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Cronaca

Pierbattista Pizzaballa, il Papa che verrebbe da Gerusalemme

Sessant’anni, bergamasco, con vent’anni trascorsi tra le strade e i drammi della Terra Santa, è tra i nomi che contano davvero per il prossimo Conclave. Ha studiato ebraico, celebrato messa a Betlemme sotto le bombe, offerto se stesso in ostaggio a Hamas. E, soprattutto, ha detto cose che in Vaticano nessuno osa più dire

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    C’è una voce che non grida, ma lascia il segno. Non organizza cordate, non guida gruppi di pressione, non si aggira nei saloni del potere con la finta umiltà dei cortigiani. È la voce di Pierbattista Pizzaballa, patriarca latino di Gerusalemme, il papabile che viene dal fronte. Sessant’anni, francescano, teologo, uomo di dialogo. In un Vaticano che si prepara a scegliere il successore di Francesco, il suo nome circola come quello di chi ha visto davvero cosa significa essere Chiesa nelle macerie del mondo.

    Ha passato metà della sua vita nella Terra Santa. Quando era un giovane frate arrivato da Bergamo, negli anni Novanta, si iscrisse ai corsi di ebraico dell’Università di Gerusalemme. Una scelta che fece scandalo. All’epoca si studiava solo arabo, tutto il resto era sospetto. E Pizzaballa, invece, voleva capire. Capire gli altri, non giudicarli. Non ha mai smesso.

    Tradusse la liturgia cattolica in ebraico per una minuscola comunità di fedeli. Celebra ancora oggi nella lingua che i suoi confratelli guardavano con diffidenza. Insegnava allo Studio Biblico francescano e all’Università ebraica. Quando gli hanno chiesto perché, ha risposto: “Perché la Bibbia nasce qui, e qui bisogna tornare”.

    Da Custode di Terra Santa a Patriarca di Gerusalemme, ha tenuto insieme popoli e ferite. Ha parlato con israeliani, palestinesi, cristiani, musulmani, rabbini, diplomatici e poveri. Ha denunciato i crimini dei coloni e quelli di Hamas, sapendo che in certi contesti la parola pesa più di una pietra. Il 16 ottobre 2023 ha fatto quello che nessun leader spirituale aveva mai osato: si è offerto come ostaggio volontario in cambio della liberazione degli israeliani catturati da Hamas. Lo ha detto, senza retorica. E senza ottenere risposta. Ma il segno è rimasto.

    Conosce bene la violenza, ne è stato testimone diretto. A Betlemme, la notte di Natale del 2023, ha celebrato messa sotto la minaccia dei droni e ha parlato di pace con parole che bruciavano. “Il grave attacco di Hamas non è avvenuto nel vuoto”, ha detto, ripetendo quanto dichiarato da Guterres all’ONU, e facendo infuriare i falchi di Gerusalemme. Ma non ha arretrato di un passo. Neppure ora che la destra israeliana è sempre più aggressiva. Per lui la religione deve essere un ponte, non un’arma.

    A Roma lo conoscono, ma non lo controllano. Non fa parte delle cordate curiali, non ha uomini piazzati nei dicasteri, non telefona per piazzare alleati. È stato vicino a papa Francesco, ma senza idolatrarlo. Condivide l’idea di una Chiesa povera e missionaria, ma ha uno stile tutto suo. Nessuna autocelebrazione, nessuna invadenza. Un pastore, più che un politico. E forse per questo fa paura.

    Per i conservatori è troppo “bergogliano”. Per i diplomatici vaticani, troppo diretto. Per i mediatori, un uomo che non si lascia comprare. Ma per chi cerca un Papa capace di parlare al mondo ferito, alle religioni divise, alle Chiese dimenticate, Pizzaballa potrebbe essere una sorpresa.

    Il suo è un nome che conta, anche se non appare nei bollettini ufficiali. I cardinali che hanno viaggiato lo conoscono bene. Chi ha messo piede in Medio Oriente sa quanto pesi la sua parola. E sa che se uscisse il suo nome dalla Cappella Sistina, sarebbe la prima volta che un Papa parla ebraico.

    Un Papa che viene dalla guerra, e che crede ancora nella pace.

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      Cronaca Nera

      Caso Garlasco, i punti rimasti in ombra che tornano a pesare: perché i pm guardano ora ad Andrea Sempio

      L’inchiesta su Andrea Sempio, 37 anni, si fonda su sei elementi chiave: dal Dna sotto le unghie di Chiara Poggi all’“impronta 33”, passando per uno scontrino contestato e telefonate mai del tutto spiegate. Sullo sfondo, l’indagine di Brescia sulle presunte pressioni che avrebbero portato all’archiviazione del 2017

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        La nuova indagine sul caso Garlasco riparte da punti che per anni sono rimasti sospesi. La posizione di Andrea Sempio, 37 anni, amico del fratello di Chiara Poggi, torna al centro della scena giudiziaria con un fascicolo che la procura di Pavia considera molto diverso da quelli del passato. L’elemento più discusso riguarda il Dna trovato sotto le unghie della vittima: una corrispondenza con la linea maschile della famiglia Sempio emersa dall’incidente probatorio. La difesa non contesta la scienza, ma il significato: per gli avvocati si tratterebbe di un trasferimento indiretto, non di un segno di colluttazione. Le ipotesi parlano di un contatto accidentale, addirittura di residui rimasti in casa tramite un telecomando della Playstation o uno starnuto. Una lettura che la procura giudica improbabile.

