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Politica

ESCLUSIVA: Fuoco amico su Sangiuliano! E se dietro alla trappola della Boccia ci fosse un esperto di fake news?

Il caso Sangiuliano-Boccia potrebbe nascondere più di una semplice storia d’amore: se dietro l’addio dell’ex ministro ci fosse un esperto di fake news? Una coincidenza inquietante che solleva nuovi interrogativi su chi abbia realmente orchestrato il crollo di Genny Delon.

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    E se non fosse una storia d’amore? Se quella tesa a Genny Delon fosse davvero una bella trappola ben orchestrata da chi, con i social e la comunicazione, ci sa davvero fare? E se addirittura si trattasse di fuoco amico, per dirla nel gergo militare caro a Vannacci quando a sparare sono coloro che dovrebbero essere dalla tua parte? Se, se, se… questa storia è piena di se. Nulla è come sembra e nulla sembra quello che è.

    Ci sono alcune succose coincidenze che, per ora, restano suggestioni. Ma che facendo due più due come alle elementari porterebbero a conclusioni sconcertanti. Per partire con questa storia bisogna risalire all’agosto 2017 quando il New York Times (mica pizza e fichi) se ne esce con un articolo ricco di nomi sulle fabbriche dei trolls che sfornano fake news per conto del Cremlino e, in Italia, parrebbero fare il gioco sporco di Cinque Stelle e Lega di Salvini.

    Un articolo preciso e scrupoloso firmato da Jason Horowitz, una delle prime firme del giornale americano, capo dell’ufficio di Roma del ‘Times’ che copre l’Italia, il Vaticano, la Grecia e altre parti del Sud Europa. Un cronista di primo livello, quindi, che aveva scoperto come dal network di Mignogna fuoriuscisse una miriade di fake news che avevano allora come obiettivo Renzi e il Pd.

    Sono ancora i tempi della Bestia e del sistema sparafango di Luca Morisi, spin doctor del Capitano. Ed è allora che esce fuori per la prima volta un nome. Quello di Marco Mignogna. Chi è costui? Due inchieste giornalistiche, una de Il Mattino di Napoli a firma del collega Valentino Di Giacomo e una del Quotidiano Nazionale a firma Nino Femiani, lo inquadrano come un imprenditore informatico con base ad Afragola, in Campania. Lui gestirebbe decine di siti specializzati in spazzatura digitale e disinformazione pro Putin, pro 5Stelle e, soprattutto, pro Lega di Salvini.

    Decine di pagine capaci di seminare il social di odio e bugie. E la cosiddetta disinformatia di cui era specialista Yevgeny Prigozhin, l’ormai defunto capo della Wagner con la sua Scuola dei troll di San Pietroburgo. I siti lanciati allora dal web manager di Afragola inneggiavano al M5S (info5stelle.com; info5stelle.info; videoa5stelle.info), ma anche alla Lega di Matteo Salvini (noiconsalvini.org; stopeuro.org; eurocrazia.info; il sudconsalvini.info).

    Scrive Femiani su QN: “Andrea Stroppa, un ricercatore della società ‘Ghost Data’ che consiglia Renzi su questioni di sicurezza informatica, ha scritto un rapporto top secret su Mignogna finito ora tra le mani di Horowitz. Emerge che pagine con gli stessi codici ID di Google Analytics, e che fanno capo alla galassia di Mignogna, hanno promosso «movimenti politici rivali anti-establishment critici nei confronti di mr. Renzi e del governo di centro-sinistra», con un astioso corredo di ‘bufale’.”

    Un esperto di propaganda online, un propugnatore professionista di bufale, uno perfettamente in grado di costruire una storia falsa e marciarci su, insomma.

    E ad occuparsi del caso c’è anche David Puente, vicedirettore con delega al Fact-checking di Open ed ex della Casaleggio e Associati, uno che di web se ne intende, eccome. Scrive Puente: “Luca Morisi aveva elogiato pubblicamente Marco Mignogna in più di un’occasione per la loro collaborazione, che fosse pagato o meno non è l’argomento del mio articolo e sono affari dei diretti interessati”.

