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Cronaca

Pitti il vigile di Donnas che ha terminato la Trans America Bike Race

Pitti, il vigile ciclista, ha concluso la gara più dura del mondo: 26 giorni in sella per attraversare gli Usa. L’atleta di Donnas, specialista delle imprese estreme, ha concluso la Trans Am Bike Race. Dall’Oregon alla Virginia tra orsi, bisonti, deserto e notti passate negli uffici postali.

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Trans America Bike Race

    Maurizio Pitti, atleta estremo di Donnas (Valle d’Aosta), ha terminato la leggendaria Trans America Bike Race un viaggio di 7.000 chilometri da Astoria, in Oregon, a Yorktown, in Virginia. In totale ci ha impiegato 26 giorni, 9 ore e 27 minuti. Pitti ha affrontato 55.000 metri di dislivello positivo, classificandosi decimo su 64 partecipanti.

    Un’impresa eroica

    L’avventura di Pitti ha attraversato pianure torride, montagne alte fino a 3.500 metri, e parchi naturali abitati da bisonti e orsi. Ha affrontato condizioni climatiche avverse, inclusi 200 chilometri sotto pioggia e vento il primo giorno, scenari mozzafiato e l’ospitalità degli uffici postali dove ha passato molte notti. Il Kansas si è rivelato particolarmente sfidante con i suoi lunghi rettilinei e il caldo soffocante.

    Supporto e determinazione

    Nonostante fosse una corsa in solitaria, Pitti ha ricevuto aiuto da sconosciuti e supporto morale dalla moglie, dai figli, amici, parenti e colleghi. Un collega di Ivrea gli ha persino dedicato una canzone che ha sollevato il suo spirito nei momenti difficili. Nel Kentucky, un abitante locale lo ha aiutato a rimettersi sulla giusta strada quando ha perso la traccia del percorso.

    Esperienza indimenticabile

    Alla fine della Trans America Bike Race, Pitti ha espresso gratitudine e emozione per l’avventura vissuta. Ha ricordato i numerosi acciacchi, la fatica, alcuni momenti di grande difficoltà, la crisi finale, l’assenza di forze, le lacrime ma anche la felicità. E’ tornato in Italia con la consapevolezza di aver vissuto un’esperienza unica oltre il viaggio e l’avventura. “Un sogno, una gara, di quelle che ti toccano, ti segnano, ti restano dentro, per sempre.“, ha detto.

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      Cronaca Nera

      Dal frate alla food blogger: che fine hanno fatto i ragazzi di Garlasco, 18 anni dopo il delitto di Chiara Poggi

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        Diciotto anni fa erano ventenni con l’estate addosso. Adolescenti di provincia, cresciuti tra le scuole e le partite a calcetto nella bassa lomellina. Oggi sono uomini e donne adulti, ciascuno con una vita diversa, più o meno lontana da Garlasco e da quella villetta in via Pascoli. Ma il tempo, nella cronaca, non basta a cancellare. Con le nuove indagini riaperte dalla procura di Pavia sul delitto di Chiara Poggi, è tornata a emergere la rete degli amici di allora: volti noti e meno noti, rimasti nel cono d’ombra di una tragedia mai dimenticata.

        Marco Poggi, l’ingegnere silenzioso

        Il fratello della vittima, Marco Poggi, oggi vive a Mestre, lontano da Garlasco e da quel dolore che ha segnato per sempre la sua giovinezza. Dopo la laurea in ingegneria, ha scelto l’anonimato. Non ha mai rilasciato dichiarazioni, nemmeno dopo la condanna di Alberto Stasi nel 2015. Le nuove ombre sull’inchiesta, però, lo hanno riportato sotto i riflettori. Per lui il passato non è mai passato.

        Andrea Sempio, da “amico di famiglia” a indagato

        Andrea Sempio, grande amico di Marco e vicino di casa della famiglia Poggi, è oggi al centro della cosiddetta “pista alternativa”. Vive a Voghera, in una casa di corte, e lavora in un negozio di telefonia a Montebello della Battaglia. Il suo nome riemerse nel 2016, quando un consulente nominato dalla difesa di Stasi trovò nel computer di Chiara una ricerca con il suo nome. Oggi è difeso dall’avvocata Angela Taccia, che da ragazza faceva parte della stessa comitiva.