        Al centro della nuova istruttoria c’è anche lo scontrino del parcheggio di Vigevano, presentato da Sempio nel 2008 come prova della sua presenza altrove la mattina del delitto. I nuovi accertamenti non solo ritengono il ticket inutilizzabile come alibi, ma dubitano che fosse effettivamente suo. Lo stesso Sempio, negli anni, aveva espresso rammarico per l’assenza di verifiche sulle telecamere dell’epoca, ma oggi la difesa considera quell’elemento “non sufficiente” a collocarlo lontano da via Pascoli.

        Il fascicolo riapre anche il tema delle telefonate effettuate alla famiglia Poggi. I tabulati mostrano varie chiamate nei giorni precedenti al delitto. Sempio aveva spiegato di aver cercato l’amico Marco o di aver sbagliato numero, ma all’epoca non furono acquisiti i suoi tabulati. Oggi la procura ritiene che quelle versioni non abbiano mai trovato riscontro.

        Tra gli aspetti tecnici, uno dei più rilevanti è la cosiddetta “impronta 33”, una traccia individuata sul muro della scala che porta al seminterrato. In passato considerata marginale, ora viene ritenuta compatibile con almeno 15 minuzie attribuibili a Sempio. Un dettaglio che, secondo gli investigatori, colloca una presenza maschile proprio nel punto in cui il corpo di Chiara venne trovato.

        Il nodo del movente resta invece coperto dal segreto istruttorio. Per anni l’assenza di un rapporto significativo fra Sempio e Chiara era stata considerata un ostacolo a qualunque ipotesi accusatoria. Ora gli inquirenti ritengono di aver individuato un possibile collegamento, ritenuto rilevante ma non ancora rivelato.

        Sul fondo della vicenda resta l’inchiesta della procura di Brescia sulla presunta corruzione legata alla precedente archiviazione del 2017. Un’indagine che coinvolge il padre di Sempio e l’ex procuratore aggiunto di Pavia Mario Venditti. Non c’è un collegamento diretto, ma eventuali riscontri potrebbero influire sul quadro complessivo.

        Ora tutti gli elementi verranno valutati insieme: Dna, impronte, alibi, telefonate. Sarà il mosaico, non il singolo indizio, a decidere se l’indagine condurrà all’improcedibilità o a una richiesta di rinvio a giudizio.

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          Mistero

          Marilyn Monroe, mistero infinito: James Patterson rilancia l’ombra dei Kennedy, di Sinatra e della Mafia

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            Marilyn Monroe non smette di far parlare di sé, nemmeno 63 anni dopo la morte. Nel suo nuovo libro The Last Days of Marilyn Monroe: A True Crime Thriller, James Patterson — uno degli autori più letti al mondo — rimette in scena la teoria più inquietante: la diva sarebbe morta non per un gesto volontario, ma per le informazioni che custodiva. «Navigava in acque molto pericolose», ha detto al Hollywood Reporter. Le sue frequentazioni? John e Robert Kennedy, Frank Sinatra, figure legate alla Mafia. «Gente che le confidava cose. E lei ne teneva traccia».

            Un’indagine mai chiusa, tra autopsie incomplete e detective dubbiosi

            Il corpo di Marilyn fu trovato nella sua casa di Brentwood: barbiturici sul comodino, una bottiglia di Nembutal, la tesi del suicidio archivata in poche ore. Ma, ricorda Patterson, l’autopsia «non fu completa come avrebbe dovuto». Non tutti i dettagli tornarono. E uno dei detective arrivati sul posto si convinse “di trovarsi davanti a una messa in scena”. Elementi che alimentano un alone di sospetto mai dissolto, alimentato dalle tantissime versioni circolate negli anni.

            Una vita romanzo, tra dodici famiglie affidatarie e un talento che travolge

            Il libro scritto con Imogen Edwards-Jones si muove tra fatti, ricostruzioni e dialoghi immaginati — dichiarati come tali — ripercorrendo anche l’infanzia drammatica della diva, cresciuta in undici famiglie affidatarie e segnata da una balbuzie che solo anni dopo riuscì a controllare. Patterson sostiene che il pubblico non conosca davvero la sua storia e che, dietro ogni fotografia patinata, ci fosse un percorso pieno di crepe e fragilità.

