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Trump e la guerra dei 12 giorni: dalla minaccia di un cambio di regime in Iran al cessate il fuoco celebrato su Truth Social

Un giorno da falco, quello dopo da colomba: Trump prima bombarda i siti nucleari iraniani, poi celebra l’intesa per un cessate il fuoco via social. Nel mezzo: slogan, accuse, Medvedev, la base Al Udeid e un’idea fissa — far sembrare tutto sotto controllo.

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    Il primo messaggio è arrivato quando in Medio Oriente era già notte fonda: “Cessate il fuoco completo e totale. Congratulazioni a tutti!”. Parola di Donald Trump, via Truth Social. Poche ore prima, però, il presidente Usa aveva evocato tutt’altro scenario. Aveva parlato di “cambio di regime” in Iran, lanciando un nuovo slogan in stile MAGA: “MIGA”, Make Iran Great Again.

    La giornata è iniziata con l’Iran che si leccava le ferite dopo il bombardamento di tre siti nucleari — Fordow, Natanz e Isfahan — colpiti da missili americani nelle prime ore di sabato. La risposta non si è fatta attendere: Teheran ha lanciato una dozzina di missili contro la base americana Al Udeid in Qatar, quartier generale del Central Command. Missili tutti intercettati, con nessuna vittima.

    Eppure, invece di soffiare sul fuoco, Trump ha cominciato a mettere acqua sulla crisi. Prima ha convocato d’urgenza il Consiglio per la sicurezza nazionale. Poi, terminata la riunione, è tornato sui social. Ma non per minacciare l’Iran: per attaccare i media. “Tutti sanno che i siti colpiti in Iran sono stati distrutti. Solo le fake news dicono il contrario!”, ha scritto.

    Nel frattempo, Karoline Leavitt, la portavoce della Casa Bianca, cercava di tradurre l’ultima provocazione del presidente: “Il riferimento al cambio di regime? Solo una domanda retorica. Un ragionamento ipotetico, come se ne fanno tanti”.

    Nel giro di un’ora, Trump ha poi cambiato completamente tono. Ha scritto di essere “lieto” che nessun americano sia stato ferito e ha ringraziato l’Iran “per averci avvisato in anticipo del lancio dei missili”. Una frase che ha fatto storcere il naso anche ad alcuni esponenti repubblicani, stupiti da tanto entusiasmo per un’aggressione appena subita.

    La svolta è arrivata nel pomeriggio. Trump ha annunciato che, nel giro di 24 ore, la guerra tra Iran e Israele sarebbe ufficialmente finita. Il meccanismo? “Il cessate il fuoco inizierà con l’Iran, poi Israele si unirà dopo dodici ore. Alla ventiquattresima ora, la guerra dei 12 giorni sarà terminata”.

    Una messinscena diplomatica orchestrata — come sempre — sui social, con un linguaggio da comizio: “Dio benedica Israele, Dio benedica l’Iran, Dio benedica l’America e il mondo intero!”. In mezzo, qualche stoccata a Medvedev (“smettetela di parlare di armi nucleari con leggerezza!”) e un monito al mondo del petrolio: “Non usate questa crisi per alzare i prezzi”.

    La cronaca delle ultime 24 ore non può però nascondere l’inquietante leggerezza con cui Trump alterna minacce e pacificazione, bombe e benedizioni, slogan bellici e chiamate alla pace. La guerra dei 12 giorni, per sua stessa ammissione, “avrebbe potuto distruggere il Medio Oriente”. E invece è diventata l’ennesimo teatro della sua campagna permanente.

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      Tom Hanks: “Buon viaggio tra le stelle”. Addio a Jim Lovell, il comandante di Apollo 13.

      Messaggi di cordoglio da Tom Hanks, Ron Howard e dalla NASA per uno dei volti più amati dell’esplorazione spaziale.

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      Tom Hanks

        Il mondo dello spazio e del cinema piange la scomparsa di Jim Lovell, leggendario comandante della missione Apollo 13, morto 8 agosto all’età di 97 anni. Pilota della Marina statunitense, veterano delle missioni Gemini e Apollo. Lovell è entrato nella storia per la sua capacità di mantenere lucidità e determinazione durante la crisi del 1970, quando un’esplosione a bordo della navicella mise a rischio la vita dell’equipaggio.

        Tom Hanks, che lo interpretò nell’omonimo film del 1995 diretto da Ron Howard, ha condiviso sui social un toccante ricordo. «Ci sono persone che osano, che sognano e che guidano gli altri verso luoghi dove non andremmo mai da soli. Jim Lovell era una di quelle persone». L’attore ha sottolineato come le missioni di Lovell non fossero motivate dalla fama o dal denaro, ma dalla sete di scoperta. «In questa notte di luna piena – ha aggiunto – se ne va verso il cielo, verso il cosmo, verso le stelle. Buon viaggio, Jim Lovell, in questo tuo prossimo viaggio».

        Anche Ron Howard ha voluto rendere omaggio all’astronauta, definendolo «una delle persone più straordinarie che abbia mai incontrato». Il regista ha ricordato come Lovell avesse collaborato attivamente alla produzione del film. Offrendo dettagli e suggerimenti per garantire il massimo realismo nel racconto della missione.

        Il produttore Brian Grazer lo ha definito «un vero eroe americano», mentre la NASA ha espresso gratitudine per il suo contributo alla storia dell’esplorazione spaziale. L’agenzia ha ricordato come, grazie alla sua leadership, quella che poteva trasformarsi in una tragedia divenne un esempio di gestione delle emergenze e cooperazione scientifica.

