Politica
Boccia vs Sangiuliano: la verità scottante sulla soap di Montecitorio
L’imprenditrice racconta la sua versione in un’intervista bomba alla Stampa, parlando di conversazioni registrate, documenti scottanti e accuse di ricatto nei confronti di Sangiuliano. E ora anche la Meloni viene tirata in ballo, con insinuazioni pesanti sul trattamento riservatole.

Maria Rosaria Boccia ha deciso di mettere le carte in tavola e non risparmia nessuno, nemmeno la premier Giorgia Meloni. In una lunga e dettagliata intervista a La Stampa, Boccia svela particolari scottanti sul suo rapporto con Gennaro Sangiuliano e getta ombre inquietanti sull’intera vicenda, facendo balenare l’idea che dietro le quinte ci siano forze ancora più oscure.
“Io e Sangiuliano ci siamo conosciuti il 5 agosto“, inizia Boccia, come se la data fosse cruciale per mettere in discussione ogni dichiarazione fatta finora dal ministro. “Lo accompagnavo da consigliera per i grandi eventi”, prosegue, sottolineando con nonchalance un ruolo che avrebbe dovuto essere ufficializzato solo successivamente, ma che di fatto ha giocato sin da subito.
E poi c’è la questione dei viaggi, sempre più intricata: “Ho sempre saputo che le trasferte venivano pagate dal ministero”, afferma Boccia, lasciando intendere che, se qualcuno ha pagato di tasca propria, di certo non lo ha comunicato a lei. E per chiudere il cerchio, ribadisce: “Io comunicavo solo ed esclusivamente, anche per le trasferte, con il capo segreteria”. Insomma, non un dettaglio lasciato al caso, tutto regolarmente documentato e, manco a dirlo, pronto a venire fuori al momento giusto.
La vicenda si fa ancora più cupa quando Boccia accenna ai presunti ricatti subiti dal ministro: “Ci sono alcune persone che ricattano il ministro per delle agevolazioni che hanno avuto”, dice senza battere ciglio, aggiungendo così un nuovo, pesante fardello sulle spalle di Sangiuliano. E non è finita qui. Boccia lascia intendere di avere ben altro nel suo arsenale: “Ho ascoltato conversazioni e letto messaggi di persone che a mio avviso hanno ricattato il ministro”, e aggiunge con un sorriso sornione, “Posso dire che ci sono direttori di settimanali”.
Ma il colpo di scena arriva quando Boccia tira in ballo la premier Meloni. “Chi si richiama ai valori dell’essere donna ha il diritto e il dovere di difendere la propria dignità”, attacca Boccia, riferendosi alla premier con un velato disprezzo. La sua accusa è che Meloni, mentre difendeva pubblicamente la propria dignità dopo lo scandalo Giambruno, avrebbe trattato Boccia con arroganza e sessismo, negandole la stessa dignità che tanto predica. “Non si può rivendicare la dignità di una donna, offesa nei sentimenti, a fasi alterne”, ribadisce, portando un colpo basso che difficilmente la premier potrà ignorare.
E poi c’è il capitolo delle “prove”. “Io confermo che il ministro è un po’ confuso”, afferma Boccia, accennando a messaggi privati che Sangiuliano avrebbe definito “carini”, ma che in realtà potrebbero essere ben più compromettenti. “Con una persona con la quale ho una relazione non mi scambio solo delle foto innocenti ed emoticon. Semmai posso scambiarmi anche qualche messaggio più piccante”, dice con malizia, facendo capire che se dovesse decidere di pubblicare tutto, non sarebbe un bello spettacolo.
Ma Boccia non si ferma qui. Accenna anche ai viaggi in auto blu, “Siamo andati al concerto dei Coldplay, al concerto de Il Volo. Da Roma, siamo arrivati in macchina fino a Pompei”, e aggiunge: “Siamo andati a eventi miei personali e privati, dove lui ha voluto presenziare”, come se la linea tra pubblico e privato fosse solo una fastidiosa formalità.
