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Politica

Nel dibattito Trump vs Biden vince la surrealtà

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    Diversi commentatori, sia stranieri che italiani, l’anno definito “uno dei momenti più bassi nella storia elettorale americana”. Stiamo parlando del duello televisivo fra Joe Biden e Donald Trump. A dirla davvero tutta… più che un dibattito presidenziale è stata una vera sciagura. Soprattutto perchè, nonostante le profonde differenze che separano i due politici, nessuno dei due è stato in grado di spiegare chiaramente cosa vuole fare per il futuro degli USA. Discutendo in modo frammentario e confuso di argomenti comprensibil solo dai rispettivi sostenitori più accaniti.

    A perdere è stata l’America

    Si può comunque dire che Biden abbia perso il primo dibattito mettendo in una brutta posizione non solo la propria candidatura ma l’intero Paese. Debole e a volte confuso, molto somigliante alla parodia che di lui disegnano gli avversasi: un pensionato che perde continuamente il filo del discorso.

    La confusione regna sovrana

    Fin da subito i suoi problemi sono stati sotto gli occhi di tutti, confondendosi – parlando di debito pubblico – sulla dicitura delle mille persone più ricche d’America (trillionaires o billionaires?!?), proseguendo con il consueto slogan dell’opportunità di «continuare a rafforzare il nostro sistema sanitario».

    Il vecchio Joe si perde nei meandri dei suoi pensieri

    Spaesato e disorientato, ad un certo punto ha pronunciato una frase vaga sul «fare in modo che ogni persona sia idonea a ciò che sono stato in grado di fare con il Covid, scusate, con…». Si è bloccato per qualche secondo, per poi riprendere: «Con tutto quel che dobbiamo fare… Guardate se…». Segue lungo silenzio. Quando finalmente riprende a parlare, cambia. argomento: «Ecco, sì, abbiamo finalmente vinto Medicare».

    Scortesie fra rivali

    Ad onor del vero, l’attuale presidente si è ripreso, apparendo più lucido, nella seconda parte del dibattito. Il meglio di sé quando ha chiamato il suo rivale «sucker», ricordandogli che aveva fatto sesso con una pornostar mentre la moglie era incinta. Dritto al punto, senza esclusione di colpi.

    Anche Trump esagera

    Dal canto suo, Trump ha mostrato più volte il proprio lato debole, abbandonandosi alla sua tipica logorrea come quando ha detto che «Biden è diventato un palestinese, ma a loro non piace perché è un pessimo palestinese». O quando ha detto che «è stato lui a uccidere la gente con l’acqua cattiva, facendo morire centinaia di migliaia di persone». Trump ne ha dette di tutti i colori, anche che i democratici cercano di «uccidere i bambini dopo la nascita» e che grazie a lui «abbiamo avuto l’H2O, i dati migliori di sempre».

    Pure un siparietto dedicato al golf

    Sembrerebbe impossibile che questi due gli uomini siano proprio quelli scelti da milioni di elettori per svolgere il lavoro più importante al mondo. I due, sul più bello, aggiungono pure una nota surreale… mettendosi a parlare di golf: chi possiede il colpo migliore, chi ha l’handicap più basso, chi batterebbe chi. Una scenetta nella quale ad un certo punto Biden esclama: «Sarei felice di giocare a golf con te se ti portassi da solo la sacca. Pensi di essere in grado di farlo?».

    Biden, fatti più in là…

    Fra la compagine democratica c’è chi auspica un atteggiamento di pressione nei confronti di Biden, insistendo sulla necessità che lui si faccia da parte, lasciando che convention di Chicago indichi prossimanente un altro candidato. Più idoneo, più giovane, più adatto al delicatissimo momento storico.

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      Politica

      Bengasi chiude i cancelli: la figuraccia internazionale di Piantedosi (e dell’Europa)

      Missione saltata, delegazione espulsa, onta pubblica: la trasferta del Viminale in Libia orientale si trasforma in un boomerang diplomatico. E Bengasi lancia un messaggio chiarissimo: “Qui comandiamo noi”.

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        Atterrano, si guardano intorno, pronti per stringere mani, scattare foto e pronunciare le solite frasi fatte tipo “collaborazione fruttuosa”, “dialogo costruttivo”, “fronte comune sui flussi migratori”. E invece… “Preparatevi a ripartire”. No, non è l’incipit di un racconto comico, ma la sintesi cruda della missione (fallita) del ministro dell’Interno Matteo Piantedosi e della delegazione Ue a Bengasi. Una scena da film, solo che il genere è commedia nera: atterrati a Benina, dichiarati personae non gratae e gentilmente accompagnati alla porta d’imbarco. Game over in meno di un’ora.

