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Cronaca

Non bevete questo latte!

“Non bevete questo latte”: l’OMS avverte sui rischi del latte crudo a causa dell’influenza aviaria. Scopri come proteggerti e perché la pastorizzazione è fondamentale per la sicurezza alimentare.

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    L’influenza aviaria sta causando numerosi problemi, soprattutto negli Stati Uniti, ma anche in Europa, a causa della sua vasta diffusione in molti allevamenti bovini. L’estensione del virus H5N1, conosciuto da molti anni, ha spinto l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) a emettere avvertimenti su come consumare il latte per evitare rischi. Anche se in Europa e in Italia non ci sono focolai significativi come negli Stati Uniti, l’invito è stato esteso a livello globale.

    L’avviso dell’OMS

    Il direttore generale dell’OMS, Tedros Adhanom Ghebreyesus, ha spiegato perché non si dovrebbe consumare latte crudo. “In tutti i Paesi, le persone dovrebbero consumare latte pastorizzato perché il virus è stato rilevato nel latte crudo negli Stati Uniti, ma i test preliminari mostrano che la pastorizzazione lo uccide.” Non c’è quindi un’emergenza per gli esseri umani, poiché la prima e unica persona contagiata (un contadino texano) ha mostrato sintomi simili a quelli dell’influenza, come una congiuntivite. Tuttavia, negli Stati Uniti l’allerta rimane elevata, con numerosi allevamenti di mucche da latte colpiti dal virus”.

    “Per il momento è stato segnalato un solo caso umano, almeno 220 persone sono monitorate e altre 30 sono state sottoposte a test. Finora il virus non mostra segni di adattamento alla diffusione tra gli esseri umani, ma è necessaria una maggiore sorveglianza”, ha sottolineato Tedros Adhanom Ghebreyesus.

    La situazione in Italia e in Europa

    Il Ministero della Salute italiano ha pubblicato un aggiornamento sulla situazione in Italia e in Europa al 9 aprile scorso: i nuovi casi di influenza aviaria “ad alta patogenicità” si sono verificati tra dicembre 2022 e marzo 2023, con 522 casi tra gli animali domestici e 1138 tra quelli selvatici. In quel periodo, l’epidemia ha colpito in particolare il gabbiano comune nel nord-est Italia, Belgio, Francia e Olanda. In Italia, tra settembre 2022 e aprile 2023, sono stati registrati quaranta focolai ad alta patogenicità, riguardanti in parte allevamenti rurali di piccole dimensioni.

    “Virus sorvegliato da decenni”

    La recente esperienza mondiale del Covid può creare allarme di fronte a un’endemia come quella in corso con l’aviaria, ma in questo caso non si tratta di un virus nuovo o sconosciuto. “Il virus influenzale H5N1 è un ‘sorvegliato speciale’ ormai da decenni. È considerato da tempo il possibile candidato per una nuova pandemia e per questo motivo è sottoposto a un livello stretto di sorveglianza e controllo. Lo conosciamo bene”, ha spiegato il prof. Pier Luigi Lopalco, epidemiologo e professore di Igiene all’Università del Salento. L’Agenzia del farmaco americana (FDA) ha sottolineato che, nonostante il bassissimo rischio di diffusione tra gli esseri umani, bisogna essere preparati. “I vaccini pandemici contro l’influenza sono stati disegnati usando questo virus come modello e sono facilmente adattabili alle nuove varianti nel caso dovessero servire. Se c’è una pandemia per cui la sanità pubblica è pronta, è proprio quella da H5N1”, ha concluso.

    Perché si diffonde tra le mucche

    Uno dei motivi principali per cui il virus dell’aviaria si sta diffondendo tra le mucche è che questi animali hanno recettori simili a quelli degli uccelli e degli esseri umani, rendendoli suscettibili all’infezione. Queste sono le prime conclusioni di uno studio preliminare che spiega i meccanismi con cui i bovini vengono infettati. Secondo i dati del Dipartimento dell’Agricoltura degli Stati Uniti, dalla fine di marzo a oggi sono state infettate circa 42 mandrie in nove Stati americani.

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      Mistero

      Marilyn Monroe, mistero infinito: James Patterson rilancia l’ombra dei Kennedy, di Sinatra e della Mafia

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        Marilyn Monroe non smette di far parlare di sé, nemmeno 63 anni dopo la morte. Nel suo nuovo libro The Last Days of Marilyn Monroe: A True Crime Thriller, James Patterson — uno degli autori più letti al mondo — rimette in scena la teoria più inquietante: la diva sarebbe morta non per un gesto volontario, ma per le informazioni che custodiva. «Navigava in acque molto pericolose», ha detto al Hollywood Reporter. Le sue frequentazioni? John e Robert Kennedy, Frank Sinatra, figure legate alla Mafia. «Gente che le confidava cose. E lei ne teneva traccia».