E la famosa chiave d’oro? Boccia non perde l’occasione per colpire ancora: “Il ministro ha saputo fin dall’inizio che non era una patacca”, afferma, quasi sfidando Sangiuliano a esibire il prezioso oggetto che dovrebbe essere protocollato al ministero. “Ce la fa vedere il ministro questa chiave protocollata nelle stanze del ministero?”, chiede retoricamente, sapendo bene che la risposta potrebbe creare più imbarazzi che soluzioni.
In tutta questa torbida vicenda, l’unica certezza sembra essere che la storia non finirà qui. “Ho registrato tutto da un certo punto in poi perché il ministro mi ha detto una frase che mi ha colpito molto: ‘Io sono il ministro, io sono un uomo, io rappresento l’istituzione e in futuro nessuno crederà a tutto quello che tu dirai'”, racconta Boccia, aggiungendo un ulteriore tassello a questo thriller politico.
La domanda che ora tutti si pongono è una sola: cosa uscirà ancora da questa scatola di Pandora che Maria Rosaria Boccia ha deciso di aprire? La sensazione è che il peggio debba ancora arrivare, e in questa commedia degli errori, il finale sembra lontano dall’essere scritto. Meloni, Sangiuliano, e un’intera classe politica tremano, mentre la consapevolezza cresce che, in questa storia, i segreti non sono mai davvero al sicuro.
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Politica
Tajani sorride, i Berlusconi comandano: Forza Italia a Cologno fra consigli, statuti e voglia di rinnovamento
Antonio Tajani arriva a Cologno Monzese per un incontro “tra amici”, ma la regia politica di Forza Italia è ormai tutta nelle mani degli eredi del Cav. Pier Silvio parla di “rinnovamento”, e il segretario obbedisce: nuovo statuto, nuova comunicazione, stesso sorriso forzato.

«Parleremo di tutto, del futuro e anche di Forza Italia». Antonio Tajani prova a recitare il copione del leader saldo, mentre si presenta alla villa di Marina Berlusconi a Cologno Monzese. Lo accompagna il mantra di sempre: «Li conosco da quando sono ragazzi, questi incontri li abbiamo sempre fatti». Ma dietro le parole di circostanza, la fotografia è chiara: chi comanda davvero sono gli eredi del Cavaliere.
A tavola con lui ci sono Marina e Pier Silvio, veri azionisti politici e finanziari del partito – il loro credito verso Forza Italia sfiora i 90 milioni di euro – e Gianni Letta, garante della liturgia familiare. L’incontro era stato rinviato due settimane fa tra voci di malumori, ora torna come se nulla fosse: «Un incontro tra amici», dice Tajani, cercando di smussare i rumors su un partito percepito come troppo appiattito sugli alleati e incapace di ritagliarsi uno spazio proprio.
La realtà è che basta una frase di Pier Silvio Berlusconi per orientare la rotta: quando ha parlato di “rinnovamento”, Tajani ha eseguito. In pochi giorni è arrivato il nuovo statuto, è stato scelto Simone Baldelli come coordinatore della comunicazione e si è dato il via a un lifting silenzioso della catena di comando. Tutto senza clamori, ma con un messaggio inequivocabile: Forza Italia è un marchio di famiglia, e chi la gestisce in politica lo fa in affitto.
Intanto, le voci di insofferenza per il segretario crescono: la linea prudente di Tajani, fatta di piccoli compromessi e temi secondari come lo Ius scholae, convince poco i custodi del brand berlusconiano. «Ascolto i consigli che arrivano dagli amici», ripete lui, ma gli amici hanno appena deciso quali note dovrà suonare.
Per ora Tajani sorride e incassa. La regia resta a Cologno, la bacchetta pure.
Politica
Pier Silvio, lo sapevamo! E ora se ne accorge anche Elon Musk…
È bastato un sondaggio su X per confermare quello che in pochi osavano dire ad alta voce: l’aria attorno a Pier Silvio si è fatta politica. E i segnali, per chi li sa leggere, c’erano già tutti.

