Mondo
Trump riapre Alcatraz: «Ci rinchiuderò i criminali più spietati d’America»
Il presidente annuncia su Truth la ricostruzione e l’ampliamento del penitenziario simbolo della “tolleranza zero”: sarà gestito dal Bureau of Prisons, con il supporto di FBI e Homeland Security. E scoppia la polemica.

Alcatraz non sarà più soltanto un’attrazione per turisti amanti del brivido: Donald Trump ha annunciato che la famigerata prigione sull’isola nella baia di San Francisco tornerà a essere operativa. «Ospiterà i criminali più spietati e violenti d’America», ha scritto il presidente americano sul suo social Truth, promettendo un carcere «sostanzialmente ampliato e ricostruito». Un ritorno al passato che, come spesso accade con Trump, è anche un messaggio politico.
«Per troppo tempo l’America ha tollerato criminali recidivi, la feccia della società – ha detto il presidente –. Una volta eravamo una nazione più seria, che non esitava a rinchiudere i peggiori in luoghi da cui non potessero più nuocere. È tempo di tornare a quel modello». E per farlo, ha ordinato a Bureau of Prisons, Dipartimento di Giustizia, FBI e Sicurezza Nazionale di riportare in vita Alcatraz, chiusa nel 1963 per i costi eccessivi e le strutture fatiscenti.
L’isola, attualmente gestita dal National Park Service, accoglie ogni anno centinaia di migliaia di visitatori. È uno dei siti storici più famosi degli Stati Uniti, ma anche uno dei simboli più controversi della giustizia punitiva americana. Trump vuole farne un’icona del suo ritorno alla “law and order”, in un clima politico in cui i suoi scontri con la giustizia – e le sue uscite su prigioni estere per cittadini americani – fanno discutere.
La storia di Alcatraz è lunga e tormentata. Fortezza militare nella seconda metà dell’Ottocento, prigione militare durante la guerra civile, diventò carcere federale nel 1934. Lì furono rinchiusi gangster come Al Capone e rapinatori come George “Machine Gun” Kelly. Chiusa da Robert Kennedy nel 1963, fu poi occupata da attivisti nativi americani. Ma a renderla leggenda furono soprattutto il cinema e la cultura pop: da Fuga da Alcatraz con Clint Eastwood a The Rock con Sean Connery.
Ora Trump vuole riportarla a nuova vita. Non per i film, ma per «ridare agli americani un simbolo di giustizia». Oppure, secondo i suoi critici, per cavalcare la paura e guadagnare voti.
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Mondo
Putin resuscita Intervision per sfidare l’Occidente e annuncia: “Gli Stati Uniti ci saranno sul palco”

Mancano 78 giorni. Un maxi-schermo in piazza del Maneggio, davanti al Cremlino, scandisce il conto alla rovescia verso un evento che sembra uscito dagli archivi della Guerra fredda: il ritorno di Intervision, la versione sovietica dell’Eurovision. E la notizia che scuote la diplomazia internazionale è una sola: tra i partecipanti ci saranno anche gli Stati Uniti.
Sì, proprio loro. Lo conferma la Tass, agenzia stampa russa: Washington invierà una delegazione al festival musicale voluto da Vladimir Putin per riaffermare i “valori tradizionali” contro le derive “globaliste” di Eurovision. La kermesse andrà in scena a Mosca il 20 settembre, con delegazioni di Paesi “amici” come Cina, Iran, Venezuela, Cuba, Bielorussia, Qatar e Serbia. E ora anche gli Usa.
Intervision, o Intervidenie in russo, è molto più di un concorso musicale. È una dichiarazione di intenti. Dopo l’esclusione della Russia da Eurovision nel 2022 – a causa della guerra in Ucraina – il Cremlino ha scelto di creare una propria vetrina musicale, completamente scollegata dai valori occidentali. “Un festival per famiglie, patriottico e sovrano”, ha detto il ministro della Cultura russo. E lo sarà: a rappresentare Mosca ci sarà Shaman, idolo pop ultranazionalista, famoso per il brano “Sono russo”. Nella giuria siederà anche Igor Matvienko, fondatore dei Liubè, il gruppo preferito di Putin.
Ma è la presenza americana a rendere l’evento esplosivo. Per ora non si conosce l’identità del cantante o del gruppo che rappresenterà gli Usa. C’è chi ipotizza un artista vicino all’ambiente trumpiano, magari per lanciare un messaggio preciso in vista delle elezioni. Intanto, l’Ucraina protesta: “È propaganda russa”, ha detto il ministero degli Esteri, invitando i Paesi alleati a boicottare il festival.
La verità è che Putin vuole riscrivere la geopolitica anche con le canzoni. E questa volta, il microfono diventa un’arma.
Mondo
Crisi, frodi, milioni di debiti: così Trump era sull’orlo del fallimento prima di tornare alla Casa Bianca
Tra sentenze miliardarie, tasse non pagate e aziende in perdita, il patrimonio di Donald Trump era a un passo dal crollo. Poi le elezioni e il business delle criptovalute hanno riscritto la storia

