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Cronaca

Papa Leone XIV e il Conclave: il gesto che ha sorpreso i cardinali prima dell’elezione

Robert Francis Prevost – eletto Papa Leone XIV – avrebbe lasciato a metà riunione i cardinali, sapendo già di essere stato scelto. Il gesto, raccontano, è stato un modo per concentrarsi sul suo primo messaggio ai fedeli.

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    Nuovi dettagli emergono dal Conclave del 2025, che ha portato sul soglio pontificio il cardinale americano Robert Francis Prevost, ora Papa Leone XIV. Un retroscena inedito e sorprendente racconta di un gesto che Prevost avrebbe compiuto poco prima della sua elezione, mentre i cardinali erano ancora impegnati in consultazioni riservate.

    Secondo quanto riportato da Repubblica, la svolta decisiva nel Conclave è arrivata quando il cardinale Luis Antonio Tagle, arcivescovo di Manila, ha deciso di fare un passo indietro. Fino a quel momento la situazione appariva incerta: voci e correnti che si incrociavano, ipotesi su chi potesse guidare la Chiesa nel delicato periodo storico attuale. Ma con la rinuncia di Tagle, la strada si sarebbe aperta definitivamente per Prevost.

    Il cardinale americano avrebbe compreso in quel momento che la scelta era ormai segnata. Le dinamiche interne, le discussioni e le intese informali avevano creato un consenso che pareva inarrestabile. Così, raccontano, Prevost avrebbe deciso di abbandonare momentaneamente la riunione a metà del pranzo con gli altri cardinali. Un gesto tanto discreto quanto eloquente, che molti hanno notato ma nessuno ha commentato pubblicamente in quei minuti sospesi.

    Il motivo? Non un capriccio né un atto di superbia, ma un momento di raccoglimento. Papa Leone XIV avrebbe scelto di prendersi qualche ora di silenzio e concentrazione, certo ormai di essere il nuovo pontefice. Lontano dalle voci e dai mormorii delle congregazioni cardinalizie, si sarebbe ritirato per iniziare a comporre il primo messaggio da pronunciare appena fosse apparsa la fumata bianca.

    Così, mentre i cardinali proseguivano nelle ultime votazioni e nella definizione degli ultimi dettagli formali, Prevost si sarebbe chiuso in una stanza per scrivere. Parole scelte con cura, dense di significato e di umanità, destinate a diventare il primo saluto del suo pontificato. È lì che sarebbe nato il discorso che Papa Leone XIV ha rivolto ai fedeli di tutto il mondo la sera dell’8 maggio: “La pace sia con tutti voi! Fratelli e sorelle carissimi, questo è il primo saluto del Cristo Risorto, il Buon Pastore, che ha dato la vita per il gregge di Dio. Anch’io vorrei che questo saluto di pace entrasse nel vostro cuore, raggiungesse le vostre famiglie, tutte le persone, ovunque siano, tutti i popoli, tutta la terra…”.

    Parole che hanno fatto breccia sin da subito, tanto da essere riprese e commentate in ogni angolo del mondo. Ma che, a quanto pare, avevano preso forma già in quelle ore segrete a metà Conclave.

    Questo retroscena aggiunge un tassello al mosaico della figura di Papa Leone XIV, un uomo di fede e di parola che, prima ancora di apparire alla loggia di San Pietro, avrebbe scelto di mettersi al servizio dell’umanità con un messaggio di pace. La sua elezione, avvenuta con una valanga di voti, sembra ora più che mai il risultato di una consapevolezza maturata in quelle ore di silenzio e di raccoglimento.

    Del resto, il Conclave – evento che per secoli ha custodito i segreti più profondi della Chiesa – è sempre stato anche un momento di umanità e di scelte personali. Papa Leone XIV ha voluto che il primo atto del suo pontificato fosse proprio quello: non un annuncio di potere, ma un invito alla fratellanza universale, preparato con la solennità e la riservatezza che un momento così unico richiede.