    Insomma, il gran capo della disinformatia leghista non solo conosce, ma apprezza (e retribuisce?) il lavoro di Marco Mignogna. Citiamo ancora Puente: “I suoi blog si contraddistinguono non solo per alcune fake news sui migranti e fatti di cronaca per parlare alla cosiddetta pancia del Paese, ma soprattutto nell’esagerare al massimo nella titolazione”. I classici acchiappa-like insomma, capaci di costruire narrazioni inesistenti su argomenti e fatti palesemente falsi.

    Ma perché ci interessa questa storia e come si collega a quella della soap opera pompeiana di Maria Rosaria Boccia e dell’ex ministro farfallone? Ieri hanno imperversato ovunque le rivelazioni dell’ex (ma non ancora visto che non c’è divorzio come conferma il diretto interessato) marito della bionda assistente “personale” di Genny Delon. E come si chiama il pover’uomo?

    Marco Mignogna, è napoletano e sarebbe un imprenditore nel campo dell’informatica. Semplici coincidenze, suggestioni di settembre? Forse sì. Ma quanti Marco Mignogna esperti informatici, quarantenni o giù di lì ci sono a Napoli e dintorni? E non vuol dire nulla neppure il fatto che Afragola e Pompei siano a meno di trenta chilometri. Anche se, restringendo il cerchio, che esistano due Marco Mignogna della stessa fascia d’età in un raggio così ridotto… beh, è perlomeno difficile da ipotizzare.

    Tanto più che una vecchia foto del Mignogna esperto di fake news ripresa allora da QN è molto simile a quella usata da Paolo De Debbio durante l’intervista esclusiva al Mignogna, ex marito della Boccia. Se non sono fratelli gemelli poco ci manca.

    E se per caso fossero la stessa persona? E se l’esperto in fango informatico di Afragola fosse davvero l'(ex) marito della Mata Hari di Pompei? Essere o non essere, questo è il problema. Ma se fosse la storia cambierebbe. Che c’entra un oscuro rimestatore di melma mediatica con la presunta amante infuriata di un ex ministro poco attento, capace di farsi abbindolare da una chioma bionda e tutte le curve al posto giusto?

    Tutti hanno riconosciuto l’eccellente strategia di comunicazione dell’esperta pompeiana. Ora si parla anche di suoi presunti tentativi di agganciare prima di Genny il ministro Lollobrigida. Tentativo di avvicinamento che sarebbe stato sventato in tempo dalla consorte Arianna Meloni.

    E se questa strategia fosse al contrario il frutto di un canovaccio scritto da un professionista delle bugie? Da uno che sulle fake news ci campa? Ma soprattutto da uno che potrebbe essere legato a Luca Morisi e alla Lega di Salvini? Nessuna prova, solo una suggestione. E torniamo al fuoco amico che avrebbe ucciso il soldato Genny. Perché a pensar male si fa peccato, ma a volte ci si azzecca.

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      Politica

      Meloni show a Libero: baci a Trump, schiaffi alla sinistra

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        Giorgia Meloni si collega da remoto, ma conquista il palco come se fosse in prima fila. Venti minuti in videocollegamento per celebrare i 25 anni di Libero, ma sembrava un comizio con microfono aperto. Il pubblico in sala applaude, Mario Sechi sorride, Vittorio Feltri si dichiara “innamorato” della premier. Lei ringrazia e parte col repertorio.

        Il pezzo forte? Il solito vecchio Donald. “Trump è un leader coraggioso, schietto, determinato. Ci capiamo bene anche quando non siamo d’accordo”, dichiara fiera. Dazi, guerre commerciali e instabilità globale passano in secondo piano: quello che conta è l’intesa tra sovranisti. “Difende i suoi interessi nazionali, io faccio lo stesso”, rivendica, come se il mondo fosse diviso tra chi “tiene famiglia” e chi no.

