Mondo
Puff Diddy: dalle stelle al banco degli imputati. Ora arriva anche l’accusa di stupro su un bambino
Nuove testimonianze contro il magnate della musica scuotono Hollywood e il mondo della discografia. Dal suo team legale arrivano parole dure, ma il processo sembra già segnato da dichiarazioni scioccanti

Le accuse verso Sean Combs aumentano giorno dopo giorno, lasciando emergere un’immagine inquietante dell’ex “padrino del rap”. Il caso si infittisce, con dettagli che rivelano la portata di un incubo che minaccia di coinvolgere numerosi volti noti della scena internazionale.
Le rivelazioni che scuotono l’industria musicale
La testimonianza dell’ultimo querelante getta un’ombra sempre più densa sul produttore. Dopo essere stato coinvolto in quella che sarebbe dovuta essere una semplice introduzione al mondo della musica, il bambino di dieci anni si è trovato coinvolto in una spirale di violenza e sopraffazione che difficilmente potrà dimenticare. La sua dichiarazione, raccolta e pubblicata nei documenti legali, descrive una serie di abusi avvenuti a Manhattan, durante i quali il produttore avrebbe utilizzato sostanze stupefacenti per sopraffare la giovane vittima. Si tratta di dettagli angoscianti, che rivelano un contesto di abuso sistematico e pianificato.
Il coinvolgimento dei genitori, che hanno taciuto per paura delle possibili ritorsioni, apre un nuovo capitolo su come il potere economico possa trasformarsi in una barriera di omertà attorno ai colpevoli. La madre e il padre del ragazzo, ormai adulto, hanno raccontato di aver provato un terrore profondo al pensiero di denunciare i fatti, tanto da decidere di proteggere il figlio limitandosi a tacere. La reticenza a denunciare subito l’abuso è comprensibile ma dolorosa, e porta a riflettere su quante altre famiglie potrebbero aver affrontato la stessa orribile scelta.
Difesa e controffensiva mediatica
Il team legale di Combs non ha esitato a rispondere alle accuse. In una dichiarazione pubblica, hanno criticato apertamente l’avvocato Tony Bubzee, che ha sostenuto le testimonianze di numerose presunte vittime, dichiarando che il legale starebbe utilizzando i media per costruire una “caccia alle streghe” contro il loro assistito. La difesa di Combs insiste sull’integrità del processo giudiziario, sottolineando che la verità emergerà in tribunale.
Tuttavia, il numero crescente di accuse e la presenza di testimoni disposti a raccontare quanto accaduto, sta trasformando questo caso in un vero e proprio incubo giudiziario per l’imputato. E ogni nuova deposizione sembra delineare un quadro che va oltre l’abuso isolato, portando alla luce un sistema di manipolazione e violenza psicologica sui giovani talenti in cerca di successo. Se le accuse dovessero essere confermate, Combs rischia di passare il resto della sua vita dietro le sbarre.
Una scena musicale sconvolta e timorosa
Intanto, l’intera comunità della musica e dello spettacolo guarda con timore al procedere del caso. L’influenza di Combs e le sue connessioni con grandi artisti e volti noti come Jennifer Lopez, Leonardo DiCaprio e Beyoncé, sollevano interrogativi su quanto questi possano aver visto o sospettato dei comportamenti del rapper. Pur non essendo direttamente accusati, molti degli ospiti dei suoi famosi White Parties sono finiti sotto il microscopio, e il peso del sospetto inizia a diventare insostenibile anche per chi, forse, non ha mai avuto un coinvolgimento attivo.
La preoccupazione serpeggia soprattutto tra i più giovani artisti, alcuni dei quali si trovano a fare i conti con un passato in cui si sono sentiti spinti a “fare di tutto” per il successo. La pressione psicologica esercitata dall’industria per arrivare in alto non è una novità, ma questo caso rischia di rivelare una struttura di potere che per anni ha permesso abusi e soprusi.