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      Cronaca Nera

      Garlasco, la nuova perizia della difesa Stasi: “Sull’impronta 33 c’è sangue, è di Sempio”

      Secondo la relazione firmata da Ghizzoni, Linarello e Ricci, la famosa impronta 33 sarebbe compatibile con il palmo di Andrea Sempio e conterrebbe tracce di sudore misto a sangue. Una ricostruzione che riaccende lo scontro con i periti della famiglia Poggi e con quelli dello stesso Sempio, e che potrebbe cambiare gli equilibri dell’indagine.

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        Torna al centro del caso Garlasco l’impronta numero 33, la stessa che secondo i consulenti della Procura sarebbe compatibile con il palmo di Andrea Sempio. Ma la novità, ora, è un’ulteriore perizia depositata dalla difesa di Alberto Stasi che rilancia: quella traccia sarebbe intrisa di sangue misto a sudore.

        È quanto sostengono Oscar Ghizzoni, Pasquale Linarello e Ugo Ricci, i consulenti nominati dagli avvocati Giada Bocellari e Antonio De Rensis, legali di Stasi. Nella loro relazione, la 33 viene definita un’impronta “frutto di un contatto palmare intenso”, ovvero esercitato con forza sul muro durante un movimento anomalo, “non compatibile con una semplice discesa delle scale”. A rafforzare la tesi, ci sarebbero “accumuli più scuri” e un alone compatibile con materiale biologico.

        Non potendo più analizzare l’intonaco originale (asportato e trattato nel 2007 dal Ris), i tre esperti hanno ricreato in laboratorio le condizioni dell’epoca. Hanno spalmato sangue e sudore su muri simili, trattandoli con gli stessi reagenti: ninidrina, Combur e Obti test. Secondo i consulenti, la ninidrina avrebbe “inibito ogni reazione positiva”, mascherando la presenza del sangue. Ma i risultati fotografici sarebbero compatibili con quanto visto sul muro della villetta Poggi.

        Conclusione: quell’impronta, per la difesa Stasi, sarebbe di Andrea Sempio, e sarebbe stata lasciata con una mano non pulita. Un risultato opposto a quello raggiunto dai consulenti della famiglia Poggi, che parlavano di “appoggio veloce” e nessuna traccia ematica, e da quelli dello stesso Sempio, che riducono la validità dell’impronta a sole cinque minuzie.

        L’avvocata Angela Taccia, che difende Sempio insieme a Massimo Lovati, replica serena: “È solo una consulenza di parte. Nulla è stato accertato. Restiamo fiduciosi”.

        Ma la battaglia sulla 33 è tutt’altro che finita. Anche se il gip ha escluso la traccia dall’incidente probatorio, gli inquirenti hanno ora sul tavolo un nuovo elemento. E quella macchia sul muro potrebbe ancora dire molto.

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          Mondo

          Scandalo in Cina: rubati e rivenduti online i mattoni delle antiche mura Ming

          Sospetti su una coppia di venditori nella provincia dello Shanxi: i cimeli storici venduti a 95 yuan ciascuno (circa 12 euro). Sotto inchiesta un traffico illegale di materiali storici sottratti da un sito culturale protetto: oltre 100 i pezzi già venduti prima dell’intervento delle autorità.

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            Un vero e proprio scandalo culturale ha scosso la Cina nei giorni scorsi. Alcuni mattoni originali delle antiche mura cittadine risalenti alla dinastia Ming. Con oltre 400 anni di storia, sono stati messi in vendita. Su una piattaforma di e-commerce per appena 95 yuan l’uno (pari a circa 12 euro al cambio attuale). A lanciare l’allarme è stato un utente sui social, che ha notato l’annuncio sospetto accompagnato da foto e video del materiale archeologico.

            Le immagini mostravano mattoni sparsi vicino a un tratto danneggiato delle mura storiche, con la terra battuta visibilmente esposta. La descrizione del prodotto indicava chiaramente la provenienza da Linfen, nella provincia dello Shanxi, e faceva riferimento a una targa che riporta la data “Chongzhen, 4° anno”, riconducibile al 1631.