        Angela Taccia, l’amica diventata avvocata

        Classe 1988, ex fidanzata di Alessandro Biasibetti, Angela Taccia è oggi protagonista dell’inchiesta: è la legale di Sempio. Un cortocircuito narrativo quasi cinematografico. La ragazza del gruppo, diventata avvocata a Milano, si ritrova a difendere un amico d’infanzia proprio nel caso che ha stravolto la vita di tutta la comitiva.

        Alessandro Biasibetti, da oratorio a ordine domenicano

        Tra i più religiosi del gruppo, Alessandro Biasibetti era noto per il suo impegno in parrocchia. Oggi è Fra Alessandro, diacono domenicano ordinato a dicembre dello scorso anno. Ha studiato a Pavia e poi a Roma. È rientrato nel caso per via dell’incidente probatorio disposto dalla Procura: anche il suo DNA sarà analizzato, come quello di molti amici dell’epoca.

        Roberto Freddi e Mattia Capra, il consulente e il carrozziere

        Roberto Freddi lavora oggi come consulente aziendale, mentre Mattia Capra fa il carrozziere, proprio come nel 2007. Entrambi sono stati coinvolti nelle nuove analisi biologiche ordinate dagli inquirenti. Persone normali, vite normali. Ma ancora inchiodate a una pagina di cronaca che non smette di far rumore.

        Marco Panzarasa, il miglior amico di Stasi

        All’epoca dei fatti era il miglior amico di Alberto Stasi, oggi è un avvocato affermato a Pavia. Anche il suo DNA sarà prelevato nell’ambito dell’incidente probatorio. Mai stato coinvolto direttamente nell’inchiesta, oggi si trova a fare i conti con un passato che torna a bussare con insistenza.

        Le gemelle Cappa, tra fotografia e jet set

        Paola e Stefania Cappa erano note nei giorni del delitto per quel famoso fotomontaggio davanti alla villetta, diventato simbolo delle “piste alternative” cavalcate dagli innocentisti. Oggi Paola è fotografa e food blogger, si divide tra l’Italia e Ibiza. Stefania, invece, è avvocata dal 2012, lavora nello studio legale del padre a Brera e ha sposato Emanuele Arioldi, campione di equitazione e rampollo della famiglia Rizzoli.

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          Storie vere

          La madre attrice porno, il figlio le fa da regista. Lavorano insieme senza vergogna

          La madre crea contenuti hard e il figlio le fa da regista. Nonostante le polemiche i due restano uniti e proseguono il loro lavoro, incuranti delle critiche.

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            Di fronte a una storia del genere puoi prendere posizioni diverse. La prima è quella del ‘bacchettone’ un po’ moralista e disgustato. La seconda è alzare le spalle e girarti dall’altra parte, affari loro. La terza è seguire l’onda. E l’onda ritorna sempre nelle stessa risacca: colpa dei social.

            “A volte penso che sia disgustoso ma non mi vergogno”

            Comunque la si pensi questa è una storia che non passa inosservata. Da una parte coinvolge la pornostar brasiliana Andressa Urach e dall’altra suo figlio Arthur, 19 anni, che lavora come regista dei contenuti hard della madre. Ma come… ? Eh sì è proprio così. E’ il figlio Arthur a occuparsi delle riprese per la piattaforma di abbonamenti per adulti della madre. Quando gli si chiede se non trova imbarazzante questo suo ruolo, lui serafico risponde che a volte pensa che sia disgustoso, ma non si vergogna per nulla del suo ruolo. “È un lavoro vero. Come qualsiasi altro. Per giunta si tratta di mia madre e non provo alcuna attrazione“.