            Oggi Marilyn è ancora al centro della cultura pop come simbolo, ossessione e mito irrisolto. Patterson spera ora che il libro diventi una serie tv. Per Hollywood, un altro tassello nell’eterno ritorno della sua stella più luminosa — e più controversa.

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              Mondo

              Giovani donne e il “sogno americano” in fuga: perché il 40% vorrebbe lasciare gli Stati Uniti

              Tra clima politico, diritti riproduttivi e sfiducia nelle istituzioni, cresce il numero di giovani donne che non si riconoscono più nell’immagine degli Stati Uniti come terra di opportunità. Canada, Nuova Zelanda, Italia e Giappone le mete più ambite.

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              sogno americano

                Un mito che si incrina

                Per generazioni il “sogno americano” ha rappresentato l’idea di un Paese in cui chiunque potesse aspirare a una vita migliore. Oggi, però, sempre più giovani donne non lo percepiscono più come tale. L’ultimo sondaggio Gallup indica che il 40% delle statunitensi tra i 15 e i 44 anni lascerebbe definitivamente gli USA, se ne avesse la possibilità: un dato mai raggiunto prima e quattro volte superiore rispetto al 2014.

                La tendenza non è improvvisa. Già nel 2016 si registra un rialzo significativo nelle aspirazioni migratorie femminili, in un contesto politico polarizzato e dopo la definizione dei candidati alle presidenziali poi vinte da Donald Trump. Negli anni successivi la percentuale ha continuato a salire, fino a raggiungere il 44% alla fine dell’amministrazione Biden e stabilizzarsi su valori simili nel 2025.

                Politica e identità: un distacco crescente

                Il desiderio di trasferirsi non riguarda in modo uniforme tutta la popolazione. Il divario di genere è il più ampio mai rilevato da Gallup: 21 punti separano uomini (19%) e donne (40%) nella stessa fascia d’età.
                Gli analisti sottolineano che si tratta di aspirazioni, non di intenzioni concrete, ma la dimensione del fenomeno — parliamo di milioni di giovani — resta indicativa.

                La frattura politica pesa molto. Nel 2025, il gap nel desiderio di emigrare tra chi approva e chi disapprova la leadership nazionale raggiunge 25 punti percentuali, il valore più alto osservato negli ultimi quindici anni. Prima del 2016, differenze di questo tipo non erano rilevanti. Con Trump il divario ha iniziato a crescere, si è temporaneamente ridotto sotto Biden e poi è tornato ad ampliarsi.

                Una scelta che supera età, matrimonio e figli

                Un altro aspetto significativo è che questa spinta migratoria riguarda allo stesso modo donne sposate, single e neomamme. Tra le 18-44enni, il 41% delle sposate e il 45% delle single vorrebbe trasferirsi in modo permanente all’estero.
                Perfino la presenza di figli piccoli non sembra frenare il desiderio di partire: il 40% delle madri recenti condivide questa prospettiva, una percentuale in linea con quella delle coetanee senza figli.

                Canada in testa, Italia tra le destinazioni più citate

                Tra le mete più desiderate emerge il Canada, indicato dall’11% delle giovani intervistate. Seguono Nuova Zelanda, Italia e Giappone, tutte al 5%.
                Questo dato contrasta con la situazione nei Paesi dell’Ocse, dove le aspirazioni migratorie delle giovani donne sono rimaste stabili — mediamente tra il 20% e il 30% — senza aumenti paragonabili a quelli degli Stati Uniti.

                Diritti e fiducia nelle istituzioni: un legame che si spezza

                A spiegare questa disaffezione contribuisce anche il crollo della fiducia nelle istituzioni. Secondo il National Institutions Index di Gallup, tra il 2015 e il 2025 le donne tra i 15 e i 44 anni hanno perso 17 punti di fiducia complessiva.

                Un momento cruciale è stato il ribaltamento nel 2022 della sentenza Roe v. Wade, che per mezzo secolo aveva garantito il diritto costituzionale all’aborto. Dopo la decisione della Corte Suprema, la fiducia delle giovani donne nelle istituzioni è scesa dal 55% del 2015 al 32% nel 2025. Tuttavia, Gallup osserva che il trend di crescente desiderio migratorio era iniziato già anni prima, segno di un malessere più ampio.

                Un Paese che rischia di perdere una generazione

                Il quadro tracciato dal sondaggio rivela più di un disagio passeggero: racconta una generazione che percepisce gli Stati Uniti come un luogo meno capace di garantire diritti, sicurezza e opportunità reali.
                Se anche solo una parte di queste aspirazioni dovesse concretizzarsi, gli effetti demografici e culturali sarebbero notevoli. Per molte giovani donne, il “sogno americano” non si è infranto: semplicemente, oggi lo stanno cercando altrove.

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