            Le autorità si sono mosse rapidamente: il 22 luglio, l’Ufficio di Pubblica Sicurezza della contea di Xiangfen ha avviato un’indagine. In base a quanto comunicato sull’account ufficiale WeChat “Xiangfen Public Security”. Una coppia – identificata come Wang e Zheng, residenti nel villaggio di Beizhonghuang. Ed è stata arrestata con l’accusa di aver sottratto e rivenduto illegalmente parte delle mura antiche.

            Screenshot preso da guancha.cn

            I mattoni sarebbero stati raccolti prima dell’inizio dei lavori di restauro sul sito. Tuttavia, gli investigatori sospettano che non si tratti semplicemente di materiali dismessi, ma di veri e propri elementi architettonici originali trafugati da un sito sottoposto a tutela culturale.

            Sembra che oltre un centinaio di pezzi fossero già stati acquistati prima della rimozione del prodotto dalla piattaforma. Un cliente aveva persino confermato nei commenti: “Si tratta davvero di mattoni originali, ne comprerò altri”. Il servizio clienti dell’e-commerce ha promesso un intervento immediato. Assicurando che il negozio sarebbe stato sospeso o chiuso dopo le opportune verifiche.

            Nel frattempo, anche l’Ufficio municipale per la Cultura e il Turismo di Linfen ha dichiarato di aver preso in carico il caso e di aver avviato controlli interni e ispezioni straordinarie. Gli esperti del dipartimento per i beni culturali stanno ora esaminando i materiali sequestrati per confermarne l’autenticità.

            Se le accuse fossero confermate, ci troveremmo di fronte a un grave caso di vandalismo e traffico illecito di beni storici. Un episodio che riaccende il dibattito sulla protezione del patrimonio culturale in Cina, in un’epoca in cui anche l’archeologia rischia di essere mercificata online.

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              Politica

              Meloni sul Time: dalla fiamma al glamour, ora Giorgia conquista la copertina del magazine americano.

              Giorgia Meloni è la nuova star del Time: “Figura interessante d’Europa”. Il profilo elogia la sua ascesa, il pragmatismo e la postura internazionale. Ma tra omissioni, ambiguità e scatti patinati, l’operazione profuma più di rebranding che di rivoluzione politica.

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                Altro che l’Italia degli spaghetti e mandolino: ora ci sono i tacchi, i dossier sottobraccio e le copertine patinate. Giorgia Meloni si prende il Time. E non un trafiletto laterale: la copertina. “Una delle figure più interessanti d’Europa”, scrive il magazine. Tradotto: la destra in tailleur è finalmente presentabile anche in salotto, purché non urli troppo.

                Il ritratto firmato da Massimo Calabresi è lungo, curato, levigato. E racconta una Meloni capace di sorprendere: meno barricadera di quanto i suoi stessi elettori forse speravano, più atlantista di molti centristi in doppiopetto. Una premier che affascina Washington, piace a Bruxelles, si fa fotografare in posa riflessiva mentre promette riforme “presidenziali” con un occhio a Mattarella e l’altro a Trump.

                Ma il punto non è chi l’ha intervistata. È chi ha scelto di dimenticare. Perché nel ritratto non c’è traccia di certi provvedimenti sgraziati, né delle leggi che strizzano l’occhio al voto nostalgico. Scompare magicamente il piglio muscolare sui migranti, l’offensiva contro la stampa, i sussurri autoritari che sanno tanto di passato che non passa mai. E il pragmatismo? Viene scambiato per democrazia, come se bastasse non salire su un balcone per essere Churchill.

                Certo, l’articolo ricorda che Biden l’aveva presa con le molle. Ma oggi la benedice, come fanno Von der Leyen e i repubblicani Usa. Tutti affascinati da una leader che parla chiaro, cammina dritta e non fa troppe onde. In fondo, Meloni non rompe con Bruxelles: cerca solo di renderla un po’ più FdI-friendly. Altro che rivoluzione: è la normalizzazione del post-fascismo a colpi di selfie e parole misurate.

                E se oggi il mondo applaude Giorgia, è anche perché fa comodo una destra “gestibile” nel cuore dell’Europa. Una che non alza la voce, ma tiene saldo il timone. E soprattutto non si vergogna di portare in copertina la fiamma del MSI, pur illuminata da un riflettore americano.

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