        Per la cronaca, con Piantedosi c’erano anche i ministri dell’Interno di Grecia e Malta, oltre al Commissario europeo alle Migrazioni, Margaritis Schinas. Un bel team. Una missione “strategica”. Un disastro annunciato.

        La Libia, lo sanno anche i sassi, è un Paese spaccato in due: a ovest il governo riconosciuto da ONU e amici, a est il blocco filorussissimo della Cirenaica, che ha già fatto capire più volte che l’Europa può bussare, ma a porte chiuse. E invece la delegazione Ue è arrivata come se nulla fosse, con la delicatezza di un elefante in una cristalleria tribale. Risultato: tutti a casa, senza passare dal via.

        Il comunicato del governo libico orientale è stato più esplicito di una testata diplomatica: “Violazioni delle procedure”, “mancanza di rispetto delle leggi libiche”, “sovranità nazionale calpestata”. E, ciliegina sulla torta, la definizione lapidaria: “persona non grata”. Tradotto: “non ci servite, non vi vogliamo, non fate finta che sia un incidente. Non è un incidente. È un messaggio”.

        E che messaggio. Dietro il linguaggio istituzionale c’è una verità politicamente scottante: la Libia non è più terreno neutro, ma un campo minato dove le missioni europee entrano a proprio rischio e pericolo. E in questo caso, senza nemmeno il rischio: solo il pericolo, concretizzato in una figuraccia mondiale.

        Il Viminale, che già non brilla per agilità diplomatica, ora dovrà spiegare come mai una missione internazionale sia stata gestita con tanta leggerezza, come se Bengasi fosse un quartiere periferico di Roma e non una roccaforte semi-autonoma in mano a milizie e potentati locali. Ma soprattutto, dovrà spiegare perché si continui a credere che basti l’etichetta “Unione Europea” per farsi spalancare tutte le frontiere. Siamo nel 2025: quella stagione è finita.

        E l’Europa? Zitta. Come al solito. O, nella migliore delle ipotesi, affaccendata a trovare una frase abbastanza vuota da suonare importante e abbastanza ambigua da non dare fastidio a nessuno. Un comunicato stampa in corpo 10, senza firme né conseguenze. Diplomazia 2.0: quando prendi schiaffi, fai finta di non sentirli.

        Intanto, dal lato libico, il premier della Cirenaica Osama Saad Hammad gongola. Ha umiliato mezza Europa con una nota stampa e un cambio di gate. E ha fatto passare un messaggio chiaro: “la Libia orientale non è vostra alleata, né vostra cliente”. Potete mandarci soldi, droni, corsi di formazione per la guardia costiera, ma non vi illudete di comandare. Quello l’abbiamo già fatto noi, con voi sulla pista d’atterraggio.

        Il paradosso? Piantedosi era andato in missione per parlare – manco a dirlo – di migranti. Tema che in Libia è una questione di potere, milizie, traffici, porti. Cioè esattamente tutto ciò che l’Europa continua a fingere di non vedere. E in cambio, si becca l’ennesimo no secco, urlato a voce bassissima ma risuonante fino a Roma.

        In un mondo normale, questa debacle avrebbe provocato dimissioni, interrogazioni, crisi diplomatiche. Invece, probabilmente, finirà con qualche riga sui giornali e un’altra missione “strategica” già programmata tra un mese. Magari stavolta a Tripoli. O a Tobruk. Basta che si apra la porta. E che qualcuno, almeno una volta, controlli prima chi c’è dietro.

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          Politica

          Lollobrigida e la bresaola yankee: il ministro e la teoria della carne ormonata “di scambio”

          Francesco Lollobrigida tenta il colpo diplomatico: “Facciamo la bresaola con la loro carne ormonata, ma solo per il loro mercato”. L’idea, presentata al forum di Bruno Vespa, scatena l’ironia dei social. E c’è chi parla di “bresaola sconsigliata” e salumi con la retromarcia.

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            Francesco Lollobrigida ha parlato. E quando lo fa, il made in Italy trema. Al forum in Masseria di Bruno Vespa, il ministro dell’Agricoltura ha rivelato la sua arma segreta per convincere Donald Trump a rivedere i dazi: vendere agli americani bresaola fatta con la loro carne, piena di ormoni, secondo il loro “modello alimentare”. Sì, avete letto bene. Perché, come spiega lo stesso ministro con slancio acrobatico, “tanto già importiamo il 90% della carne per fare la bresaola”. E allora, perché non prenderla direttamente dagli USA? Magari infilandoci un fiocco tricolore, per poi rivendergliela “secondo i loro standard”, aggiunge lui, “anche se io la sconsiglio”. Una trovata geniale, quasi da Premio IgNobel.