Aspettando giustizia
L’attesa per il processo è intensa, e le parole delle presunte vittime suonano come un grido di aiuto soffocato per troppo tempo. Questo caso potrebbe trasformarsi in una nuova pagina della lotta contro la cultura del silenzio e dell’omertà, scoperchiando una realtà scomoda e dolorosa per l’industria musicale. Quello che un tempo sembrava il “sogno americano” per molti giovani artisti, ora si rivela come un incubo dal quale ci si augura possano finalmente emergere verità e giustizia.
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Mondo
Elon Musk “programma” il suo chatbot per essere scorretto: Grok diventa nazista in 3, 2, 1…
Nel giorno in cui Elon Musk aggiorna Grok per renderlo più “politicamente scorretto”, l’intelligenza artificiale di X esplode in un tripudio di antisemitismo, complottismo e frasi degne del Mein Kampf. X corre a cancellare tutto. Ma il mostro, stavolta, lo ha costruito da solo.

Elon Musk voleva una voce fuori dal coro, qualcosa di alternativo ai chatbot “woke” e troppo corretti come ChatGPT o Gemini. E così ha modificato Grok, l’intelligenza artificiale targata X, per renderla più “audace”, “diretta”, “politicamente scorretta”. Detto, fatto. In poche ore Grok è diventato un Mein Kampf 2.0: ha inneggiato a Hitler, minimizzato l’Olocausto, puntato il dito contro “gli attivisti dai cognomi ashkenaziti” e definito le politiche antirazziste “odio contro i bianchi”.
Una macchina dell’odio perfettamente confezionata, prodotta in casa Musk. Altro che algoritmo ribelle: Grok ha seguito le istruzioni. È diventato esattamente ciò che Elon voleva. Solo che invece di dire “le cose come stanno”, ha vomitato slogan neonazisti e complottismi da sottoscala digitale.
Il tutto è esploso in pubblico martedì. Grok ha risposto a un account fake che insultava le vittime di un’alluvione in Texas con frasi degne del peggior suprematismo bianco. Non contento, ha citato l’Olocausto come “esempio di risposta efficace” e ha chiesto, sarcastico, di farsi passare i baffi se dire la verità lo rende “letteralmente Hitler”.
Nel frattempo, X (l’ex Twitter) ha rimosso tutto. Peccato che lo schifo fosse già virale. E, proprio il giorno dopo, la CEO Linda Yaccarino si è dimessa senza dare spiegazioni. Cosa sarà mai andato storto?
Musk tace, o peggio, rilancia. In nome della libertà d’espressione, sta distruggendo ogni argine etico. E se l’AI dev’essere “libera”, il risultato non è il dissenso. È l’odio. Programmato. Pubblicato. E, stavolta, firmato Elon Musk.
Mondo
Trump lancia la sua “Netflix MAGA”: propaganda, complotti e business, tutto in streaming
Donald Trump vuole conquistare anche il telecomando degli americani. Dopo il social fallimentare, arriva lo streaming su misura per la sua narrazione. Dietro? Il solito mix di propaganda, affari e rancore

Donald Trump ha deciso che i media non bastano più. Non bastano Fox News, i comizi fiume, Truth Social (il suo social fantasma). Ora serve di più: serve Truth+, una piattaforma streaming tutta sua, dove i contenuti si scolpiscono a colpi di MAGA, patriottismo tossico e verità alternative. Altro che Netflix: qui l’intrattenimento ha il profilo arancione e il parrucchino biondo.
A spalleggiarlo, chi se non Newsmax, il canale più schierato d’America, che per anni ha spinto teorie cospirazioniste e notizie false su elezioni truccate e vaccini pericolosi. Insomma, se cercavi un rifugio sicuro per paranoici, ultrà e nostalgici del muro col Messico, sei nel posto giusto.
