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Cronaca

Non è meglio tacere? Viganò e l’ennesima indecenza da tastiera nel giorno della morte di Papa Francesco

Mentre il mondo prega e si interroga sulla scomparsa di Jorge Mario Bergoglio, l’arcivescovo scomunicato Carlo Maria Viganò si lancia in un attacco sguaiato contro il Pontefice, ribadendo insulti e accuse deliranti che, oggi più che mai, rivelano solo il vuoto da cui provengono.

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    C’è una domanda che torna sempre, davanti a certi spettacoli: ma davvero è necessario parlare a sproposito? Non sarebbe meglio tacere e lasciare almeno il dubbio di possedere una qualche integrità mentale?
    Nel giorno della morte di Papa Francesco, mentre la Chiesa e milioni di fedeli pregano per la sua anima, l’ex arcivescovo e già scomunicato Carlo Maria Viganò ha scelto di aggiungere il suo stridio di unghie sulla lavagna della decenza.

    Senza alcun rispetto per il momento, Viganò si è prodotto su X (una volta si chiamava Twitter, ora sembra il posto perfetto per certi deliri) in un attacco tanto violento quanto indegno: “Esiste per tutti un Giudizio particolare, a cui anche Bergoglio non ha potuto sottrarsi”, ha scritto, augurandosi che l’anima del Papa debba rispondere dei “crimini” che avrebbe commesso. Primo fra tutti? L’aver “usurpato il soglio di Pietro” per “distruggere la Chiesa cattolica” e “perdere tante anime”.

    Una triste escalation di farneticazioni che Viganò ha rincarato, ricordando un’intervista di Eugenio Scalfari a Francesco del 2018, nella quale il Papa avrebbe parlato di una visione meno convenzionale dell’Aldilà. A detta di Viganò, queste parole rappresenterebbero “farneticamenti ereticali”, ennesima conferma – secondo lui – della necessità di una resa dei conti anche ultraterrena.

    E non finisce qui. Nel suo proclama, l’ex nunzio apostolico aggiunge un’altra bordata: definisce Bergoglio “non-papa” e “anti-papa”, attacca i cardinali che hanno accettato il suo pontificato e, con una lucida paranoia, prevede complotti per assicurare la continuità della “rivoluzione sinodale” tanto odiata. Conclude con un’invettiva carica di risentimento contro “cardinali e vescovi conservatori” rei di non aver messo in discussione la legittimità del Papa argentino.

    Ora, al netto delle proprie opinioni religiose, davanti alla morte l’uomo – ogni uomo – merita rispetto. Chi non riesce a comprenderlo non solo si condanna da sé, ma si qualifica. E l’idea che Viganò non abbia trovato nulla di meglio da fare che vomitare livore proprio nel giorno dell’addio a Francesco dice tutto quello che serve sapere.
    Se non altro, stavolta, il dubbio sulla sua integrità mentale non ce lo lasceremo: l’ha già fugato lui.

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      Italia

      Non solo sabbia e mojito: ecco i crimini più assurdi commessi in spiaggia

      Dai furti di ombrelloni “prenotati” con la scusa dell’asciugamano al lancio di gelati in faccia, la cronaca balneare racconta un’Italia surreale. In alcune località sono intervenuti i carabinieri per sedare vere e proprie risse per il posto in prima fila. E la fantasia dei “criminali da ombrellone” pare non conoscere limiti.

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        C’è chi aspetta l’estate per rilassarsi e chi, invece, la vive come un’occasione per dare libero sfogo alla propria follia. Non si tratta di metafora: le cronache locali sono ogni anno teatro di episodi che sembrano scritti da uno sceneggiatore impazzito. Reati piccoli, certo, ma non per questo meno degni di nota. Anzi: a volte fanno più ridere che indignare.

        Succede così che in Versilia un turista lombardo sia stato denunciato per “appropriazione indebita” dopo aver sottratto un lettino prenotato con il celebre trucco dell’asciugamano. “Non c’era nessuno!”, si è giustificato. Peccato che il legittimo proprietario fosse semplicemente al bar a prendersi un caffè.