        Un’indagine mai chiusa, tra autopsie incomplete e detective dubbiosi

        Il corpo di Marilyn fu trovato nella sua casa di Brentwood: barbiturici sul comodino, una bottiglia di Nembutal, la tesi del suicidio archivata in poche ore. Ma, ricorda Patterson, l’autopsia «non fu completa come avrebbe dovuto». Non tutti i dettagli tornarono. E uno dei detective arrivati sul posto si convinse “di trovarsi davanti a una messa in scena”. Elementi che alimentano un alone di sospetto mai dissolto, alimentato dalle tantissime versioni circolate negli anni.

        Una vita romanzo, tra dodici famiglie affidatarie e un talento che travolge

        Il libro scritto con Imogen Edwards-Jones si muove tra fatti, ricostruzioni e dialoghi immaginati — dichiarati come tali — ripercorrendo anche l’infanzia drammatica della diva, cresciuta in undici famiglie affidatarie e segnata da una balbuzie che solo anni dopo riuscì a controllare. Patterson sostiene che il pubblico non conosca davvero la sua storia e che, dietro ogni fotografia patinata, ci fosse un percorso pieno di crepe e fragilità.

        Oggi Marilyn è ancora al centro della cultura pop come simbolo, ossessione e mito irrisolto. Patterson spera ora che il libro diventi una serie tv. Per Hollywood, un altro tassello nell’eterno ritorno della sua stella più luminosa — e più controversa.

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          Mondo

          Giovani donne e il “sogno americano” in fuga: perché il 40% vorrebbe lasciare gli Stati Uniti

          Tra clima politico, diritti riproduttivi e sfiducia nelle istituzioni, cresce il numero di giovani donne che non si riconoscono più nell’immagine degli Stati Uniti come terra di opportunità. Canada, Nuova Zelanda, Italia e Giappone le mete più ambite.

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          sogno americano

            Un mito che si incrina

            Per generazioni il “sogno americano” ha rappresentato l’idea di un Paese in cui chiunque potesse aspirare a una vita migliore. Oggi, però, sempre più giovani donne non lo percepiscono più come tale. L’ultimo sondaggio Gallup indica che il 40% delle statunitensi tra i 15 e i 44 anni lascerebbe definitivamente gli USA, se ne avesse la possibilità: un dato mai raggiunto prima e quattro volte superiore rispetto al 2014.

            La tendenza non è improvvisa. Già nel 2016 si registra un rialzo significativo nelle aspirazioni migratorie femminili, in un contesto politico polarizzato e dopo la definizione dei candidati alle presidenziali poi vinte da Donald Trump. Negli anni successivi la percentuale ha continuato a salire, fino a raggiungere il 44% alla fine dell’amministrazione Biden e stabilizzarsi su valori simili nel 2025.

            Politica e identità: un distacco crescente

            Il desiderio di trasferirsi non riguarda in modo uniforme tutta la popolazione. Il divario di genere è il più ampio mai rilevato da Gallup: 21 punti separano uomini (19%) e donne (40%) nella stessa fascia d’età.
            Gli analisti sottolineano che si tratta di aspirazioni, non di intenzioni concrete, ma la dimensione del fenomeno — parliamo di milioni di giovani — resta indicativa.

            La frattura politica pesa molto. Nel 2025, il gap nel desiderio di emigrare tra chi approva e chi disapprova la leadership nazionale raggiunge 25 punti percentuali, il valore più alto osservato negli ultimi quindici anni. Prima del 2016, differenze di questo tipo non erano rilevanti. Con Trump il divario ha iniziato a crescere, si è temporaneamente ridotto sotto Biden e poi è tornato ad ampliarsi.

            Una scelta che supera età, matrimonio e figli

            Un altro aspetto significativo è che questa spinta migratoria riguarda allo stesso modo donne sposate, single e neomamme. Tra le 18-44enni, il 41% delle sposate e il 45% delle single vorrebbe trasferirsi in modo permanente all’estero.
            Perfino la presenza di figli piccoli non sembra frenare il desiderio di partire: il 40% delle madri recenti condivide questa prospettiva, una percentuale in linea con quella delle coetanee senza figli.

            Canada in testa, Italia tra le destinazioni più citate

            Tra le mete più desiderate emerge il Canada, indicato dall’11% delle giovani intervistate. Seguono Nuova Zelanda, Italia e Giappone, tutte al 5%.
            Questo dato contrasta con la situazione nei Paesi dell’Ocse, dove le aspirazioni migratorie delle giovani donne sono rimaste stabili — mediamente tra il 20% e il 30% — senza aumenti paragonabili a quelli degli Stati Uniti.

            Diritti e fiducia nelle istituzioni: un legame che si spezza

            A spiegare questa disaffezione contribuisce anche il crollo della fiducia nelle istituzioni. Secondo il National Institutions Index di Gallup, tra il 2015 e il 2025 le donne tra i 15 e i 44 anni hanno perso 17 punti di fiducia complessiva.

            Un momento cruciale è stato il ribaltamento nel 2022 della sentenza Roe v. Wade, che per mezzo secolo aveva garantito il diritto costituzionale all’aborto. Dopo la decisione della Corte Suprema, la fiducia delle giovani donne nelle istituzioni è scesa dal 55% del 2015 al 32% nel 2025. Tuttavia, Gallup osserva che il trend di crescente desiderio migratorio era iniziato già anni prima, segno di un malessere più ampio.