            Uno storia che non poteva passare inosservata al popolo dei social

            La rivelazione del coinvolgimento del figlio dietro le quinte è emersa lo scorso anno, e le critiche non si sono fatte attendere. Nonostante i commenti negativi, Arthur ha sempre difeso la sua scelta, sottolineando che non gli importa del giudizio degli altri. Sui social ha più volte messo in chiaro che a loro non interessa cosa pensano i social. E, con un occhio al business, aggiunge: “Parlate bene o male, l’importante è che parliate di noi“.

            Tutto il potere al business

            I social media sono stati un campo di battaglia per questa storia. Si sono buttati a capofitto dividendosi in più fazioni. Molti utenti hanno espresso perplessità e disapprovazione per il ruolo di Arthur. Uno dei tanti commenti si chiede come sia possibile che “(…) una madre sia una pornostar e il figlio, che lei stessa ha messo al mondo, è colui che la filma? Cosa sta succedendo alla società?“. Alcuni si sono spinti a dire che “Il mondo ha perso i suoi valori e la sua integrità“.

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              Italia

              L’Inps avverte gli utenti: attenzione alle truffe online phishing e smishing

              L’ente previdenziale lancia una campagna via email per proteggere i cittadini dai raggiri digitali sempre più sofisticati. Ecco come riconoscere e difendersi dagli attacchi.

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                Le truffe online continuano a evolversi, e i cybercriminali si fanno sempre più abili nel ingannare gli utenti, sfruttando tecniche sempre più sofisticate come il phishing e lo smishing. L’Inps, uno degli enti più colpiti da questi raggiri, ha deciso di prendere provvedimenti, avviando una campagna di email massiva per mettere in guardia i cittadini e aiutarli a riconoscere i tentativi di frode.

                Come funzionano il phishing (e lo smishing)?

                Il phishing è una pratica fraudolenta che consiste nell’invio di email fasulle, spesso molto simili a quelle di enti ufficiali. L’obiettivo è quello di convincere gli utenti a cliccare su link pericolosi o a fornire informazioni sensibili come codici bancari, credenziali di accesso e dati personali. Lo smishing, invece, è una variante del phishing che utilizza gli SMS per lo stesso scopo. Un messaggio sul cellulare può avvertire l’utente di un presunto rimborso, un problema con il proprio conto o una prestazione da verificare, spingendolo a cliccare su un link e inserire i propri dati. La forza di queste truffe sta nella loro capacità di simulare comunicazioni ufficiali, facendo credere alle vittime di interagire con istituzioni affidabili. Non a caso, molti dei messaggi fraudolenti imitano l’Inps, inducendo i cittadini a compiere azioni che mettono a rischio i loro risparmi e le loro identità digitali.

                L’iniziativa dell’Inps per contrastare le truffe

                Per fronteggiare questi attacchi, l’Inps ha deciso di mandare email informative ai suoi utenti, spiegando quali sono i segnali che permettono di riconoscere e bloccare le truffe prima che sia troppo tardi. Le email mettono in guardia i cittadini dai tentativi di phishing e smishing, evidenziando le strategie più comuni usate dai truffatori. Solitamente, questi messaggi contengono link sospetti che chiedono di verificare o confermare dati, per presunte prestazioni Inps, rimborsi o richieste amministrative urgenti. Se l’utente cade nel tranello, i truffatori possono aprire conti correnti fraudolenti a suo nome, attivare credenziali SPID o dirottare pagamenti in modo illecito.

                Come difendersi dalle truffe digitali

                L’Inps raccomanda di seguire poche, ma fondamentali regole, per evitare di cadere vittima di questi raggiri. Nessun ente ufficiale chiederà mai dati sensibili via SMS, email o telefonate. Inoltre, è buona norma controllare sempre l’indirizzo del sito su cui si sta navigando: il dominio ufficiale dell’Inps è www.inps.it, e qualsiasi variazione sospetta può essere un indizio di truffa. Un altro segnale da tenere d’occhio sono gli errori ortografici nei messaggi, oltre alla classica pressione sulla “urgenza” per spingere l’utente a agire immediatamente senza pensarci troppo. Chi sospetta di aver ricevuto un messaggio fraudolento può consultare il vademecum anti-truffe sul sito dell’Inps e segnalare il caso direttamente alla Polizia Postale, compilando il modulo online dedicato.

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