la pubblicità.Il documento le era stato consegnato dal solerte Vincenzo Lorusso (nomen omen!), giornalista filorusso, che aveva raccolto le firme per dimostrare al Cremlino che l’Italia in fondo sta con Putin e che il nostro presidente della Repubblica ha osato troppo nel paragonare l’invasione dell’Ucraina alle modalità del Terzo Reich. «Oggi con le mie lacrime che parlano di più di altre parole voglio esprimere tutto il dolore del nostro popolo dopo avere sentito la dichiarazione del presidente Mattarella e vorrei ricordare tutto il nostro amore nei confronti del popolo italiano che non condivide assolutamente questa dichiarazione», dice Zakharova. Quindi si asciuga gli occhi inumiditi, mentre Lorusso le spiega che «questa è solo la punta dell’iceberg di tre anni di russofobia». Quindi i due intonano Bella Ciao. Una scenetta del perfetto filorusso.
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Mondo
Trump accusa Biden: “Le sue grazie sono nulle, firmate con una macchina”
Secondo Trump, le grazie concesse da Biden sarebbero “prive di valore legale” perché firmate con un dispositivo meccanico e non di persona. Nel mirino le protezioni per la commissione sull’assalto a Capitol Hill, Fauci e Hunter Biden. Gli esperti smentiscono: “Firma valida a tutti gli effetti”

Donald Trump alza il tiro contro Joe Biden e lo fa con un’accusa che ha dell’incredibile ma che sta infiammando il dibattito politico americano: secondo l’ex presidente, le grazie firmate da Biden sarebbero da considerarsi nulle, perché non firmate fisicamente dal presidente ma con un’“Autopen”, una sorta di firma automatica meccanica che replica fedelmente l’autografo di un mandatario.
Le grazie non sono valide
“Nulle, non valide e prive di qualsiasi effetto giuridico”, ha scritto Trump senza mezzi termini su Truth Social, il suo social network, dopo aver lanciato l’accusa anche a bordo dell’Air Force One. È l’ennesimo scontro tra i due sfidanti che si contenderanno la Casa Bianca alle prossime presidenziali.
Ha usato l’autopen?
Trump punta il dito in particolare contro la data del 20 gennaio scorso, quando secondo il tycoon, durante le ultime ore della sua presidenza, Biden avrebbe concesso una serie di grazie utilizzando l’Autopen senza neppure esserne pienamente consapevole.
Non sapeva cosa faceva?
“Biden non ha firmato nulla e, cosa ancora più grave, non ne era nemmeno a conoscenza”, ha accusato Trump, insinuando che la firma sarebbe stata apposta all’insaputa del presidente o comunque delegata a qualcun altro del suo staff. Un attacco durissimo, che mette nel mirino la legittimità di una delle prerogative costituzionali più potenti riconosciute al presidente degli Stati Uniti: quella della grazia.
Porterà il caso in tribunale
L’ex presidente ha già annunciato che porterà la questione di fronte ai tribunali e che un giudice dovrà esprimersi sulla validità di queste decisioni. Nel mirino di Trump ci sono soprattutto le misure di protezione preventiva che Biden avrebbe esteso ai membri della commissione parlamentare che indagava sull’assalto a Capitol Hill del 6 gennaio 2021.
Trump vuole annullare tutto
Tra i destinatari spiccano i nomi di Liz Cheney e Adam Kinzinger, due dei pochi repubblicani che hanno apertamente sfidato Trump, pagando la loro scelta con l’uscita dal Congresso. Grazie a quei provvedimenti firmati (o, secondo Trump, solo “siglati” da un’autopenna), Cheney e Kinzinger sarebbero protetti da eventuali future azioni legali, soprattutto se Trump dovesse tornare a guidare il Dipartimento di Giustizia.
Hanno agito alle sue spalle
Il sospetto di Trump è alimentato da un report della Heritage Foundation, think tank conservatore che da anni influenza l’agenda dei repubblicani e che avrebbe individuato l’uso dell’Autopen nelle grazie firmate a gennaio. “Non solo Biden non era informato, ma qualcuno ha agito alle sue spalle per proteggere amici e alleati,” ha tuonato Trump nel suo post, cavalcando la linea dell’uomo solo contro il “deep state”.
C’è anche il figlio di Biden
Ma i dubbi di Trump non si limitano ai parlamentari scomodi: tra i graziati figurano anche l’ex capo di Stato Maggiore Mark Milley, l’immunologo Anthony Fauci – entrambi nel mirino dell’ex presidente – e, notizia che fa ancora più rumore, lo stesso Hunter Biden, figlio del presidente, coinvolto in vicende giudiziarie legate alle sue attività finanziarie e al possesso di armi.
Gli esperti lo smentiscono
Nonostante l’enfasi polemica di Trump, diversi esperti di diritto costituzionale si sono affrettati a ridimensionare la questione, bollando come infondata la pretesa di invalidare le grazie in base allo strumento usato per firmarle.