        Poi il colpo basso sul referendum. Altro che test per il governo: “Era un referendum sulle opposizioni, e il risultato è chiaro”, dice. Traduzione: ha perso la sinistra, non io. “Se vincono, è un trionfo della democrazia. Se perdono, c’è un problema di democrazia. È sempre la stessa storia”, attacca, liquidando critiche e dubbi come capricci da salotto.

        E infatti a quelli che nei salotti ci vivono, riserva la stoccata finale. Il quesito per la cittadinanza dopo cinque anni? “Una sciocchezza”, sentenzia. “Solo chi frequenta club esclusivi può pensarlo. La legge attuale va benissimo. Ed è quella che vuole la stragrande maggioranza degli italiani”. Argomento chiuso.

        In mezzo, il solito omaggio a Berlusconi, “fiero di noi per il milione di posti di lavoro”, e l’ennesima autoassoluzione: “Noi andiamo avanti con il nostro lavoro”. Il copione non cambia. Ma ogni volta è più rodato.

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          Politica

          Francesca Pascale ironizza su Forza Italia e Fedez: «Gasparri vuole recuperare l’immagine con una trovata pop»

          Francesca Pascale, in un intervento nel programma “Donne sull’orlo di una crisi di nervi”, commenta l’apparizione di Fedez al congresso delle giovanili di Forza Italia e ironizza sulla strategia di Maurizio Gasparri per rilanciare l’immagine del partito.

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            Francesca Pascale non ha mai avuto peli sulla lingua e lo ha dimostrato ancora una volta. Ospite della trasmissione Donne sull’orlo di una crisi di nervi condotta da Piero Chiambretti su Rai3, l’ex compagna di Silvio Berlusconi ha commentato con tono ironico e tagliente la scelta di Forza Italia di invitare Fedez come ospite d’onore al congresso della giovanile del partito. «La prima cosa che ho pensato è stata che Gasparri vuole recuperare l’immagine con una trovata pop, perché il 3% dell’ultima tornata elettorale non è bellissimo», ha dichiarato Pascale, mettendo in dubbio la strategia dietro l’apparizione del rapper.

            Non è la prima volta che l’ex fidanzata del Cavaliere esprime perplessità sul futuro e la direzione di Forza Italia. In passato aveva dichiarato al Foglio, come riportato anche da Agi, che «il partito deve darsi una svegliata». Ma questa volta, la “sveglia” non sembra coincidere con l’arruolamento di Fedez. Pascale ha spiegato che il suo stupore non riguarda tanto la presenza del cantante in sé, quanto la logica che l’ha portata a questa ospitata: «Non ho capito Forza Italia con Fedez dove vuole andare».

            La presenza di Fedez, artista da sempre impegnato su temi sociali e politici, è stata al centro delle polemiche sin da subito. Durante il suo intervento, il rapper non ha rinunciato a provocazioni e riflessioni pungenti: «Oggi non voterei nessuno», ha detto. Poi ha criticato la sinistra, accusandola di «rifiutarsi sempre di sedersi al tavolo del dibattito». Insomma, un intervento in perfetto stile Fedez, pronto a mettere in discussione la politica tradizionale e a rivendicare la sua indipendenza.

            Nonostante le critiche a Forza Italia, Francesca Pascale ha riconosciuto al rapper una certa coerenza: «Molti hanno criticato Fedez, ma lui ha fatto il suo lavoro. Va dove lo invitano, lo fa per dialogare», ha spiegato. Una visione che riflette il carattere pragmatico dell’artista, abituato a muoversi tra provocazione e voglia di confronto.

            Ma Pascale non ha perso l’occasione per lanciare un’altra frecciata ai vertici del partito azzurro, in particolare a Maurizio Gasparri: «Forse l’idea era di far parlare di sé e rianimare un po’ di entusiasmo, ma invitare Fedez non credo basti a risolvere i problemi interni di Forza Italia», ha concluso.