        A Rimini, invece, la polemica ha raggiunto l’apice quando due famiglie si sono affrontate a colpi di paletta e secchiello per la supremazia su una buca scavata con grande impegno dai figli. I bagnini, increduli, hanno dovuto chiedere l’intervento della polizia municipale. “Era una trincea perfetta, non potevamo cederla”, ha dichiarato il padre, visibilmente scosso.

        E non mancano i casi più… gastronomici. A Taormina, un venditore ambulante ha denunciato un cliente per “aggressione con cono gelato”: l’uomo, insoddisfatto del gusto, gliel’ha spiaccicato in faccia. Testimoni riferiscono che si trattava di pistacchio.

        Ci sono poi episodi al limite dell’incredibile, come quello avvenuto a Ostia, dove una donna ha tentato di vendere “l’accesso esclusivo” al mare, piazzando una transenna con tanto di cartello: “Ingresso privato, 10 euro”. L’arenile, ovviamente, era demaniale.

        Non siamo ancora ai livelli del furto di sabbia – che resta il classico per eccellenza, soprattutto in Sardegna – ma anche quest’anno il repertorio estivo promette bene. E mentre i tribunali archiviano questi piccoli deliri sotto voci come “lite condominiale balneare”, resta il dubbio: siamo noi a impazzire con il caldo, o il mare tira fuori la nostra vera natura?

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          Italia

          Francobolli ritirati per mancanza del tedesco: la gaffe di Urso fa infuriare il Tirolo

          Il governatore Kompatscher attacca: «Il termine Alto Adige-Südtirol è ufficiale. È inaccettabile ignorarlo». I francobolli dedicati a Latemar e Catinaccio saranno ristampati con la versione bilingue, dopo la figuraccia istituzionale

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            Non si tratta di una banconota né di un documento ufficiale, ma l’assenza della parola Südtirol su un francobollo è bastata a scatenare una bufera politica. Il Ministero delle Imprese e del Made in Italy, guidato da Adolfo Urso, ha disposto il ritiro immediato di due francobolli appena stampati che raffiguravano le Dolomiti altoatesine – il Latemar e il Catinaccio – ma privi della denominazione in lingua tedesca. Una svista? Più che altro, un incidente diplomatico.

            Il motivo del contendere è proprio l’indicazione geografica: sui francobolli compariva solo la dicitura “Trentino-Alto Adige”, senza la corretta e costituzionalmente sancita forma bilingue “Trentino-Alto Adige/Südtirol”. Una mancanza che, in una provincia a statuto speciale dove il bilinguismo è obbligatorio per legge, ha il sapore dell’affronto istituzionale.

            A scatenare l’altolà è stato il presidente della Provincia autonoma di Bolzano, Arno Kompatscher, che non ha usato mezze misure: «Mi sono arrabbiato, è già successo in passato con le Odle. Una volta può capitare, ma stavolta c’è stata poca sensibilità. Il termine Alto Adige-Südtirol è nella Costituzione: è la denominazione ufficiale della regione. È inaccettabile».

            Il Mimit ha ammesso l’“anomalia” e ha ordinato il blocco della distribuzione. I francobolli appartenevano alla serie “Turistica – Patrimonio naturale e paesaggistico” e sarebbero dovuti essere messi in vendita da Poste Italiane. Al loro posto, ne verrà stampata una versione corretta, con le scritte in entrambe le lingue: italiano e tedesco. Il tutto grazie anche alla mediazione del deputato altoatesino Marco Galateo, volto di Fratelli d’Italia in Regione.

            La polemica ha riportato a galla la sensibilità, ancora fortissima, che circonda l’identità linguistica del territorio altoatesino. In Alto Adige, ogni toponimo, cartello o documento deve riportare sempre entrambe le lingue, pena accuse di discriminazione culturale. E anche un piccolo francobollo può trasformarsi in un caso politico.

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              Politica

              Bengasi chiude i cancelli: la figuraccia internazionale di Piantedosi (e dell’Europa)

              Missione saltata, delegazione espulsa, onta pubblica: la trasferta del Viminale in Libia orientale si trasforma in un boomerang diplomatico. E Bengasi lancia un messaggio chiarissimo: “Qui comandiamo noi”.