La grazie è valida
“Finché un presidente decide di concedere la grazia, l’uso dell’Autopen è considerato valido e riconosciuto a livello istituzionale”, ha spiegato Jeffrey Crouch, docente di diritto alla American University e autore di numerosi studi sulla clemenza presidenziale. Il dispositivo, infatti, è stato già impiegato in passato da altri inquilini della Casa Bianca, compresi Barack Obama e George W. Bush, per firmare atti ufficiali e perfino leggi, in particolari situazioni di emergenza o in assenza fisica del presidente.
Tuttavia, Trump sembra intenzionato a spingersi oltre la prassi consolidata e ad aprire un nuovo fronte di scontro in campagna elettorale, dove la strategia è chiara: delegittimare il più possibile l’avversario, anche su atti simbolici come le grazie presidenziali. “Se fosse vero che Biden non ha mai apposto realmente la sua firma, quelle grazie sarebbero prive di valore”, ha ribadito l’ex presidente ai suoi sostenitori, pur sapendo che la questione ha scarse probabilità di arrivare in tribunale.
Sul piano politico, l’affondo rientra perfettamente nella narrativa trumpiana di un Biden presentato come debole, distratto e in balia di consiglieri e funzionari più o meno occulti. Mentre i democratici replicano sottolineando l’inconsistenza giuridica delle accuse, la Casa Bianca non ha ancora commentato ufficialmente, ma secondo fonti vicine all’amministrazione, l’uso dell’Autopen sarebbe stato autorizzato dallo stesso Biden, come previsto dal protocollo in vigore per la Presidenza degli Stati Uniti.
Intanto, negli Stati Uniti, il tema è già diventato uno dei cavalli di battaglia della destra mediatica, pronta a rilanciare il dubbio sull’autenticità delle decisioni prese dall’amministrazione Biden. E con l’avvicinarsi delle elezioni, l’Autopen rischia di trasformarsi nell’ennesimo simbolo della guerra senza esclusione di colpi tra i due eterni rivali.
Mondo
La prima foto di Papa Francesco dal ricovero: celebra la messa al Gemelli e rassicura i fedeli
Francesco ha concelebrato la messa dall’ospedale, dove resta ricoverato da un mese per una polmonite bilaterale. «Mi unisco ai malati come me». La sala stampa smentisce l’uso dei naselli per l’ossigeno: «Sta traendo giovamento dalla fisioterapia».

La prima immagine dal ricovero al Policlinico Gemelli racconta un Papa Francesco raccolto in preghiera nella cappellina del decimo piano dell’ospedale. Una foto diffusa dalla sala stampa vaticana, che mostra il Pontefice sulla sua sedia a rotelle, rivolto verso l’altare, mentre celebra la messa. È il primo scatto pubblico da quando, ormai quasi un mese fa, è stato ricoverato a causa di una polmonite bilaterale che continua a richiedere terapia medica e fisioterapia respiratoria.
La situazione clinica di Bergoglio viene descritta come “stabile” e in miglioramento. Il Papa, spiegano dal Vaticano, “ha continuato la terapia farmacologica per arginare la polmonite bilaterale e le fisioterapia respiratoria e motoria traendo particolare giovamento da quest’ultima”. Non ci sono stati incontri ufficiali oggi, ma, come ha confermato la stessa sala stampa, Francesco “ha comunque lavorato un po’, i frutti si vedranno nei prossimi giorni”.
Con la diffusione della foto e del bollettino, il Vaticano ha anche voluto smentire le voci circolate negli ultimi giorni, secondo cui il Pontefice sarebbe stato costretto all’utilizzo dei naselli per l’ossigeno. Al contrario, Bergoglio avrebbe continuato a svolgere parte delle sue attività nonostante il quadro clinico delicato che lo trattiene ancora al Gemelli.
Il Papa ha voluto lanciare un messaggio di forza e di fede anche durante l’Angelus domenicale, trasmesso non in diretta ma attraverso un testo scritto, vista l’impossibilità fisica di pronunciarlo dal balcone. «Sto affrontando un periodo di prova – ha scritto – e mi unisco a tanti fratelli e sorelle malati: fragili, in questo momento, come me. Il nostro fisico è debole, ma, anche così, niente può impedirci di amare, di pregare, di donare noi stessi, di essere l’uno per l’altro, nella fede, segni luminosi di speranza».
Il riferimento non è solo alle sue condizioni di salute, ma anche a tutti coloro che, come lui, stanno affrontando malattie e difficoltà. Un messaggio che vuole essere di conforto e resilienza, un invito a non arrendersi davanti alla fragilità fisica.
L’ultimo bollettino medico conferma i progressi lenti ma costanti. Le condizioni di Papa Francesco “sono rimaste stabili, confermando i miglioramenti evidenziati nell’ultima settimana”. Prosegue ancora l’ossigenoterapia ad alti flussi e, soprattutto, si riduce progressivamente la necessità della ventilazione meccanica non invasiva nelle ore notturne.