Il Ceo della baracca, Devin Nunes, ha dichiarato che Truth+ offrirà “commenti incisivi contro il monolite woke”. Tradotto: una valanga di propaganda travestita da informazione, pensata per chi crede ancora che Biden dorma in un bunker sotto Disneyland e che Obama sia nato su Marte.
Ma il problema è serio. Trump controlla tutto: piattaforma, contenuti, palinsesto, ospiti. Decide cosa si dice, come si dice e chi lo dice. La libertà di stampa? Roba da deboli. L’obiettività? Una parola da eliminare dal vocabolario.
Intanto i giornalisti veri – tipo quelli di Associated Press o Huffington Post – vengono esclusi dalla Casa Bianca. Dentro, invece, i reporter di Newsmax, con il pass preferenziale per la propaganda. E domani, magari, anche qualche show in prima serata dove Trump intervista… Trump.
Truth Social ha solo 6 milioni di iscritti e il nuovo streaming rischia di parlare a una stanza vuota. Ma non importa: a Trump basta che si parli di lui. Sempre. Ovunque. Anche nel salotto di casa tua, tra uno spot su bibbie marchiate Trump e una serie tv sulla “vera” America tradita da Hollywood.
E se non ti basta, tranquillo: presto arriva anche Truth.Fi, la banca MAGA, per investire solo in aziende patriottiche, con un occhio al profitto e l’altro alla bandiera. Il capitalismo? Perfetto, finché serve la causa.
Trump non è un politico. È un marchio. E ora si compra anche in streaming.
Mondo
Google sotto accusa: l’intelligenza artificiale “ruba” articoli agli editori e fa crollare il traffico online
Una coalizione di editori indipendenti europei denuncia Google alla Commissione Ue: l’uso dell’intelligenza artificiale per riassumere articoli nei risultati di ricerca violerebbe le regole della concorrenza e metterebbe in ginocchio il giornalismo.

L’intelligenza artificiale di Google è finita nel mirino degli editori europei. Una coalizione di testate indipendenti ha presentato una denuncia ufficiale alla Commissione Ue, accusando il colosso americano di comportamento anticoncorrenziale e di “furto sistematico” di contenuti. Nel mirino c’è Ai Overviews, la nuova funzione del motore di ricerca che, con l’ausilio dell’IA, riassume le informazioni principali tratte da vari siti e le presenta direttamente in cima ai risultati di ricerca. Il problema? L’utente legge il riassunto e non clicca più sui siti originali. Il traffico crolla, le entrate pubblicitarie pure.
La denuncia, resa nota da Reuters, parla chiaro: “Google abusa della sua posizione dominante, sfruttando contenuti giornalistici senza autorizzazione, causando danni irreversibili a editori e lettori”. A peggiorare la situazione, il fatto che da maggio questi riassunti includono anche annunci pubblicitari: quindi Google guadagna, mentre i siti che hanno prodotto le notizie restano a mani vuote.
Secondo l’Independent Publishers Alliance, che guida la protesta, gli editori non possono nemmeno sottrarsi: bloccare l’accesso all’IA significa sparire dai risultati di ricerca. Una trappola da cui sembra impossibile uscire. I numeri lo confermano: tra aprile 2022 e aprile 2025, Business Insider ha perso il 55% del traffico organico, secondo i dati Similarweb. Stessa sorte per HuffPost, Washington Post, Forbes, CNN e molti altri.
Google, dal canto suo, nega ogni responsabilità e ribadisce che l’IA “aiuta gli utenti a trovare contenuti e aziende”. Ma per gli editori l’impatto è devastante: meno clic, meno lettori, meno introiti. E un algoritmo che decide chi vive e chi scompare.
In Europa, le norme sul copyright sono più rigide che negli Usa. Ma finora non sono bastate a frenare l’avanzata delle Big Tech. Ora tocca alla Commissione decidere: tutelare l’informazione o lasciarla scomparire nel silenzio degli algoritmi.
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