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                Atterrano, si guardano intorno, pronti per stringere mani, scattare foto e pronunciare le solite frasi fatte tipo “collaborazione fruttuosa”, “dialogo costruttivo”, “fronte comune sui flussi migratori”. E invece… “Preparatevi a ripartire”. No, non è l’incipit di un racconto comico, ma la sintesi cruda della missione (fallita) del ministro dell’Interno Matteo Piantedosi e della delegazione Ue a Bengasi. Una scena da film, solo che il genere è commedia nera: atterrati a Benina, dichiarati personae non gratae e gentilmente accompagnati alla porta d’imbarco. Game over in meno di un’ora.

                Per la cronaca, con Piantedosi c’erano anche i ministri dell’Interno di Grecia e Malta, oltre al Commissario europeo alle Migrazioni, Margaritis Schinas. Un bel team. Una missione “strategica”. Un disastro annunciato.

                La Libia, lo sanno anche i sassi, è un Paese spaccato in due: a ovest il governo riconosciuto da ONU e amici, a est il blocco filorussissimo della Cirenaica, che ha già fatto capire più volte che l’Europa può bussare, ma a porte chiuse. E invece la delegazione Ue è arrivata come se nulla fosse, con la delicatezza di un elefante in una cristalleria tribale. Risultato: tutti a casa, senza passare dal via.

                Il comunicato del governo libico orientale è stato più esplicito di una testata diplomatica: “Violazioni delle procedure”, “mancanza di rispetto delle leggi libiche”, “sovranità nazionale calpestata”. E, ciliegina sulla torta, la definizione lapidaria: “persona non grata”. Tradotto: “non ci servite, non vi vogliamo, non fate finta che sia un incidente. Non è un incidente. È un messaggio”.

                E che messaggio. Dietro il linguaggio istituzionale c’è una verità politicamente scottante: la Libia non è più terreno neutro, ma un campo minato dove le missioni europee entrano a proprio rischio e pericolo. E in questo caso, senza nemmeno il rischio: solo il pericolo, concretizzato in una figuraccia mondiale.

                Il Viminale, che già non brilla per agilità diplomatica, ora dovrà spiegare come mai una missione internazionale sia stata gestita con tanta leggerezza, come se Bengasi fosse un quartiere periferico di Roma e non una roccaforte semi-autonoma in mano a milizie e potentati locali. Ma soprattutto, dovrà spiegare perché si continui a credere che basti l’etichetta “Unione Europea” per farsi spalancare tutte le frontiere. Siamo nel 2025: quella stagione è finita.

                E l’Europa? Zitta. Come al solito. O, nella migliore delle ipotesi, affaccendata a trovare una frase abbastanza vuota da suonare importante e abbastanza ambigua da non dare fastidio a nessuno. Un comunicato stampa in corpo 10, senza firme né conseguenze. Diplomazia 2.0: quando prendi schiaffi, fai finta di non sentirli.

                Intanto, dal lato libico, il premier della Cirenaica Osama Saad Hammad gongola. Ha umiliato mezza Europa con una nota stampa e un cambio di gate. E ha fatto passare un messaggio chiaro: “la Libia orientale non è vostra alleata, né vostra cliente”. Potete mandarci soldi, droni, corsi di formazione per la guardia costiera, ma non vi illudete di comandare. Quello l’abbiamo già fatto noi, con voi sulla pista d’atterraggio.

                Il paradosso? Piantedosi era andato in missione per parlare – manco a dirlo – di migranti. Tema che in Libia è una questione di potere, milizie, traffici, porti. Cioè esattamente tutto ciò che l’Europa continua a fingere di non vedere. E in cambio, si becca l’ennesimo no secco, urlato a voce bassissima ma risuonante fino a Roma.

                In un mondo normale, questa debacle avrebbe provocato dimissioni, interrogazioni, crisi diplomatiche. Invece, probabilmente, finirà con qualche riga sui giornali e un’altra missione “strategica” già programmata tra un mese. Magari stavolta a Tripoli. O a Tobruk. Basta che si apra la porta. E che qualcuno, almeno una volta, controlli prima chi c’è dietro.

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