Solo un anno fa, Donald Trump era a un passo dal baratro finanziario. Gli affari andavano male, i grattacieli producevano utili ridotti, i golf club arrancavano, le aule di tribunale lo aspettavano a ogni angolo. Il quadro lo tratteggia il New York Times, che ha ricostruito la fase più oscura dell’impero del tycoon, con carte, numeri e documenti processuali. Oggi, invece, l’uomo più potente d’America è anche tornato a essere uno dei più ricchi.
Nel 2023, durante un processo per frode, Trump aveva dichiarato di avere tra i 300 e i 400 milioni di dollari in contanti. Ma era un’illusione. Solo pochi anni prima, il suo patrimonio liquido risultava intorno ai 52 milioni. Le sentenze di condanna lo avevano travolto: 355 milioni da pagare per frode fiscale a New York, altri 88 milioni a favore della scrittrice Jean Carroll, che lo aveva querelato per diffamazione. A tutto questo si aggiungevano oltre 600 milioni di spese legali e almeno 100 milioni di tasse arretrate. Eppure, in pochi mesi, la situazione si è ribaltata.
A cambiare il destino del tycoon è stato un mix esplosivo: la vittoria elettorale e l’arrivo sul mercato della criptovaluta di famiglia. Oggi, grazie alla World Liberty Financial, società cripto gestita dal clan Trump, sono già stati incassati più di 350 milioni di dollari con il lancio del Trump Memecoin. E gli investimenti non si fermano: tornei di golf in partnership con gli emiri, grattacieli in Arabia e Qatar, resort in Vietnam e gadget firmati Make America Great Again, dalle Bibbie alle chitarre.
I legali parlano apertamente di conflitto di interessi, perché il presidente controlla sia la politica sulle criptovalute sia i suoi affari. Ma alla Casa Bianca minimizzano: “Trump difende solo gli interessi degli americani”, ha dichiarato la portavoce Karoline Leavitt. Eppure, mai come oggi, è chiaro che il potere politico di Trump sia tornato a muovere milioni, in una spirale dove affari e governo coincidono.
Mondo
Lo Chef italiano alla corte saudita: «Il sovrano adora la vaniglia»
Lo chef Daniele Chiari di Genzano ha conquistato il regno saudita. Dalla modernizzazione della tavola reale alla creazione di piatti innovativi, il suo viaggio culinario è un esempio di eccellenza e adattabilità.

Il sovrano va matto per il gelato alla vaniglia, ma non disprezza neppure altri piatti tipici della cucina italiana. Dai Castelli Romani all’Arabia Saudita, lo chef Daniele Chiari ha portato il suo talento culinario ai vertici del protocollo reale. Da sette anni, il 42enne di Genzano guida un team di 60 cuochi, creando menu per gli eventi ufficiali del governo di re Salman. La sua missione? Modernizzare l’etichetta della tavola reale.
“Mi hanno chiamato per un incarico segreto. Poi ho scoperto che dovevo modernizzare la tavola per i capi di stato in visita al re,” racconta Chiari. Al suo debutto, ha puntato sui sapori mediterranei, introducendo piatti come la burrata, il tartufo, il tiramisù e la panna cotta, sconosciuti ai palati sauditi. Solo dopo la pandemia, lo chef ha iniziato a rivisitare piatti tradizionali sauditi: “Con la pasta integrale Margog creo una lasagnetta aperta con carne di cammello,” spiega.
Chiari, che ha cucinato per personalità come Biden, Putin, e Xi Jinping, è noto per il suo riserbo, essenziale nel protocollo reale. “Anche se non mi sono mai avvicinato al sovrano, gli apprezzamenti arrivano attraverso il Protocollo reale. Re Salman ama l’agnello arrosto, il filetto di manzo con tartufo e la panna cotta ai mirtilli, ma soprattutto il gelato alla vaniglia,” svela Chiari.
Per gli chef come lui, la preparazione dei menu richiede attenzione alle intolleranze e alle preferenze degli ospiti, per evitare gaffe. “Non riceviamo richieste particolari, solo liste di intolleranze,” aggiunge.
Chiari è un maestro nel combinare tradizione e innovazione, anche con dessert come il tiramisù al caffè saudita al cardamomo. “Noi chef italiani siamo apprezzati per la nostra flessibilità,” conclude Chiari, che ha trasformato la sua passione per la cucina in un viaggio stellato dall’Italia al cuore dell’Arabia Saudita.
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