        Il film Apollo 13, con Tom Hanks, Bill Paxton e Kevin Bacon, vinse due premi Oscar e rese immortale la vicenda, anche grazie alla celebre battuta “Houston, abbiamo un problema”. Oggi, a distanza di oltre mezzo secolo, la storia di Jim Lovell continua a ispirare astronauti, ingegneri e sognatori di ogni età.

        La sua eredità non si limita alle missioni spaziali: è il simbolo di come il coraggio e la calma possano trasformare l’imprevisto in un capitolo di storia, e il rischio in una nuova occasione per guardare oltre l’orizzonte.

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          Mondo

          Ci mancava pure Superman in aiuto di Trump. La Casa Bianca è un cinema e l’attore Dean Cain si arruola nell’ICE

          Dean Cain, l’attore diventato famoso per aver interpretato Superman in tv, ha annunciato a Fox News di aver aderito all’agenzia ICE, braccio operativo della politica anti-immigrazione di Donald Trump. “Questo Paese è stato costruito da patrioti. Presterò giuramento al più presto”. L’America trumpiana, tra cinema e propaganda, arruola anche i supereroi.

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            Altro che finzione: Superman ora combatte davvero. Ma non contro Lex Luthor. Dean Cain, 59 anni, il volto che negli anni ’90 fece sognare milioni di telespettatori nei panni dell’Uomo d’Acciaio nella serie Lois & Clark, ha deciso di scendere in campo al fianco di Donald Trump — e non in un set. Lo ha annunciato lui stesso a Fox News: “Mi unirò all’ICE. Presterò giuramento come agente, il prima possibile”.

            L’ICE è l’Immigration and Customs Enforcement, la discussa e famigerata agenzia federale che gestisce i controlli sull’immigrazione negli Stati Uniti, divenuta emblema della linea dura di Donald Trump. E proprio mentre l’amministrazione repubblicana riceve 75 miliardi di dollari extra per rafforzare il programma, Cain sceglie di passare dal mantello al distintivo.

            “Questo Paese è stato costruito sui patrioti che si sono fatti avanti, che fossero popolari o meno, e che hanno fatto la cosa giusta”, ha dichiarato con piglio da eroe. “Credo davvero che questa sia la cosa giusta”. L’ex attore ha raccontato di aver maturato la decisione dopo aver condiviso un video di reclutamento dell’ICE su Instagram. Da lì, il passo verso l’arruolamento vero e proprio.

            L’annuncio ha ovviamente fatto scalpore: da eroe televisivo – sebbene nel dimenticatoio da anni – a simbolo del rigore trumpiano in materia di immigrazione. Un passaggio che fotografa bene l’aria che tira in un’America sempre più divisa. Non è solo una questione di legge, ma di narrativa. E stavolta a scrivere il copione è la Casa Bianca.

            Cain, che sostiene pubblicamente Trump, non è nuovo a dichiarazioni forti. Ma stavolta è andato oltre. In un Paese dove i simboli contano più delle leggi, il volto di Superman che entra nell’ICE vale più di mille conferenze stampa. La propaganda, d’altronde, ha bisogno di eroi. Anche finti.

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              Crolla il mito di Elon Musk: ora è l’uomo più detestato d’America, più giù perfino di Netanyahu

              Con un indice di popolarità a -28, Elon Musk diventa la figura pubblica meno amata degli Stati Uniti. I suoi flirt politici con Trump, i tweet velenosi e i dati in calo di Tesla lo spingono in fondo alla classifica Gallup. I più apprezzati? Papa Leone XIV e Zelensky.

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                Per anni è stato l’idolo dell’innovazione. Oggi è l’uomo più detestato d’America. Elon Musk, guru di Tesla e SpaceX, precipita nell’indice di popolarità Gallup: -28. Peggio perfino di Netanyahu, fermo a -20. Due americani su tre dichiarano di non sopportarlo più. Solo il 34% lo stima ancora. Il resto si divide tra indifferenti e delusi.

                Il motivo? Una miscela letale di politica e social. Musk aveva sposato la causa di Trump, investendo cifre enormi nella sua campagna e ottenendo in cambio una task force governativa chiamata DOGE (sì, come la sua cripto preferita). Ma il matrimonio è durato poco: i due si sono separati malamente, tra post velenosi e accuse esplosive. Compreso, pare, un vago riferimento al caso Epstein che ha fatto infuriare i repubblicani.

                Così Musk è riuscito in un’impresa rara: alienarsi sia i democratici che i repubblicani. E anche i numeri iniziano a scricchiolare. Tesla ha chiuso il secondo trimestre 2025 con utili in calo del 16% e ricavi a -12%. La concorrenza cinese avanza e lo stile social del patron non aiuta.

                Le sue esternazioni estreme, sostiene il Williams College, stanno danneggiando non solo Tesla, ma l’intero mercato delle auto elettriche. E le sue altre aziende — Neuralink, SpaceX, X — sono sempre più viste come capricci da miliardario che salvezze per l’umanità.

                Intanto, in cima alla classifica Gallup dei più amati ci sono due nomi: Volodymyr Zelensky (+18) e Papa Leone XIV (+46). Due figure distanti, ma accomunate da un dettaglio: non usano X.

                Musk invece continua a postare. Ma ogni tweet sembra un boomerang. E il genio visionario che voleva portarci su Marte ora fatica a uscire dal tunnel dell’antipatia.

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