            Il popolo dei social si è scatenato. C’è chi scrive che “persino il criceto che ha in testa si dissocia” e chi invoca il ritiro del passaporto alimentare italiano. Ma il ministro non indietreggia. Dopo aver difeso il vino con la celebre frase “anche l’abuso di acqua può portare alla morte”, ora prova a far passare l’idea che la bresaola ormonata americana sia una brillante strategia diplomatica. Più che un baratto commerciale, un compromesso al sapore di contraddizione.

            Dietro l’azzardo, c’è l’ansia da trattativa. Trump minaccia dazi fino al 17% su prodotti europei e Lollobrigida, di ritorno da una missione americana, si aggrappa a ogni leva possibile: dalla bresaola “made in USA” alla soia. “La compriamo quasi tutta da Brasile e Argentina”, dice, “solo un sesto dagli Stati Uniti”. Quindi? Un’ulteriore offerta sul piatto per “riequilibrare” una bilancia commerciale che ci vede esportare verso Washington per 8 miliardi, contro appena 1,7 importati.

            E così, pur ribadendo che la carne americana non rispetta i nostri standard sanitari, il ministro si mostra pronto a trasformarla in salumi “per loro”. Con la logica contorta del “noi non la mangiamo, ma se la vogliono loro…”, si spalanca un nuovo fronte gastronomico-diplomatico, dove la salute pubblica si mescola alla geopolitica commerciale.

            A Manduria, dove si teneva il forum, tra un calice di Primitivo e l’altro, qualcuno deve aver pensato che fosse uno sketch. Invece no. È la nuova frontiera del made in Italy, versione Lollobrigida: noi ci teniamo i salumi buoni, agli altri vendiamo la bresaola sconsigliata. E speriamo che Trump abbocchi.

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              Politica

              Mangiano bene, incassano meglio: la mensa della Camera è un affare d’oro

              La “Cd Servizi spa”, creata per gestire pulizie, parcheggi e ristorazione alla Camera, chiude l’anno con quasi mezzo milione di euro di utile. A fare la differenza? Il cibo: materie prime da 723 mila euro, incassi per 2,4 milioni. E intanto l’organico esplode: 257 dipendenti in quattro mesi

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                Altro che austerity: a Montecitorio si mangia bene, si spende poco e si guadagna parecchio. La nuova creatura dell’amministrazione della Camera, la Cd Servizi spa, ha chiuso il suo primo bilancio con un utile netto di 448.022 euro, a fronte di ricavi complessivi per 5,34 milioni. Non male per una società nata ufficialmente il primo settembre 2024 e operativa per appena quattro mesi.

                La spa, voluta dall’ufficio di presidenza guidato da Lorenzo Fontana, ha assorbito una serie di servizi prima affidati all’esterno: pulizie, giardinaggio, gestione dei dati interni, facchinaggio, parcheggio dei deputati, ma soprattutto la ristorazione. Ed è proprio tra i tavoli del ristorante e della mensa parlamentare che il bilancio ha trovato il suo piatto forte.

                I numeri sono lampanti: materie prime alimentari acquistate per 723.015 euro, a fronte di ricavi per 2,485 milioni. Un moltiplicatore generoso, se si considera che i famigerati “prezzi politici” rendono i pasti a Montecitorio decisamente più convenienti rispetto al mercato. Ma il volume – si sa – può far miracoli.

                Subito dietro, tra le voci che più contribuiscono al fatturato, ci sono i servizi di pulizia (1,63 milioni), la gestione dati (669 mila) e il facchinaggio (485 mila). In tutto, la macchina ha ingranato subito, anche grazie all’assorbimento del personale: oltre 256 dipendenti medi, tra cui un dirigente, due quadri, quasi 40 impiegati e più di 215 operai.

                Il costo del personale ha toccato 3,43 milioni di euro. Ma nonostante le spese, il bilancio resta positivo. Tra le curiosità: l’acquisto di un’auto intestata alla società per 53.500 euro e una consulenza da quasi 29mila euro per un medico del lavoro, definito tecnicamente “medico competente”.

                I conti, insomma, tornano eccome. E se è vero che l’obiettivo dichiarato era l’efficienza e la trasparenza, è altrettanto vero che la gestione “in house” si sta rivelando un investimento tutt’altro che in perdita.

                Sarà interessante vedere cosa succederà nel prossimo esercizio, quando la società sarà attiva per l’intero anno. Per ora, però, una cosa è certa: a Montecitorio non solo si mangia bene, ma si guadagna pure, e con contorni decisamente appetitosi.

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