Che Pier Silvio Berlusconi si stia preparando al grande salto, lo diciamo da mesi. Altro che operazione estemporanea, altro che voce di corridoio estiva. Chi ha seguito davvero l’evoluzione di questo “uomo nuovo” della galassia berlusconiana — il figlio silenzioso, manageriale, quasi allergico ai riflettori — sa bene che certi segnali non arrivano mai per caso. Ora a certificare l’odore di politica è anche Andrea Stroppa, l’uomo-ombra di Elon Musk in Italia, che da X lancia l’endorsement più bizzarro dell’estate: “Pier Silvio in politica sarebbe positivo. E divertente”. In tempi normali, verrebbe da sorridere. Ma qui si parla della piattaforma social preferita dai potenti, e di un nome che, con tutto il suo low profile, fa tremare ancora qualche sismografo.
Stroppa, senza un partito né un programma, si spinge a dichiarare che un eventuale movimento guidato da Pier Silvio sarebbe già intorno al 15%. Con che base, non si sa. Ma il messaggio è chiaro: da oltreoceano l’ipotesi piace. E quando Musk fiuta qualcosa, anche solo per gioco, c’è sempre qualcuno che prende nota. A partire da chi ha interesse a vedere cambiare volto (e stile) al centrodestra.
Certo, ufficialmente Pier Silvio continua a dirsi estraneo alla politica. Ma intanto ha ripulito Mediaset, ha imposto una nuova linea editoriale, ha tagliato le unghie al trash di partito, ha ricostruito un’identità aziendale fatta di ordine e sobrietà. E ora viene celebrato da quelli che — a parole — odiano la “casta”, ma in fondo cercano proprio un nuovo principe ereditario a cui aggrapparsi.
Non serve che parli, per essere ascoltato. Non serve che si candidi, per fare paura. Pier Silvio c’è, eccome. E chi lo ha capito in tempo, oggi non ha bisogno di sondaggi per fiutare dove tira il vento.
Politica
Meloni sul Time: dalla fiamma al glamour, ora Giorgia conquista la copertina del magazine americano.
Giorgia Meloni è la nuova star del Time: “Figura interessante d’Europa”. Il profilo elogia la sua ascesa, il pragmatismo e la postura internazionale. Ma tra omissioni, ambiguità e scatti patinati, l’operazione profuma più di rebranding che di rivoluzione politica.

Altro che l’Italia degli spaghetti e mandolino: ora ci sono i tacchi, i dossier sottobraccio e le copertine patinate. Giorgia Meloni si prende il Time. E non un trafiletto laterale: la copertina. “Una delle figure più interessanti d’Europa”, scrive il magazine. Tradotto: la destra in tailleur è finalmente presentabile anche in salotto, purché non urli troppo.
Il ritratto firmato da Massimo Calabresi è lungo, curato, levigato. E racconta una Meloni capace di sorprendere: meno barricadera di quanto i suoi stessi elettori forse speravano, più atlantista di molti centristi in doppiopetto. Una premier che affascina Washington, piace a Bruxelles, si fa fotografare in posa riflessiva mentre promette riforme “presidenziali” con un occhio a Mattarella e l’altro a Trump.
Ma il punto non è chi l’ha intervistata. È chi ha scelto di dimenticare. Perché nel ritratto non c’è traccia di certi provvedimenti sgraziati, né delle leggi che strizzano l’occhio al voto nostalgico. Scompare magicamente il piglio muscolare sui migranti, l’offensiva contro la stampa, i sussurri autoritari che sanno tanto di passato che non passa mai. E il pragmatismo? Viene scambiato per democrazia, come se bastasse non salire su un balcone per essere Churchill.
Certo, l’articolo ricorda che Biden l’aveva presa con le molle. Ma oggi la benedice, come fanno Von der Leyen e i repubblicani Usa. Tutti affascinati da una leader che parla chiaro, cammina dritta e non fa troppe onde. In fondo, Meloni non rompe con Bruxelles: cerca solo di renderla un po’ più FdI-friendly. Altro che rivoluzione: è la normalizzazione del post-fascismo a colpi di selfie e parole misurate.
E se oggi il mondo applaude Giorgia, è anche perché fa comodo una destra “gestibile” nel cuore dell’Europa. Una che non alza la voce, ma tiene saldo il timone. E soprattutto non si vergogna di portare in copertina la fiamma del MSI, pur illuminata da un riflettore americano.
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