            Un Paese che rischia di perdere una generazione

            Il quadro tracciato dal sondaggio rivela più di un disagio passeggero: racconta una generazione che percepisce gli Stati Uniti come un luogo meno capace di garantire diritti, sicurezza e opportunità reali.
            Se anche solo una parte di queste aspirazioni dovesse concretizzarsi, gli effetti demografici e culturali sarebbero notevoli. Per molte giovani donne, il “sogno americano” non si è infranto: semplicemente, oggi lo stanno cercando altrove.

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              Italia

              Taccheggio e scontrini falsi: rubare al supermercato non è mai “solo un errore”

              Chi tenta di uscire con la merce senza pagare rischia pene severe: dal carcere fino a tre anni (o molto di più in caso di aggravanti), alla multa e al possibile divieto di ritorno nel punto vendita.

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              Taccheggio e scontrini falsi: rubare al supermercato non è mai “solo un errore”

                Scontrino fasullo e taccheggio: il caso di Rho

                Il 27 novembre 2025, un fatto ha sollevato l’attenzione mediatica: a un punto vendita Esselunga di Rho è stata denunciata una tecnica di furto che prevedeva l’uso di uno “scontrino fasullo”. Secondo quanto riportato, una persona avrebbe tentato di portare via merce per circa 700 euro senza pagarla, usando un documento di acquisto alterato o falso. Il caso — riportato da media locali — ha scatenato discussioni sul fenomeno del taccheggio e sui rischi reali per chi commette simili reati.

                Ma non si tratta di un’eccezione: supermercati e grandi magazzini, oggi, sono quasi sempre dotati di videocamere, varchi antitaccheggio, addetti alla sicurezza e sistemi digitali di sorveglianza. In molti casi, basta un movimento sospetto — come uscire dal cancello delle casse senza passare alla cassa o con un carrello “parzialmente” pagato — per attivare la segnalazione ai vigilanti.

                Chi pensa di “farla franca” sbaglia: la legge italiana è chiara e molto dura verso chi sottrae merce esposta alla vendita senza pagarla.

                Cosa prevede la legge

                Il reato che si commette quando si ruba in un supermercato è disciplinato dall’Articolo 624 del Codice Penale: chiunque si impossessa di una cosa mobile altrui, sottraendola a chi la detiene, con l’intenzione di trarne profitto per sé o per altri, è punito con la reclusione da 6 mesi a 3 anni e con una multa da 154 a 516 euro.

                Tuttavia, quando il furto avviene in un negozio o in un supermercato — ovvero su “cose esposte alla pubblica fede” — può configurarsi l’ipotesi del furto aggravato. In questo caso, la pena aumenta, spesso con reclusione da 2 a 6 anni e multa da 927 a 1.500 euro.

                In più, molte condotte tipiche di chi tenta di rubare — come occultare la merce, usare stratagemmi o nascondere prodotti — aggravano ulteriormente la posizione.

                La normativa prevede che, in questi casi, il reato diventi procedibile d’ufficio: non servirà una querela del negoziante o del proprietario, basta la segnalazione della vigilanza o la denuncia da parte di chiunque abbia assistito al fatto.

                Infine, la giurisprudenza recente — ad esempio una ordinanza del 2025 — ha confermato che anche quando il furto non viene portato completamente a termine (cioè si viene fermati prima di uscire), la registrazione video può essere sufficiente per considerarlo tentativo di furto e procedere penalmente.

                Non è solo questione di soldi: conseguenze reali

                Chi viene scoperto a rubare in un supermercato rischia molto più che una notte in cella. Le conseguenze possono includere:

                • incarcerazione e multa;
                • procedura penale con iscrizione nel casellario giudiziario;
                • possibile richiesta di risarcimento del danno da parte del negoziante;
                • divieto di ritorno nel punto vendita, per un periodo determinato o addirittura permanente.

                Inoltre, la “colpa sociale” può essere alta: un furto commesso in un negozio pubblico — specie di generi alimentari — danneggia non solo il commerciante, ma chi paga regolarmente e vede lievitare i prezzi.

                Conclusione: la furbata ritorna indietro

                Alla luce di quanto previsto dalla legge e delle pratiche sempre più sofisticate adottate dai supermercati, usare trucchetti come “lo scontrino fasullo” non è una dimostrazione di furbizia, ma un salto nel buio. Videocamere, monitoraggio elettronico, controlli alla barriera delle casse: sono tutti strumenti che rendono il furto molto più rischioso di quanto chi lo commette immagini.

                In più, le pene — anche per piccoli furti — non sono trascurabili. E la giustizia in Italia non guarda solo al valore della merce: una confezione di valore modesto può tradursi comunque in una condanna, come confermato da sentenze recenti della Corte di Cassazione.

                Insomma: rubare al supermercato non è una scelta intelligente, ma un’azione che può complicarti la vita — ben più di quanto vale la spesa che avresti cercato di evitare.

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