Nonostante i segnali positivi, il quadro resta delicato: il Pontefice necessita ancora di una terapia ospedaliera e di un percorso di fisioterapia che, tuttavia, sta già mostrando effetti benefici, tanto da permettergli di presiedere, anche se in modo limitato, alle celebrazioni religiose.
Per il momento non si parla di dimissioni, ma i medici confermano che le risposte cliniche sono incoraggianti. Francesco resta comunque sotto stretta osservazione al Gemelli, dove continua la sua battaglia contro la polmonite bilaterale che, sebbene sotto controllo, richiede cautela e attenzione costante.
Mondo
Dodici anni di Papa Francesco: un pontificato che ha diviso la Chiesa
Molto amato dai laici, meno dai tradizionalisti cattolici, Bergoglio ha segnato un’epoca con il suo approccio rivoluzionario. Oggi, però, celebra il suo anniversario più difficile dal letto d’ospedale.

Dodici anni fa, il 13 marzo 2013, il mondo assisteva a un evento storico: per la prima volta un sudamericano saliva al soglio pontificio, con il nome di Francesco, un nome che già nella scelta suonava come un manifesto programmatico. Un Papa “venuto dalla fine del mondo”, come lui stesso si definì, che da subito ha scardinato protocolli e certezze, conquistando il favore di molti e scatenando l’opposizione feroce dei tradizionalisti.
Un pontificato segnato dalle fratture interne
Se c’è una cosa che Papa Francesco non è mai stato, è un pontefice neutrale. Fin dal primo momento ha diviso la Chiesa, tra chi ha visto in lui un soffio di rinnovamento e chi lo ha vissuto come una minaccia per la tradizione. Il mondo laico lo ha amato, affascinato dal suo stile diretto, dalla sua attenzione per gli ultimi e dalla volontà di affrontare temi come povertà, ecologia e accoglienza, mai così centrali nel dibattito religioso prima del suo arrivo.
I tradizionalisti cattolici, invece, non lo hanno mai accettato. Lo hanno accusato di relativismo, di voler smantellare la dottrina con aperture troppo progressive e, per anni, hanno continuato a mettere in discussione la legittimità della sua elezione. Fino alla morte di Benedetto XVI, il primo Papa emerito della storia moderna, il dualismo tra i due ha tenuto banco, alimentando un clima da Chiesa spaccata.
Il Papa della misericordia (ma il Giubileo fu un flop)
Uno dei concetti chiave del pontificato di Francesco è stato la misericordia. Un tema a cui ha dedicato un intero Giubileo, quello del 2015-2016, che però non ha avuto il successo sperato. La partecipazione fu inferiore alle attese, un segnale di come il messaggio papale non riuscisse a sfondare ovunque con la stessa intensità.
Ma se il Giubileo non fu un trionfo, le sue prese di posizione su ambiente e disuguaglianze hanno avuto un impatto molto più forte. Con l’enciclica Laudato Si’, il pontefice ha spostato l’attenzione della Chiesa su clima e sostenibilità, un tema fino a quel momento quasi inesplorato dalla dottrina cattolica. La sua voce è stata tra le più ascoltate nei dibattiti internazionali su ambiente e migrazioni, tanto da meritargli il plauso di molti leader politici, anche non credenti.
Un Papa che non ha paura di scontrarsi
Francesco non ha mai avuto timore di esporsi, spesso andando controcorrente rispetto alle posizioni più rigide della Chiesa. Dai divorziati ai diritti delle coppie omosessuali, dai migranti alla lotta alla pedofilia nel clero, ha cercato di affrontare problemi che per decenni erano stati evitati o minimizzati.
Ma proprio questi tentativi di modernizzazione gli hanno attirato accuse di eresia da parte dell’ala più conservatrice del clero. Alcuni cardinali, con lettere pubbliche e prese di posizione sempre più dure, hanno cercato di ostacolare il suo operato, creando una frattura interna senza precedenti nella Chiesa moderna.
Un anniversario difficile
Oggi, 13 marzo 2025, Papa Francesco si trova all’ospedale Gemelli, ricoverato da settimane per una polmonite bilaterale. Per la prima volta, il suo anniversario di pontificato non si celebra in Piazza San Pietro, ma in una stanza d’ospedale.
La sua salute, negli ultimi mesi, ha alimentato speculazioni sempre più insistenti sulla possibilità che possa seguire l’esempio di Benedetto XVI e dimettersi. Per ora, il pontefice non sembra voler cedere, ma il futuro della Chiesa appare più incerto che mai.
Dodici anni dopo quell’elezione che sconvolse il Vaticano, una cosa è chiara: Papa Francesco non è stato un Papa qualunque. Ha diviso, ha rivoluzionato, ha combattuto. Ha portato la Chiesa in luoghi dove prima non osava andare, ma ha lasciato dietro di sé una comunità ecclesiastica forse più spaccata di prima.
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