            Il commento dell’ex compagna di Berlusconi si inserisce in un momento di fermento per il partito fondato dal Cavaliere, che cerca nuove strategie e volti in grado di attrarre l’elettorato giovanile. Una scommessa rischiosa, se non altro perché – come osserva Pascale – la politica pop non può bastare a mascherare le incertezze di un partito in cerca di identità.

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              Politica

              Grillo verso l’azione legale per riprendersi simbolo e nome del M5s, sfida a Conte

              Beppe Grillo si prepara a una battaglia legale per riprendersi il simbolo e il nome del Movimento 5 Stelle. Dopo l’abolizione del suo ruolo di garante, il comico genovese vuole rilanciare la sfida a Conte e rivendicare la paternità del progetto pentastellato.

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                Beppe Grillo dichiara guerra al Movimento 5 Stelle. Anzi, a quello che resta del progetto politico che lui stesso aveva creato insieme a Gianroberto Casaleggio nel 2009. Il comico genovese, estromesso di fatto dal ruolo di garante con la riforma dello statuto approvata a fine 2024, non intende restare a guardare: secondo fonti a lui vicine, Grillo avrebbe già dato mandato ai suoi legali per “riappropriarsi del simbolo e del nome del M5s”. Una mossa che potrebbe riaprire le fratture tra l’ideatore e l’attuale leader, Giuseppe Conte.

                Il simbolo e il nome del M5s, registrati nel 2012 come marchio dell’associazione con sede a Genova, rappresentano un tesoro politico e comunicativo. Non a caso, Grillo avrebbe commentato così la situazione dopo la Costituente: “Vedere questo simbolo rappresentato da queste persone mi dà un senso di disagio. Fatevi un altro simbolo. Il Movimento è stramorto, ma l’humus che c’è dentro no”. Parole che lasciano poco spazio ai dubbi: il fondatore sente ancora come suo il cuore del Movimento e ritiene che la nuova gestione lo stia tradendo.

                La scintilla che ha fatto scattare l’azione legale è stata la modifica dello statuto voluta da Conte. Il ruolo di garante, che per anni aveva permesso a Grillo di supervisionare le scelte e gli orientamenti del Movimento, è stato eliminato lo scorso novembre, sancendo la rottura definitiva tra le due anime del M5s. Non solo: Grillo non ha mai digerito la decisione di abolire il limite dei due mandati, considerato un pilastro della visione originaria. “L’abolizione del limite di due mandati è una sconfitta dei nostri valori”, aveva detto. E ora sembra pronto a far valere in tribunale le sue ragioni.

                L’azione legale potrebbe aprire un nuovo capitolo nella saga pentastellata. Se Grillo dovesse ottenere un pronunciamento a suo favore, Conte e il nuovo corso del Movimento si troverebbero costretti a rinunciare a simbolo e nome, rischiando di perdere il legame con la storia e l’identità originaria del partito. Un’ipotesi che agiterebbe ancora di più le acque già tumultuose della politica grillina.

                Dietro questa sfida legale si intravede anche la volontà di Grillo di non restare nell’ombra. Nonostante la sua attività politica sia ormai più defilata e il legame con i vertici del Movimento sia ai minimi termini, il comico genovese non ha mai smesso di far sentire la sua voce. Anche di recente, dal suo blog e dalle apparizioni pubbliche, ha continuato a ribadire la sua visione di un Movimento “libero e leggero, non schiavo delle poltrone e delle mediazioni”.

                Le prossime settimane saranno decisive per capire se l’azione legale verrà formalmente avviata e quali saranno le conseguenze per Giuseppe Conte e per il gruppo dirigente del M5s. Per ora, l’unica certezza è che Grillo non intende lasciare in silenzio il simbolo e il nome del Movimento che aveva fondato e che considera ancora il frutto più importante del suo impegno politico.

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